Vi invito a leggere con attenzione e commentare questo stralcio dal testo di p. Zoffoli "Potere e obbedienza nella Chiesa". Ricordiamoci che a parlare è un grande filosofo, teologo e un santo sacerdote... e che quanto esprime supporta e ispira il nostro comportamento, sempre ovviamente alla condizione che sia dettato non da opinione personale, ma da fede assimilata dal Magistero perenne della Chiesa e in essa vissuta e alimentata da una conversione continua
[...] La Chiesa, sua Sposa, è stata da Lui fondata solo perché sia Madre di Santi, strumento di salvezza universale per l'esercizio di un potere divino, comunicato ai membri della gerarchia unicamente per far conoscere tutta e solo la verità rivelata; elevare e intensificare la partecipazione dei fedeli al Sacrificio Eucaristico, culmine e fonte di tutto il culto e della vita cristiana; stimolarli alla santità quale perfezione dell'amore di Dio e del prossimo, secondo la vocazione di ciascuno.
Dunque, il sacerdote deve dare, non ricevere. Dare non qualcosa di proprio, ma soltanto quel che a sua volta riceve da Cristo, non avendo nulla di suo... Dare, uniformandosi al volere di Dio, volto unicamente al bene dei fedeli, come questi devono obbedire soltanto per ricevere tutto e solo quel bene dai rispettivi superiori.
Quando questi non lo danno, ovviamente ne privano i fedeli, perdendo ogni diritto ad essere creduti e obbediti. Nel qual caso i fedeli - non obbedendo - non offendono Cristo, ma un suo nemico nel suo indegno ministro; non si ribellano alla Chiesa, ma ad un suo intruso che tenta demolirla [come i falsi profeti del nostro tempo]. Soltanto lui, comportandosi contro le finalità del suo sacerdozio e abusando dei suoi poteri, è responsabile del dissidio che turba la pace della comunità ecclesiale, non potendo i fedeli adattarsi ad una dottrina errata, ad una prassi contraria alla dignità del culto, alla santità della vita cristiana.
[...]Pietro, primo Vicario di Cristo, mancò al suo dovere, se non tradendo la verità, permettendo però che i fedeli restassero almeno dubbiosi, confusi. Dal suo comportamento, infatti, i giudaizzanti potevano confermarsi nella convinzione di essere ancora obbligati a praticare le prescrizioni mosaiche...; mentre i pagani potevano almeno sospettare che la fede in Cristo non fosse del tutto sufficiente alla salvezza. Pietro, insomma, fu un pavido, ed è per questo che - sia pure alle spalle – dagli illuminati «veniva biasimato» , mentre Paolo osò riprenderlo in pubblico (Gal 2, 11).
Perciò, i limiti del potere della Gerarchia obbligano ad una obbedienza altrettanto limitata: il dovere di «camminare dritti secondo la verità del Vangelo» (Gal 2, 14) prevale sull'altro di obbedire e tacere. L’autorità umana cessa - quanto al suo esercizio - quando oltrepassa i suoi confini e offende la verità o non la difende come e quanto necessario perché non sia tradita. «Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5, 29), aveva dichiarato Pietro stesso davanti al Sinedrio di Gerusalemme, alludendo alla verità appresa dal Maestro e ben capita alla luce del suo Spirito.
Appunto tale lealtà e fortezza rappresenta l'avvio della Tradizione apostolica, onorata da san Gregorio Magno, secondo il quale non c'e da temere scandali quando è in pericolo la fede per il tradimento della verità: «Si tamen de veritate scandalum oritur, magis est sustinendum scandalum quam veritas relinquatur»1. La verità, appunto, è il primo e maggiore dono dell'amore fraterno, che non può avere un diverso fondamento perché non sia illusorio.
Ora, la reazione ad un'eventuale dottrina o comportamento errato di un qualsiasi membro della Gerarchia suppone necessariamente non un'opinione personale (sempre discutibile), ma la chiara e distinta conoscenza di quanto lo stesso Magistero ha sempre insegnato e i fedeli hanno sempre imparato e vissuto. Allora, la protesta, anche del più umile dei fedeli, più che un rimprovero, è il doveroso richiamo alla coerenza, dote insopprimibile di una Tradizione ininterrotta, che fa capo alla Parola di Cristo, udita e trasmessa dagli Apostoli e primaria fonte del Magistero.
In Ez lib. I, hom. 7, PL 76, 842, cit. da S. TOMMASO, Summa th. q. 42, a. 2, 1um. Nel commento alla lettera di S. Paolo ai Galati, I'Aquinate riprende l'argomento e, contro il parere di S. Girolamo a proposito del comportamento di Pietro, d'accordo con S. Agostino, ritiene che il dovere della verità prevale sul pericolo dello scandalo: "Veritas numquam dimittenda est propter timorem scandali" (in Gal 2, 11-14, lect. 3, n. 80). E tutto conferma precisando: "Veritas, maxime ubi periculum imminet, debet publicae praedicari nec fieri contrarium propter scandalum aliquorum" (iv., n. 83).
[...] Il dono della verità fondamentale rispetto a tutti gli altri offerto dalla Chiesa nel suo magistero è assicurato pienamente, certamente e definitivamente solo dal carisma dell'infallibilità, proprio del Papa quando insegna ex cathedra, fa proprie le definizioni di un Concilio ecumenico, approva dottrine universalmente e pacificamente condivise, riconosciute conformi alla Tradizione apostolica.
Ma, in altri contesti, lo stesso magistero pontificio ha i suoi limiti, oltre i quali non si può estendere. E allora che il Papa - che potrebbe errare quando insegna come dottore privato, esprimendo opinioni personali, rivolgendosi a particolari gruppi di fedeli... - venendo meno al suo dovere, delude i fedeli, che perciò restano dubbiosi, inquieti, divisi; per cui giustamente si lamentano, esigendo chiarezza e fermezza nel superamento d'ogni ambiguità, riguardo umano, ingenui e rischiosi tentativi d'ordine ecumenico, favorevoli a prevaricazioni dottrinali, alla diffusione dell'eresia.
Quanto ai limiti del magistero episcopale e presbiterale, la storia della Chiesa è eloquentissima, autorizzando a ritenere che i più numerosi e formidabili nemici della Chiesa sono stati membri del Clero. Spesso infatti, abusando del loro potere, hanno provocato nei fedeli una reazione solo apparentemente irrispettosa, perché si sono limitati a professare la vera fede, a difendere il culto e la morale, a richiamare il sacerdote alla coerenza, al doveroso rispetto di sé.
In alcuni casi, pertanto, il giudizio dei più retti non è arbitrario, avventato, animato da spirito di rivolta: esso si fonda esclusivamente sulla verità appresa dal Magistero, assorbita dalla grande Tradizione, dimostrata dall'eroico esempio dei Santi, dall'opera pastorale di vescovi e sacerdoti degnissimi.
Perciò, lo scontento dei fedeli è piuttosto indice della vitalità del Corpo mistico; ed è per questo che la decadenza della Chiesa si è dovuta attribuire troppe volte anche al silenzio, all'apatia, all'acquiescenza, alla timidezza, all'ignoranza di fedeli che non hanno osato opporsi a pastori indegni, arroganti, faziosi, moralmente corrotti, ecc., che s'imponevano in nome di Dio per promuovere i propri interessi, soddisfare volgari passioni... Anche i fedeli, allora, sono responsabili e quasi complici di scismi ed eresie, sommosse e scandali.
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