mercoledì 31 agosto 2022

Non giudicare la gente tossica

La psicologa americana Lillian Glass cataloga la “gente tossica”in dieci categorie, suggerendo per ciascuna di esse le contromisure più adatte.

Ce n’è almeno uno in ogni gruppo, in ogni famiglia, in ogni compagnia. L’importante è saperli riconoscere in tempo per mettere in atto le difese necessarie, o per scappare a gambe levate. Parliamo dei vampiri delle emozioni, uomini e donne che appaiono del tutto normali, ma che in realtà sembrano avere un unico scopo nella vita: rovinare la nostra.

1. Il sociopatico. 

È l’individuo tossico più pericoloso, anche perché all’inizio fa un’ottima impressione, poiché vi dice tutto ciò che volete sentire. Privo di scrupoli, incapace di assumersi responsabilità, il sociopatico mente senza esitazioni per raggiungere i suoi scopi: non lo preoccupano né i sentimenti né i diritti altrui. E nemmeno il buonsenso, visto che è capace di contraddirsi non appena gli fa comodo. Vanaglorioso e pieno di sé, ripete in continuazione la parola “io”. Il modo migliore per riconoscerlo è fissarlo bene in faccia: non muove un muscolo, non esprime emozioni. Anche perché non ne prova affatto. La miglior difesa? Una fuga immediata.


2. L’invidioso. 

Rimugina senza interruzione su quello che gli altri hanno e lui no. Nella versione più estrema, il suo obiettivo diventa quello di distruggere gli invidiati maltrattandoli verbalmente e sminuendone ogni conquista. Non riesce proprio a concepire che i successi altrui possano essere il risultato di sacrifici, fatiche e perseveranza e sparge veleno a piene mani sotto forma di pettegolezzi maligni, mormorii e critiche infondate. Per lui, chi si tiene in forma andando in palestra non è che un narcisista con il cervello vuoto. Chi ha buoni punteggi scolastici è il leccapiedi del professore, e così via.

Catechista neocatecumenale va a lamentarsi con Dio
perché hai preso 30 e lode all'esame invece di andare in convivenza.


3. L’arrogante presuntuoso. 

A questa categoria tossica appartengono persone superbe vanagloriose e pedanti, convinte di essere sempre nel giusto e di fare inevitabilmente le scelte migliori. Hanno sempre la risposta pronta, su qualunque argomento, e arrivano a imparare a memoria una serie di frasi a effetto solo per sfoderarle al momento giusto e apparire brillanti e migliori degli altri. Accolgono invece le opinioni altrui con supponenza. La loro frase tipica è: “Ne sei proprio sicuro?”. 

Sono despoti intellettuali. Soltanto le loro opinioni sono importanti e ogni espediente è buono per mantenere viva l’attenzione altrui mentre pontificano. E se sono costretti ad ascoltare fanno smorfie, sospirano, scuotono la testa con falsa discrezione.

Sul lavoro fanno ogni sforzo per convincere gli altri di essere indispensabili, ma la loro convinzione di essere infallibili li porta a sbagliare spesso. Incoraggiati nelle loro errate convinzioni, si fanno del male da soli: un buon grado di autostima è positivo e utile per fare carriera, ma oltre un certo livello rende ciechi ai propri errori. Finché non è troppo tardi. Chi continua a guardare gli altri, anziché esaminare i propri risultati, può diventare nocivo.


4. Il pettegolo maldicente. 

È un supertossico, specializzato nel creare malcontento nell’ambiente di lavoro. Con le sue indiscrezioni può compromettere professionalmente anche i colleghi più competenti, e senza averne alcun vantaggio: il maldicente si realizza nel sentirsi ascoltato e la sua massima ambizione è sapere tutto di tutti.

Proprio per questo, però, non esita a esagerare ciò che crede di sapere o anche a inventarlo di sana pianta. È abilissimo infatti nel condire una falsità con un’enorme quantità di dettagli noti, o comunque attendibili, fino a renderla credibile. L’unica difesa è tenersene lontano e non raccontargli mai nulla: entreremmo nella sua rete di bugie piccole e grandi, mescolate a confidenze che prima o poi il pettegolo renderà pubbliche senza alcun rimorso.

"Fratelli" di due comunità diverse si confrontano sugli scrutini



5. Il capo autoritario. 

In una relazione di lavoro, il capo ha ogni diritto di dire ai suoi subordinati che cosa si aspetta da loro, e di criticare i loro risultati se lo ritiene necessario. In alcuni casi, però, si trasforma in un despota che trae piacere nell’imporre la propria volontà e si sente legittimato a umiliare chi lavora alle sue direttive. È a questo punto che diventa una persona tossica. Gli autoritari mantengono il controllo ispirando timore e sono capaci di trasformare in un insopportabile fardello quello che agli occhi dei loro sottoposti potrebbe apparire un progetto interessante e coinvolgente.

Spesso questi individui tossici si manifestano all’improvviso, quando finalmente ottengono l’agognata dirigenza: fino a un attimo prima la loro tossicità era quasi insospettabile. Nei casi peggiori, odiano quelli che ritengono inferiori e boicottano chi si mette in luce perché non sopportano di essere superati

Arrivano addirittura a infiltrarsi nel tempo libero dei loro impiegati, a insultarli e a minacciarli per rafforzare il proprio dominio. Lavorare per loro può essere un’autentica calamità. La difesa viene dalla legge che ha ormai riconosciuto il reato di mobbing.


6. Il mediocre. 

La mollezza e l’immobilismo sono comportamenti altamente contagiosi, per cui non sottovalutate questa tipologia di individui tossici. Se vi convincessero a vedere la vita dal loro punto di vista, potreste anche finire per trascinarvi al lavoro sempre più demotivati in una nube di depressione. Benché in genere facciano danni soprattutto a se stessi, i mediocri possono avvelenare anche i caratteri più aperti e vitali, contagiandoli. Tenere il muso: comportamento ammesso da bambini, diventana tossico se persiste con la (presunta) maturità. La soluzione? Ricordare sempre che la scelta dei nostri compagni di strada dipende solo da noi

Che c'è? È impoffibile gnom peccave!


7. Il vittimista.

Sprizza negatività da ogni poro, è convinto che il mondo sia un posto terribile e si crogiola nella propria sfortuna senza fare nulla per cambiare le cose

Il suo livore verso il mondo è così intenso e martellante da contagiare chi lo sta ad ascoltare, ma c’è di peggio: ha un’eccezionale abilità nel far sentire gli altri (cioè noi) colpevoli della sua situazione disperata. Se bevono troppo o si drogano, è un po’ anche colpa nostra. Ma state tranquilli: non è affatto così.


8. L’aggressivo verbale.

La sua violenza psichica crea danni non inferiori ai maltrattamenti fisici. Sardonici, offensivi, intimidatori, gli aggressivi verbali hanno come primo scopo, in una discussione, quello di far sentire l’interlocutore inadeguato, debole, incapace. Perfino il loro colorito rossastro appare bellicoso, così come il tono di voce sempre roboante.

Tentare di ragionare con loro è tempo perso: anche se un giorno lodassero la vostra arguzia, il giorno dopo – proprio quando vi sentite più tranquilli – potrebbero lanciarvi la frecciata più feroce.

Consolatevi: le persone tossiche di questo tipo non sanno stabilire relazioni durevoli, e finiscono soli e abbandonati da tutti.

Moglie di catechista nell'atto di psicanalizzare i sottoposti, ops, il prossimo.


9. L’umiliatore.

È tra le categorie tossiche più odiose: l’umiliatore gode nello sminuire le sue vittime, destabilizzandole emotivamente. Si finge amico, sostiene di volervi aiutare, in realtà raccoglie informazioni sui vostri difetti per potervi mettere in cattiva luce agli occhi altrui. 

Indossa costantemente una maschera e mostra la sua vera faccia solo quando raggiunge una posizione di netto vantaggio su di voi. A questo punto potrà anche arrivare all’insulto esplicito. Un tossico di questo calibro va tenuto d’occhio con attenzione, anche perché le continue frecciate possono creare un senso di inferiorità che vi metterebbe ancor di più nelle mani dell’umiliatore: se riesce a condizionare la vostra vita con le sue prese di posizione, potreste perfino arrivare a convincervi che lo fa a vostro vantaggio.


10. Il nevrotico. 

Di molti individui tossici si può dire che siano animati da cattiveria. Non dei nevrotici, che però danneggiano contemporaneamente gli altri e se stessi, senza un valido motivo. Si pongono di continuo obiettivi irraggiungibili e, se vi siete associati con loro, pretenderanno altrettanto da voi.

Il loro perfezionismo sfocia spesso nella mania di controllare tutto ciò che li circonda, persone comprese, ricorrendo di continuo al ricatto degli affetti. I nevrotici vorrebbero piacere a tutti, in modo quasi infantile. Non ascoltano i consigli altrui ma sono prontissimi a elargire il loro aiuto, che deve seguire però le loro regole. I peggiori tra loro sono i supertossici castratori, quelli che ti aiutano soltanto per poter pronunciare la fatidica frase: “Con tutto quello che ho fatto per te, è così che mi ripaghi?”.



Vedi anche il libro di Lillian Glass, disponibile in lingua inglese, Toxic People; 10 Ways of dealing with people who make your life miserable, scaricabile in PDF dal sito ufficiale dell'autrice.



Leggendo le descrizioni del sociopatico, dell'autoritario, dell'umiliatore, dell'aggressore verbale scorgiamo il ritratto del catechista, del responsabile, del pater familias neocatecumenale; nel vittimista, nel mediocre, nel pettegolo quello dei tanti che, nel Cammino, rinunciano alla propria libertà di pensiero e d'opinione e, spesso, si beccano a vicenda come i capponi di Renzo nei Promessi Sposi. 

Quei generi di personalità che normalmente si trovano in numero per fortuna limitato nei vari gruppi sociali, nelle famiglie e nelle aggregazioni più o meno spontanee, nel Cammino vengono favorite, cristallizzate. Proprio queste vengono "premiate" con l'assegnazione di ruoli importanti e di responsabilità su malcapitati fratelli legati da un dovere di obbedienza, finendo per intossicare l'ambiente con rigidità di pensiero e di relazione da cui solo con grande fatica alcuni riescono a liberarsi. 

All'interno delle comunità neocatecumenali, infatti, sono in tanti ad essere dominati dalla convinzione di dover sopportare ogni sopruso senza "giudicare", perché questo fa parte della croce individuale tramite la quale ci si santifica, della volontà di Dio che salva solo all'interno di questa vera e propria camera di tortura.

domenica 28 agosto 2022

Testimonianza di Gloria

Abbiamo ricevuto questa testimonianza che volentieri pubblichiamo.

Mi chiamo Gloria e vengo dalla provincia di Roma. Vi seguo da circa 3 anni, da quando ho deciso, dopo un periodo di difficoltà e di sofferenza causata anche da alcune dinamiche della comunità, di uscire per sempre dal Cammino. Leggo sempre i vostri post e spesso li commento anche, ma ora ho deciso che è arrivato il momento giusto per parlare della mia esperienza personale. Premetto che non lo faccio, come sono stata accusata da alcune persone, per spirito di vendetta verso i miei ex fratelli, (che nonostante tutto avranno sempre un posto nei miei ricordi, nelle mie preghiere e anche nel mio cuore), né perché animata da sentimenti di odio verso il Cammino o verso la figura di Kiko, per il quale ho rivolto anche delle preghiere personali. Le ferite che mi hanno causato il Cammino e i miei ex fratelli sono state guarite dall'amore di Dio, quello che mi è capitato ora appartiene al passato, e, sebbene ogni tanto, quando ricordo alcuni episodi, il dispiacere ritorna, ora il dolore ha lasciato posto al perdono e alla guarigione. Se parlo è solo per amore alla verità e alla giustizia, ma soprattutto perchè sento il dovere di informare le persone sugli effetti negativi che il Cammino, con i suoi errori, continua a produrre sulla vita di molte persone, nella speranza di poter essere di aiuto. 


Sono entrata in comunità nel 2007 a 15 anni, in modo del tutto casuale. La madre di una amica d'infanzia con cui io e mia sorella avevamo frequentato il Catechismo in preparazione alla Cresima ci aveva chiesto di fare compagnia a lei e alla figlia a degli incontri in parrocchia in cui si sarebbe parlato di come Dio fosse entrato nella vita delle persone. Io vengo da una famiglia cattolica che fin da bambina mi aveva trasmesso la fede (soprattutto mia nonna e altri parenti dal lato materno) e avevo sempre partecipato alle attività della parrocchia. Fin da piccola frequentavo l'oratorio, il dopo Cresima e davo una mano in parrocchia quando potevo, e poco prima di entrare nel Cammino avevo partecipato a dei ritiri e a degli incontri spirituali con dei giovani vicino ai francescani e alla spiritualità di Padre Pio e ancora oggi ho dei bellissimi ricordi di quelle esperienze. La mia era una famiglia normale, non avevamo situazioni difficili, per cui il Cammino non mi ha salvato da nessun momento buio, nè mi ha trasmesso la fede, perchè l'aveva già fatto la mia famiglia. All'inizio mi sembravano incontri normali, anche se nessuno ci aveva detto che si trattava del Cammino, né ci avevano parlato di Kiko. La prima convivenza fu un'esperienza intensa, per la prima volta ci fu l'Eucarestia con il pane spezzato, e ci unirono con un'altra comunità di cui conoscevo già alcune persone. I primi tempi tutto sembrava andare bene, c'era un clima di fratellanza e le celebrazioni cantate mi coinvolgevano molto, tanto che cercavo di invitare altre persone. La cosa che mi faceva stare un po' male era vedere come gli altri giovani nati nel Cammino escludessero me e chi veniva da fuori, un atteggiamento che durò fino alla fine del mio percorso. Le altre persone con cui ero entrata in comunità non continuarono, ma io decisi di restare perché mi sembrava di aver trovato un gruppo accogliente.

Il clima di serenità e di gioia cambio' completamente dopo due anni, al primo passaggio, il passaggio della Croce. Ci veniva chiesto dai "catechisti" quale è la nostra croce e perché pensiamo che il Signore la stia permettendo nelle nostre vite, poi c'è un rito esorcistico con un sacerdote e si scrive il nome nella Bibbia. A quel tempo non era successo ancora nessun episodio doloroso nella mia vita, per cui dissi delle cose che erano più o meno tipiche della mia età. Ricordo però che rimasi sconvolta nel vedere gli adulti scoppiare a piangere e raccontare cose molto dolorose e pesanti delle loro vite; ad una persona che disse di stare bene e non avere croci i "catechisti" cercarono di fargli confessare di averne, tirando fuori delle sue cose personali davanti a tutti.

Dopo pochi mesi, successe un fatto che avrebbe dovuto mettermi in guardia, ma che io giustificai volendo credere nel buono che c'è nel Cammino. All'uscita dalla celebrazione, una delle persone che aveva una certa autorità tra le comunità mi chiese se mia madre frequentasse il Cammino, io dissi di no, e la persona in questione disse testualmente "se non vuole venire dille che la rinneghi come madre"... Io decisi di raccontarle tutto, mia madre telefonò a questa persona, e, visto che ero ancora minorenne, decise che non avrei più frequentato la comunità prima di aver parlato con un sacerdote. Mi disse anche che su internet aveva trovato molte cose negative sul Cammino e era preoccupata per me, ma io ero stata condizionata dalla comunità a credere che di internet non c'è da fidarsi, e che la famiglia da fuori non può capirti e si salva solo chi è in Cammino, per cui gli dissi che non avrei mai lasciato la comunità. Inutile dire che ora mi pento da morire del mio comportamento, e che la mia famiglia mi ha compreso e perdonato, ed è felice che ora ne sia fuori. Comunque, il nostro parroco ci ascolto', mi lasciò libera di frequentare il Cammino ma mi disse anche di stare molto attenta perché un giorno mi avrebbero chiesto il 10% dei miei guadagni (non era molto favorevole al Cammino da quanto ho capito anche da altre cose, ma mi lasciò libera lo stesso perché, al contrario di quello che fanno i "catechisti" Neocatecumenali, le persone di Chiesa non obbligano a fare scelte di nessun tipo). Io lo vidi come un segno del fatto che avevo ragione e che il Cammino fosse buono, e continuai a frequentare la comunità fino al 2014. La comunità mi stette vicino con le preghiere anche quando ebbi un periodo di grande depressione a 20 anni, a prova del fatto che ci sono anche persone buone e in buona fede, anche se non tutti ebbero atteggiamenti ugualmente positivi nei miei confronti in quella occasione.Avevo fatto tutte le tappe fino allo scrutinio del secondo passaggio, e avevo partecipato a tutte le convivenze, gli incontri, e alla GMG di Madrid. Ero una Neocatecumenale convintissima, anche se alcune cose già cominciavano a non convincermi, come il fatto che perfino la GMG era fatta a modello del Cammino, vedevo atteggiamenti idolatrici verso Kiko, e vedevo molta chiusura del gruppo dei giovani verso l'esterno e verso chi, come me, non era nato in Cammino. Sopportavo alcuni atteggiamenti molto offensivi solo perché dicevo e pensavo che non dovessi prendermela perché andavo in comunità per il Signore e non per le persone, e sapevo che anche se lo avessi fatto presente le cose non sarebbero cambiate. C'era chi evitava di sedersi a tavola con noi (in convivenza spostavano le nostre cose dalle sedie), non invitavano agli eventi collettivi della comunità, e sentii anche dei commenti offensivi sul mio aspetto fisico da persone che, una volta scoperti si sono scusate, per poi ripetere la cosa in seguito. Avevo già vissuto atti di bullismo a scuola, e per me è stato abbastanza doloroso ed umiliante rivivere tutto questo. Invece di farmi sentire amata ed accolta, queste persone mi facevano dubitare di me stessa e abbassavano la mia autostima. Avevo l'impressione che esistesse un gruppo fisso di persone giovani, nate e cresciute in comunità, spesso anche imparentate e sposate tra loro, che accoglievano gli altri dall'esterno solo in caso di fidanzamento con uno di loro. Tutto questo durò fino al 2014, quando uscii la prima volta dalla comunità senza episodi eclatanti, ma solo perché per via di molti impegni non avevo più tempo di partecipare, e anche perché mi sembrava di non poter sostenere il peso di tante richieste che si fanno in Cammino. Ricordo che smisi di partecipare senza avvisare, cosa che però feci l'ultima volta che uscii del tutto, ma non avevo avuto litigi con nessuno. Ricordo che dopo un po' di tempo, incontrai degli ex fratelli a messa d'estate, uno era proprio al banco dietro di me, e tutti fecero finta di non vedermi, neanche quando provavo a salutare. Tornai a casa quasi piangendo e la mia famiglia mi stette vicino.

Venni a sapere in seguito che c'era chi insegnava a non salutare più chi usciva dalla comunità e capii perché si erano comportati in quel modo.

Promesse non mantenute
A fine 2016, poi, stavo vivendo un periodo molto sereno della mia vita, e parlando con una mia amica che era rimasta in comunità, mi tornò il desiderio di riprendere il Cammino. La mia famiglia era preoccupata per me, visto quello che mi avevano fatto passare, ma io li rassicurai e tornai in comunità dopo aver parlato con i "catechisti". Alla prima eucaristia a cui partecipai le persone sembravano anche felici del fatto che ero tornata, raramente le avevo viste così aperte ed accoglienti con me. Fusero la mia vecchia comunità con una più giovane e io ero contenta del gruppo che si era creato. Feci il secondo passaggio, quello della rinuncia ai beni, che a pensarci ora mi sembra un po' controverso. Io lasciai una somma in denaro secondo le mie possibilità, ma i "catechisti" ci dissero che dovevamo lasciare qualcosa di valore e quantificabile, aggiungendo che molte persone lasciavano addirittura case e terreni al Cammino. Come mi disse una persona esperta di religione, questi atteggiamenti sono tipici delle sette, che cercano di prendere i tuoi soldi e i tuoi beni con la scusa di convertirti. 

Ad estate 2017, però, le cose cambiano perché perdo all'improvviso e per una malattia rara mio padre a 55 anni. Per me fu una cosa sconvolgente, e solo ora sto cominciando a riprendermi del tutto. La comunità all'inizio fu molto di aiuto con me, organizzarono una veglia, alcuni vennero al funerale dove fecero i canti, e diedero a mia madre una busta con dei soldi come aiuto, cosa di cui seppi in seguito. Alcuni, però non inviarono mai neanche un messaggio per sapere come stavo. Dopo l'estate, scaduto un contratto di lavoro, decido di partire come ragazza alla pari all'estero per qualche mese, anche per cercare di superare il dolore. L'avevo deciso da sola, senza avvisare i catechisti (non ritenevo di doverlo fare) e alcuni fratelli di comunità pensavano che fossi andata ad aiutare le famiglie in missione. L'estate seguente ebbi un'altra esperienza come ragazza alla pari, ma dovetti andare via dieci giorni dopo il mio arrivo, perchè la mia famiglia ospitante era verbalmente e psicologicamente aggressiva con me, soprattutto il capo famiglia. Quando ero sola e spaventata in albergo prima di ripartire, avvisai della situazione sul gruppo della comunità per cercare un pò di conforto, e tutti sembravano molto comprensivi. Al mio ritorno, le cose cominciarono a peggiorare, fino a farmi prendere la decisione finale sulla comunità. Durante gli incontri di preparazione, ma anche durante le convivenze, i fratelli di comunità cominciarono a farmi domande e fare chiacchiere tra loro (ne ebbi la certezza perchè ad alcuni alcune cose non le avevo mai raccontate) sulla situazione economica della mia famiglia; ad alcuni avevo confidato di voler riprendere gli studi, e mi disse che questo non andava bene, perchè dovevo solo lavorare, un giorno avrei dovuto sposarmi e questo mi avrebbe distratta, e perchè avrei fatto spendere i soldi alla mia famiglia, senza sapere che ad oggi mi sono laureata lavorando e studiando anche fino a tardi, gestendo tutte le mie spese da sola. Cercai di chiarire questa situazione, ma mi sembrava sempre come se il mio disagio fosse minimizzato, e io mi sentivo come se non c'entravo più nulla con la comunità. Avevo già alcuni dubbi sul Cammino anche da alcuni comportamenti dei "catechisti" durante le ultime convivenze, come il loro carattere un pò aggressivo e giudicante, e dei dubbi su quello che ci insegnavano. Per caso scopro questo blog, anzi una volta l'avevo letto e mi erano venuti dei dubbi sul Cammino, ma avevo creduto a chi ci diceva di non credere ad internet, e dopo tutto quello che ho letto, decido finalmente di avvisare del fatto che non sarei tornata più in comunità.

"Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non pronunzia menzogna,
chi non giura a danno del suo prossimo.
Otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza"
Il percorso di uscita è stato difficile, mi sono confrontata con persone che sono uscite, mi sono documentata sul Cammino, e ho cercato un dialogo con i camminanti e gli ex fratelli, ma con loro il dialogo è molto difficile perchè si tende a non vedere gli errori del Cammino. Su internet c'è stato anche chi mi ha scritto delle cose molto pesanti, giudicando la mia uscita dal Cammino come un atto di pigrizia, accusandomi di voler "scendere dalla Croce", di essere attaccata ai soldi perchè chiedevo spiegazioni sulla legittimità della Decima, c'è chi accusa i fuoriusciti di scegliere il "mondo", di essere "cristiani della domenica", dei pantofolai, dei preconciliari, ecc., c'è chi sulle pagine facebook ed instagram del Cammino cancella i miei commenti, per paura di sentire un'opinione diversa. Per non parlare del fatto che dopo la mia uscita solo pochissimi hanno continuato a parlarmi, gli altri mi hanno tolto il saluto e spesso fanno finta di non vedermi in giro, qualcosa che fanno anche i testimoni di Geova, gli Scientologists, e gli Amish con i fuoriusciti, e questi gruppi hanno le caratteristiche delle sette. Con il tempo ho imparato a guardare avanti e a perdonare, e a capire che nel Cammino ci sono moltissime persone in buona fede che non si rendono conto di essere stati plagiati, per loro non ho critiche; la mia critica è per chi ha concepito un sistema del genere, che toglie dignità, soldi e salute spirituale alle persone. 

Un discorso a parte sono i "catechisti". Queste persone, seppur in buona fede e convinte di fare del bene, non si comportano da catechisti della Chiesa Cattolica, perchè altrimenti insegnerebbo il Catechismo ufficiale. Per loro stessa ammissione non hanno studiato teologia, e l'unica cosa che fanno è imparare a memoria i testi segreti delle catechesi di Kiko, oltre a dirigere la vita dei camminanti pretendendo obbedienza assoluta, qualcosa che li rende simili agli "anziani" dei testimoni di Geova, e degli Amish. A queste persone vorrei dire questo:

aver imparato a memoria i mamotreti di Kiko non vi autorizza in nessun modo a: fare direzione spirituale sulle persone, ad incoraggiare matrimoni tra membri del Cammino, a vagliare le vocazioni, a spingere le ragazze al monastero o i ragazzi in seminario, a pretendere la decima, che è una violenza economica, senza rendicontarla; non siete autorizzati a fare le celebrazioni con rito diverso da quello ufficiale, non potete mandare le persone in ginocchio a chiedere scusa a chi gli ha fatto del male per averlo giudicato, e soprattutto, durante gli "scrutini", non avete diritto di violare la dignità delle persone facendo domande perfino sulla vita privata davanti a tutti; e non potete trattare male i vescovi o i parroci che non vogliono il Cammino, nè potete parlare male delle parrocchie e dei parrocchiani. Di tutto questo Dio ve ne chiederà conto.

Alle persone che cercano un percorso di fede o che vogliono approfondire la propria fede suggerisco di trovare un bravo sacerdote che faccia da padre spirituale, e di frequentare il più possibile i sacramenti, perchè è questo che salva le anime, non l'appartenenza o meno ad un gruppo come il Cammino. E a chi, nel Cammino, stesse considerando di diventare catechista pensando di fare del bene, consiglierei di lasciar perdere: quale bene si potrebbe fare spingendo le persone a confessare i propri peccati e le proprie cose personali in pubblico, o pretendendo da persone semplici il 10% del proprio guadagno ogni mese? 

A chi stesse pensando di entrare in Cammino consiglio di informarsi bene, e a chi stesse pensando di lasciarlo dico solo che uscendo si acquista molta serenità e pace interiore, e la fede rifiorisce e, al contrario di quello che vogliono farvi credere in comunità, Dio ci vuole liberi e felici, e non condanna nessuno per essere usciti dal Cammino. Perfino il Papa ve lo ha detto, forse è il caso di iniziare ad ascoltarLo e ad obbedirGli di più...

Concludo dicendo che tutto quello che ho scritto l'ho fatto per cercare di aiutare gli altri; prego per i miei ex fratelli di comunità, chiedo al Signore di non tenere conto del male che mi hanno fatto, prego anche per Kiko, e spero che un giorno tutti possano rendersi conto degli errori del Cammino e correggerli...


(da: Gloria)


giovedì 25 agosto 2022

Tre angeli per cento piazze luterane

Uno dei testi consigliati per le catechesi da farsi nelle 100 piazze neocatecumenali è quella dei Tre Angeli, un testo, tratto da una allocuzione fatta da Kiko Argüello  nel 2012 presso l'abbazia di Sora, ritenuto così  importante da essere pubblicato nel libro di Kiko Argüello  "Il kerigma nelle baracche" ad integrazione del racconto autobiografico della permanenza nelle Palomeras, baracche di Madrid, alla quale viene fatta risalire la fondazione stessa del Cammino neocatecumenale.

Riteniamo opportuno  riproporre questo testo, citandone alcuni passi e avvalendoci del commento a suo tempo fatto da un sacerdote di cui consigliamo la lettura integrale a questo link.

Per differenziare le varie parti, metteremo dei titoletti sottolineati e i nostri commenti in corsivo.


Ciò che ci interessa porre in rilievo è come, attraverso questa catechesi denominata dei Tre Angeli, i catechisti neocatecumenali, notoriamente poco preparati teologicamente, rischino di trasmettere nelle cento piazze un messaggio protestantizzato pensando di evangelizzare al cattolicesimo.

Kiko infatti attesta di sua sponte che è stata sua ferma intenzione di cercare punti di incontro fra la liturgia protestante e quella cattolica e che per lui è stato molto importante il periodo in cui ha studiato l’arte con i vertici del luteranesimo finlandese, francese e tedesco. Questa è l’estrazione culturale teologica e liturgica di Kiko e di chi lo segue e contraddistingue il cammino tragicamente ancora oggi.

Lo stile: da telepredicatore apocalittico

Anche il modo di predicare tradisce una impostazione protestante.

A Kiko piace la disputa, piace parlare di Gesù ai poveri, senza avere alcuna formazione e quindi alcuna idea di ciò che stia dicendo. “Aprivo la scrittura e predicavo il Vangelo”, così alla luterana, senza mandato, con il libero esame della Scrittura, come se non fosse scritto nella lettera di san Pietro che le Scritture non devono essere soggette a libera e privata interpretazione. 

Di solito la padronanza della dottrina dell’analogia – meglio detta la capacità di saper fare esempi efficaci e calzanti – è sicura garanzia di intelligenza brillante, dimostra sicura dottrina, e che chi le fa padroneggia l’argomento. Non è il caso di Kiko. 

Nel suo “annunciare il kerygma” manca di chiarezza, spesso incorre nell’ambiguità, quasi sempre manca di prudenza e di tatto, perché decine e decine di minuti del suo passionale eloquio e del suo scritto consistono in narrazione di situazioni di peccati altrui: questo comporta immettere ulteriore malizia nell’eventuale innocente ascoltatore e nel propagare gli scandali. 

E giù racconti di sodomìa, corna, stupri e rincara la dose dicendo: è tutto vero eh! Questo significa non solo non aver visto neanche il colore di un libro di etica o di teologia morale, ma anche essere privo di ragione sapienziale e di buon senso.
La sua inadeguatezza culturale non lo ferma, perché lui per tutto il libro osa pontificare su temi a lui sconosciuti di teologia trinitaria, di metafisica, sull’essere, sul peccato originale.

Naturalmente, visto che questo è il testo considerato esemplare da proporre nelle campagne evangelizzatrici delle 100 piazze, vien da sé che la predicazione dei neocatecumenali in tali occasioni sarà altrettanto ambigua, inesatta, fuorviante per chi li ascolta e pensa che si tratti, per quanto semplificata, di dottrina della Chiesa.

Miracolismo anteposto alla fede

Altro aspetto da telepredicatore protestante: la convinzione che il miracolo preceda e provochi la fede. Sappiamo che di questo Kiko è  sempre stato convinto, al punto da aver progettato di fare miracoli, senza poi arrivare al dunque perché "non ce ne era stato bisogno".

A pagina 87 Kiko ritiene che per “predisporre gli atei all’ascolto e quindi poi alla fede si fa appello al miracolo” capovolgendo la norma evangelica che il miracolo presuppone la fede, infatti al miracolo si crede per fede. 

Ricordiamoci di Epulone a cui viene risposto: “Neanche se un morto risuscitasse crederebbe…” L’opposto di ciò che dice Kiko. Non esiste modo più collaudato di farsi prendere in giro dai non credenti: parlar loro di miracoli. 

Svalutazione  della Chiesa e del sacerdozio cattolico

La Chiesa proposta da Kiko, e quindi dai catechisti  neocatecumenali  nelle 100 piazze, è una Chiesa orizzontale, che si regge sul sacerdozio universale sottostimando e disprezzando quello ministeriale, esattamente come Lutero che riconosceva solo l'origine divina del sacerdozio battesimale, quello comune, e non di quello ministeriale, istituito da Cristo nell'ultima Cena.

Kiko ritiene che per convertirsi è necessario esperire l’amore fra i battezzati, allora uno chiede il battesimo. Non farebbe una piega se non fosse che tutto ciò lo intenderebbe in modo esclusivo, cioè bandendo i preti, i simboli religiosi, e la chiesa, a cui l’uomo contemporaneo non crede più. 

Se avesse fatto teologia, o almeno fatto catechismo seriamente, saprebbe che non c’è battesimo senza Chiesa, senza simbolo, e senza prete.

Volontarismo luterano

Nel Cammino più  che una fede, si propugna un fideismo, fin dall'inizio, che procede con atti di volontà che superano ed ignorano la ragione, esclusivamente accettando uno schema che li impone come necessari e voluti da Dio. Chi pretende di sottoporre all'esame della ragione questi atti (come la vendita dei beni, il sottoporsi a scrutini che ledono privacy e foro interno, andare per le case come novelli Testimoni di Geova, dare la precedenza assoluta alle pratiche e necessità del Cammino rispetto ai propri doveri di stato eccetera) viene considerato di volta in volta un incredulo, un pagano, uno schiavo di mammona, un bigotto, un irriconoscente verso Dio che lo avrebbe eletto tramite il Cammino neocatecumenale.

Manca nel cammino la parte catechetica in cui si nutre questa fede… qualora ci fosse. Il Kerygma, come lo chiamano loro, attiva la fede, la dona con l’ascolto ma poi va protetta, nutrita, l’anima va portata a perfezione ognuno secondo i propri carismi, ma questo è il dispositivo che manca, in quanto sono strumenti che mancano all’iniziatore. Che tradisce il suo volontarismo luterano in ogni minimo dettaglio del suo eloquio: “Il Signore non ha permesso di sposarmi”… casomai tu hai deciso di “non farlo…”

Misoginia e forzatura vocazionale

Il modo di considerare il peccato e la donna, da parte dell’iniziatore, si ripercuotono sul cammino stesso. Équipe e catechisti itineranti fanno guerra psicologica ai giovani etichettandoli come falliti se non si sposano o non si fanno preti, ma sono in contraddizione: i catechisti itineranti sono né preti né coniugi con un esperienza di vita molto distante da quella di una coppia o di un sacerdote, non sono credibili né autorevoli in nessuno dei due contesti.

Eresia fideista

Il fideismo che viene richiesto fin dall'inizio per attuare una sequenza di scelte personali e familiari secondo una rigida scaletta, prevedendo "punizioni" se non ci si attiene ad essa, viene applicato anche allo stesso modo in cui ci si approccia ai dogmi di fede, escludendo per essi il vaglio della ragione.  Naturalmente i dogmi vengono rivisitati secondo la "teologia" kikiana, spesso svuotati dall'interno, come la visione stessa delle realtà ultime, il giudizio particolare, che consiste in una promozione a pieni voti se si è  camminato e nel Purgatorio se si è  "fatto male" il Cammino, la santità della Chiesa, limitata storicamente al periodo pre Costantino e post Concilio Vaticano Ii, gli stessi dogmi mariani, i più  invisi ai protestanti e ai filo-protestanti, in particolare l'assunzione al cielo della Vergine equiparata alla morte del buon catecumeno.

A pagina 94 dopo un groviglio di affermazioni contraddittorie si configura formalmente l’eresia fideista contro il Vaticano I che dice il dogma è razionale e ragionevole pertanto va creduto. “Credere che Gesù è il Signore –attesta Kiko– non è una verità razionale”, e ribadisce che non è una questione razionale. Ecco come si corrompe il popolo di Dio. In lingua italiana una cosa "non razionale" è irragionevole, e ciò che è irragionevole è sciocco e non è da credersi.
Al modo luterano Kiko esclude il vaglio della ragione al contenuto di fede. 

Libero esame della Scrittura e ricerca della felicità

L'esame della catechesi dei Tre Angeli di Kiko, rivela una pratica protestante che è il libero esame della Scrittura e svela anche i motivi della profonda "tristezza" che permea il Cammino: la ricerca della felicità infatti viene considerata, in nuce, peccaminosa, proprio per una personale e libera interpretazione kikiana delle frasi di San Paolo.

Ce n’è per tutti i gusti: a pagina 97 dà un esempio di libero esame della Scrittura, altra eresia. “Cristo è morto per tutti perché non vivano per se stessi”: allora cosa è vivere per se stessi? Kiko dice: “vivere per se stessi è cercare la propria felicità e questa è una cosa grave... un ragazzo va all’università cerca il lavoro e una ragazza e questo è un male grave, perché è causa del peccato originale”. 

Kiko confonde la concupiscenza della carne con la felicità. San Paolo non intende affatto questo; vivere per se stessi è vivere egoisticamente secondo la carne che fa guerra allo spirito, cioè un uomo con un solo orizzonte immanente. Antropologicamente il dire che la ricerca della felicità è un male è una boiata. E tutta la catechesi di Kiko è fondata su questa sua opinione.

Eresia del "sola Grazia" e svalutazione della volontà umana

Il battesimo, per Kiko come per una certa predicazione protestante, deve essere consapevole (quindi fatto da adulti, così  come il suo battesimo bis al Giordano).

Inoltre il Sacramento perde di validità se non viene continuamente rinverdito dalla predicazione neocatecumenale.


A pagina 103 mette in bocca a San Giovanni Paolo II: “se un battezzato lascia di praticare e decide di essere lui a dirigere la propria vita, il suo battesimo rimane come morto”. Io penso che mai e in nessun caso Wojtyła avrebbe detto una cosa simile. Bugiardo! Non dice questo. (cfr. Catechesi sul battesimo, Angelus del 3/3/2002) Di quella frase è evidente la paternità esclusiva kikiana, in quanto è ragionevole ritenere che Kiko pensi che un battezzato praticante non decida della propria vita, riappare l’eresia volontarista di Lutero: “sola grazia”.

Un passaggio palesemente giustapposto nello stile e nel contenuto con tanto di citazione del CCC 406 è a pagina 106: “Noi non siamo protestanti, il peccato originale non ha distrutto interamente la natura umana”. Ah! Allora l’hai studiata la teologia, Kiko, o no? Oppure te l’hanno fatto aggiungere come una pezza peggiore del buco? A casa mia si dice excusatio non petita, accusatio manifesta! Il peccato ha come ricompensa l’inferno, alta escatologia.
 

Non tutti gli uomini sono figli di Dio?

Andiamo avanti, io non so se se le inventa la notte: pagina 109, “Non tutti gli uomini sono figli di Dio. Tutti sono creature divine.” Una baggianata più grossa dell’altra, forse che alcuni hanno una natura umana diversa dagli altri? Tutti gli uomini sono figli di Dio, i Cristiani godono una 'figliolanza speciale' per i meriti che Cristo ci ha guadagnato con la sua morte e resurrezione. Ci sono diversi tipi di figliolanza, ma tutti siamo figli di Dio. Kiko è specialista di bestemmie logiche e di contraddizioni semantiche come questa. Una cosa o è divina o è creata, non si dà un terzo. Dire creatura divina in teologia in una catechesi a migliaia di persone, è come dire “rutto elegante” o “acqua asciutta”. Una contraddizione in termini in cui Kiko non incorrerebbe se avesse studiato almeno il catechismo. Ma lui si ostina a parlare di cose che non sa con noiosa pertinacia e con dissacrante superficialità.

Ruolo del credente nella società

Sulla questione politica e sociale, della giustizia sociale, Kiko ha le posizioni delle sette protestanti pentecostali e dei testimoni di Geova: il mondo e la politica sono del diavolo, principe di questo mondo, qui vince sempre il demonio, nazismo, comunismo, ateismo. Così certifica la sua ignoranza vergognosa della storia della chiesa e del monumentale e poderoso magistero di Giovanni Paolo II sulla dottrina sociale e di come la Chiesa, sia sempre stata in 2000 anni paladina della giustizia sociale, basti citare Montesinos, De Vitoria, Las Casas, studiosi dello Ius gentium dell’Aquinate e questi vengono prima di Marx. Per non parlare della Rerum Novarum e di tutto ciò che è seguito, fino ad Aldo Moro. Ma questo è arabo per Kiko e i suo catechisti. Caro Kiko, un cattolico è tenuto a scendere in politica e può fare la differenza e ciò è lodevole.

Dio ti ama così come sei... perciò, non cambiare!

Prepariamoci alla castroneria più grossa del libro che metterei in grassetto. È un po’ come un pilota di formula uno che confonde un rettifilo con un curva, uno che in teologia confonde natura divina con grazia. “Il battesimo conferisce la natura divina”. 

Kiko mostra disprezzo e nausea per la devozione popolare, compresa quella eucaristica, e per il Santo Rosario. Un’accozzaglia di termini Kikiani “catechesi seria”, “Kenosis”, “esperienza di morte ontica”... 40 anni che tutti quelli usciti da questa catena di montaggio parlano con questi termini bizzarri, a parte questo, non è rara nella sua foga la tendenza ad essere pericolosamente ambiguo su argomenti delicatissimi di fede e morale. “Per amarti Dio non ha bisogno che tu sia buono che lasci la tua amante.” Adesso, chi ha studiato 10 anni di filosofia e di teologia ed è “del mestiere”, sa che probabilmente - e speriamo voglia dire - che Dio ci ama per primo con i nostri peccati… Sì, ma detto ai poveri delle favelas, alla gente che non è “del mestiere” potrebbe suonare come: “continua ad andare a letto con la tua concubina, che tanto Dio ti ama così come sei”. Un po’ come il volemose bene e l’ammore che trionfa su tutto che serpeggiano nella Chiesa oggi.

Ovviamente nei suoi sproloqui non esiste la differenza fra peccato mortale o veniale o peccati diversi da quelli sessuali: per Kiko son tutti sessuali e mortali.

Kiko vuole evangelizzare chi è già devoto

Giù ancora con l’antropologia Kikiana secondo cui la ricerca del bene e della felicità è un male. Quando sappiamo tutti quelli che hanno l’Aquinate per maestro che è una costante antropologica, naturale, l’uomo tende al bene per natura, ma no, per lui è qualcosa che lo tiranneggia che lo schiavizza: antropologia luterana. Esempi stucchevoli sulle prostitute di Roma, sulle carceri -spot per Pannella - e poi rivolgendosi ai coniugi, lui che non è sposato e non sa cosa sia la teologia, dice: “Lo Spirito Santo ti aiuta a lavare i piatti”. Andiamo avanti nell’estenuante lettura qui Kiko dice dove sarebbe il caso evangelizzare, nelle zone dove c’è forte devozione popolare cioè dove hanno già la fede e nelle zone secolarizzate. Allora ha l’intenzione di sostituire col cammino la devozione popolare? Il Kerygma non è da annunciare a chi ha già la fede, lì devi catechizzare e formare le coscienze, cose che i neokatekikos non sono in grado di fare perché ignoranti.

Come i protestanti, non ama le immagini e le opere d'arte che ispirano devozione; vuole smantellare i simboli della fede cattolica.

Secondo Kiko non si può evangelizzare attraverso simboli religiosi di fede cristiana come una cattedrale, perché i non credenti hanno pregiudizi. È ignominioso, detto da un sedicente artista, disprezzare le cattedrali medievali. Ci vogliono nuovi segni che tocchino l’uomo moderno, dice Kiko, dunque smantelliamo i simboli del cattolicesimo: ecco perché vogliono celebrare al modo loro e mai in chiesa. Dov’è finito lo spirito di cortile dei gentili di cui si fregiava poco fa? Ci adattiamo ai peccatori e ai pagani rinunciando ai nostri simboli per far contenti i lontani. Non sa Kiko che il vero stile del cortile dei gentili è dialogare di fede con l’ausilio della ragione, come la chiesa insegna da 2000 anni. Come lui vuole dialogare smantellando la propria identità cattolica e simboli cattolici si chiama luteranizzazione, oppure sottomissione, che in arabo si pronuncia islam.

Presenza reale e unico altare (non tre)

L’altare poi è uno e non tre come lui attesta, anzi dice “l’altare è l’eucaristia” (sic). L’eucaristia è un sacramento e non è un altare. Il corpo di Cristo e Dio stesso e non è “divinizzato” come dice lui, da qui si coglie la confusione che ha sulla presenza reale. L’altare è alter Christus nel senso che è Cristo stesso, ed è uno non possono essere tre. L’altare, solo per analogia è croce e trono. Nella tradizione cristiana non esistono che il talamo e l’altare. E l’altare, poi, non è tavola dove si mangia. Né la mensa della famiglia, né il talamo degli sposi è consacrato dal vescovo, e l’altare viene baciato prima di usarlo perché contiene le reliquie dei santi martiri, caro Kiko, solo l’unico altare lo è.

Dire che gli altari sono tre, equivale togliere sacralità all'unico altare.



La domanda è: quanto hanno influito su Kiko gli studi di liturgia fatti dalla scuola ereticale luterana? 

E quanti di questi insegnamenti eterodossi passano nelle 100 piazze visto che questa catechesi viene data come riferimento per la predica laica che il catechista di turno espone ai passanti?

lunedì 22 agosto 2022

Lo ama, ha un figlio con lui, ma non lo vuole sposare perché non è in Cammino

Recentemente abbiamo raccontato la storia di due fidanzati e della rottura del loro rapporto perché, come direbbe Kiko Argüello, erano "disuguali".

E cosa vuol dire per il leader e fondatore del Cammino Neocatecumenale essere disuguali? Cosa porta, a suo parere, all'impossibilità di contrarre un matrimonio felice che possa riunire la nuova famiglia nella grazia di Dio?  

Semplicemente  che, nella coppia, un componente appartenga al Cammino neocatecumenale e l'altro no.

Purtroppo i drammi nelle coppie che si fidanzano o desiderano sposarsi dovuti a questa "difformità", sono tutt'altro che infrequenti.

In un forum abbiamo letto questa richiesta di aiuto da parte di un giovane che si trova a vivere una situazione del genere sopra descritto e che, nonostante tutte le sue più  buone intenzioni, sembra essere senza uscita.

 

Lui, lei, l'altro

«Ciao a tutti sono nuovo del forum e volevo chiedervi aiuto perché sono disperato. 

Sono un ragazzo di 23 anni, papà di un bimbo di 3 anni che amo tantissimo. Ho una relazione con la madre di mio figlio da quasi 5 anni, il problema è che lei e la sua famiglia sono neocatecumenali ed io con la chiesa non avevo mai avuto niente a che fare (non che sia un male, ma semplicemente sono stato educato con la possibilità di scegliere). 

Lei è una ragazza speciale a cui tengo tantissimo, il problema è che al suo fianco mi ha fatto capire che vuole solo un uomo che entri per forza nella comunità neocatecumenale nonostante mi ami e me lo ha sempre dimostrato sarebbe pronta a rinunciare a me, mettendo dio davanti a tutto e tutti (figlio compreso)

Tra l'altro pensate che da quando è nato mio figlio non è mai voluta andare a convivere perché contro la convivenza e pro solo al matrimonio, quindi per stare con mio figlio mi ritrovo ad essere ospite a casa dei suoi. 

Ero convinto che fosse lei quella giusta nonostante tutte le difficoltà che abbiamo affrontato e con il tempo siamo cresciuti tanto come coppia ma adesso mi trovo davanti a un bivio e non ho davvero idea di cosa fare, anche perché ci ho provato ad entrare in comunità ma non riesco davvero a trovare la fede. 

Quando stiamo tutti e tre insieme è tutto perfetto e non riesco ad immaginarmi un futuro senza la mia famiglia perché tale la considero. Sono disperato, a volte mi sveglio la mattina e penso di essere io quello sbagliato, sono sempre nervoso ed ho paura di buttare una relazione così bella e piena soltanto perché secondo loro i matrimoni si fanno solo tra neocatecumenali. Vi chiedo solo un consiglio, scusatemi per lo sfogo.

Secondo me il problema vero è che dentro di me in questi cinque anni ho dato troppe cose per scontato, dopo tutto questo tempo scontrarsi con la realta fa davvero male. Ci ho parlato poco fa e mi ha detto che mi ama tanto ed è l'ultimo dei nostri problemi ma mi ha anche ribadito che non scenderà a compromessi e che secondo lei la comunità è l'unico modo per vivere su questo pianeta altrimenti nulla avrebbe senso!!! Sono una persona che grazie a dio non ha mai avuto problemi a trovarsi ragazze ma in questo momento anche solo l'idea di dover cominciare tutto da capo mi fa impazzire, con un bambino poi... Comunque per quanto riguarda la custodia non c'è ne sarebbe bisogno perché lei tiene davvero al fatto che il bambino abbia entrambe le figure genitoriali. A questo punto spero solo che possa andare il meno peggio possibile, anche perché qualsiasi scelta sarebbe difficilissima in una situazione simile».

 

Sono passati alcuni anni da questo appello disperato e speriamo sinceramente che questa coppia di giovani abbia trovato la "quadra" del proprio rapporto possibilmente senza intromissioni o pressioni terze di familiari o, peggio ancora, di fanatismo ed elitarismo di stampo settario.

L'importante, nel rapporto, è  che ci sia chiarezza e rispetto dell'altro, perché altrimenti ci si può ritrovare nella triste situazione descritta da una interlocutrice del forum:


«Io per amore mi sono incastrata in questa setta ed oltre a vedere perduta la vita di mio marito ho perso ogni libertà. 

Purtroppo cerco di svegliarlo da questo sonno ma quello che inculcano nel cervello delle persone cancella ogni buon senso e autonomia di pensiero... io mi sento in prigione, da sola e anche io sono ad un bivio deleterio. 

Quello che mi sento di dirti è di non entrarci mai perché  uscirne senza danno sociale è impossibile...»






venerdì 19 agosto 2022

I Vescovi polacchi chiedono ai nuovi movimenti di non anteporre i loro carismi e pratiche particolari alla fedeltà alla Chiesa, alla sua dottrina, alla sua morale e alla sua liturgia

Il documento "Criteri per l'ecclesialità delle comunità cattoliche" è stato approvato nella riunione del Comitato per la Dottrina della Fede dell'Episcopato polacco il 14 maggio 2022 ed è stato presentato nella prima settimana di giugno. 

In questo documento, i vescovi polacchi esortano i nuovi movimenti ecclesiali ad essere fedeli alla fede, alla morale e alla liturgia della Chiesa e chiedono ai nuovi movimenti di non anteporre i loro carismi e pratiche particolari alla fedeltà alla Chiesa, alla sua dottrina, alla sua morale e alla sua liturgia.

Per chi volesse approfondire le tematiche affrontate, mettiamo a disposizione la nostra traduzione del documento completo "Criteri per l'ecclesialità  delle comunità  cattoliche" tratto dall'originale pubblicato dalla Conferenza Episcopale Polacca.

Il documento preparato dal Comitato per la Dottrina della Fede della CEP, presieduto da Mons. Stanisław Budzik, Arcivescovo di Lublino, spiega che la Chiesa fin dall'inizio della sua esistenza ha cercato di indicare i criteri che permetterebbe di distinguere ciò che nelle attività di determinate comunità viene dallo Spirito di Dio e ciò che viene dallo spirito di questo mondo . E lo fa anche oggi. Da qui la necessità di sviluppare questo documento, tenendo conto delle tendenze attuali nella Chiesa.

I vescovi polacchi avvertono che “il dinamismo della vita spirituale, così chiaramente visibile nell'esistenza e nell'attività delle comunità o dei movimenti di formazione ed evangelizzazione, non è esente dal rischio di distorsioni ”. Questo perché " lo spirito di questo mondo ha avuto un'influenza deformante e di conseguenza distruttiva sul dinamismo di alcuni gruppi o comunità fin dai tempi apostolici".

Il documento - si legge nell'introduzione - non stabilisce nuove regole per il buon funzionamento delle comunità o dei movimenti di formazione ed evangelizzazione. Né ha valore giuridico.  Si rivolge a tutti i membri, dirigenti, fondatori e superiori delle comunità come strumento utile per discernere la comunione di una data comunità con la Chiesa universale e il suo sano funzionamento e sviluppo adeguato. 

Lo scopo del testo è preservare, proteggere e sostenere il grande bene che le comunità e i movimenti di formazione ed evangelizzazione rappresentano nella vita della Chiesa cattolica, assicurando al tempo stesso che conservino il pieno deposito della fede e il modo di operare della Chiesa in piena comunione con lei e con i suoi pastori.

Il documento è radicato nello spirito e nell'insegnamento del Concilio Vaticano II, che ha parlato del valore speciale dell'apostolato dei laici . San Giovanni Paolo II, alla vigilia della solennità di Pentecoste del 1996, ha spiegato che «uno dei doni dello Spirito Santo per il nostro tempo è certamente il fiorire dei movimenti ecclesiali (…). Sono una testimonianza della molteplicità dei modi in cui l'unica Chiesa si esprime e costituiscono una novità indiscutibile, del cui significato positivo e della cui utilità per il Regno di Dio nel mondo di oggi dobbiamo essere pienamente consapevoli.

Struttura del documento

La prima parte del documento è dedicata alla formulazione e spiegazione dei criteri dottrinali in base ai quali una determinata comunità o movimento di formazione ed evangelizzazione può essere considerata cattolica , cioè in comunione con la Chiesa universale.
La seconda parte individua e discute i criteri teologici e pastorali per il buon funzionamento delle comunità in comunione con la Chiesa universale. 

Questi criteri si basano sugli attributi della Chiesa come una, santa, cattolica e apostolica, come definita nella professione di fede del Credo niceno-costantinopolitano e si riferiscono ai frutti dello Spirito Santo menzionati da san Paolo nella Lettera a i Galati.

Criteri dottrinali di base del cattolicesimo

Il primo criterio che prova l'unità di un determinato movimento con la Chiesa universale è «la piena accettazione della fede che la Chiesa professa». Spiega anche che "il rifiuto di una qualsiasi delle verità di fede rompe la comunione con la Chiesa universale".

 Inoltre, la fede deve essere integrale affinché «una verità di fede non possa mai essere proclamata a costo di minare o indebolire altre».
Un criterio importante è anche “il rispetto del culto, specialmente delle sue forme , che sono state confermate nella tradizione secolare della Chiesa”. 

Si ricorda che nessuna comunità o movimento può «rifiutare, modificare o interpretare liberamente - oltre i limiti consentiti dalla corrispondente autorità spirituale - le forme liturgiche che definiscono le modalità della celebrazione liturgica, soprattutto quando si tratta della celebrazione dell'Eucaristia e di altre sacramenti. Per questo «può essere preoccupante promuovere nelle comunità e nei movimenti nuove forme di preghiera e di pietà che siano chiaramente contrarie a quelle tradizionali , liturgiche o non liturgiche».

Un altro criterio del cattolicesimo è la questione del rispetto dell'insegnamento morale della Chiesa. Il documento ricorda che “il rifiuto dell'insegnamento morale della Chiesa da parte di una comunità o di un movimento rende impossibile riconoscere quel gruppo come comunità cattolica”. Criticano anche l'idea che l'incontro personale con Dio possa essere separato proprio dalle esigenze morali del Decalogo, del Vangelo e, più specificamente, da quelle segnate da Cristo nel Discorso della Montagna.

Il criterio della cattolicità di una determinata comunità o movimento è anche la corretta trasmissione del deposito della fede della Chiesa . Si sottolinea che «rifiutando uno qualsiasi dei libri della Sacra Scrittura (...) separando o contrapponendo la Sacra Scrittura alla Tradizione come unico sacro deposito della fede affidato alla Chiesa, e ledendo la competenza esclusiva del Magistero della Chiesa ad autenticare spiegare la parola di Dio, hanno come conseguenza l'esclusione dalla comunità in cui si verificano tali situazioni, dalla comunione con la Chiesa cattolica». Inoltre, «modalità e modalità di lettura e interpretazione della Sacra Scrittura che si basano più su associazioni individuali o intuizioni di membri o dirigenti comunitari che nella Tradizione interpretativa della Chiesa devono essere considerati come evidenti e pericolosi abusi»

I sacramenti sono una priorità

Il criterio per la cattolicità di un determinato movimento è il suo stesso atteggiamento verso i sacramenti. Il documento ricorda che “nessuna comunità e nessun movimento appartenente alla Chiesa cattolica può, nella predicazione o nella pratica, anteporre all'azione sacramentale qualsiasi altro segno, forma, preghiera o azione paraliturgica”. 

Per questo le comunità che danno «maggiore importanza ai carismi e ai doni straordinari (come, ad esempio, il dono della guarigione, il dono delle lingue, il dono dell'interpretare le lingue) rispetto all'amministrazione dei sacramenti e alla celebrazione del liturgia sacramentale, si situano (...) al di fuori della fede della Chiesa cattolica».

Inoltre, il documento richiama l'organizzazione gerarchica della Chiesa, che è legata al trasferimento della successione apostolica. Pertanto, qualsiasi servizio al Popolo di Dio può essere svolto solo in unione con il Vescovo e il suo presbiterio. Pertanto, «ogni opposizione alla struttura sacramentale, apostolica e gerarchica della Chiesa istituita da Cristo con carismi o doni straordinari deve essere considerata essenzialmente incompatibile con la fede della Chiesa».

Il criterio del cattolicesimo - come ricorda il documento - è anche l'accettazione della verità che «sono i vescovi ad amministrare le Chiese loro affidate come sostituti e lasciti di Cristo». 

Così, «la missione pedagogica affidata a vescovi e presbiteri non può essere trascurata in una comunità o movimento sano, né sostituita o posta al di sotto dell'insegnamento del capo comunità»

Si ricorda inoltre che «l'ordinamento interno delle norme e delle leggi applicabili in una determinata comunità non può essere in contraddizione con il Codice di diritto canonico e con le decisioni emanate con effetti canonici e giuridici dalla competente autorità spirituale».

Criteri teologici e pastorali

Oltre ai criteri dottrinali, il documento della Commissione per la Dottrina della Fede della KEP cita anche criteri teologici e pastorali, che consentono di definire il corretto funzionamento e lo sviluppo di comunità o movimenti. Più precisamente, i criteri derivano dalle quattro caratteristiche della Chiesa e si riferiscono ai frutti dello Spirito Santo. Questi sono:

  • Sforzarsi di costruire unità.  Il documento sottolinea che “l'unità sul modello della Santissima Trinità significa che la Chiesa non solo non elimina le differenze tra i singoli membri e le comunità, ma costruisce anche la propria identità e consente la vera diversità”.
  • Rispetto della diversità, perché «la diversità esprime la ricchezza dell'azione dello Spirito Santo che costruisce l'unità della Chiesa a partire dai vari doni che essa offre, e non attraverso l'unificazione delle forze umane».
  • La ricerca della santità, perché «ciascuna delle comunità appartenenti alla Chiesa universale è chiamata a percorrere la via della santità, consapevole che è proprio su questa via che il mistero del già e dell'ancora» dell'azione salvifica di Cristo.
  • La consapevolezza di essere in cammino che «è in relazione con la virtù teologale della speranza che fa del cristiano un pellegrino, cioè un uomo in cammino (homo viator) verso la casa del Padre».
  • Consapevolezza dello stadio attuale della storia della salvezza.
  • Il rispetto dell'universalità e apostolicità della Chiesa.
  • I frutti dello Spirito Santo, come l'amore, la gioia, la pace, la pazienza, la benevolenza, la bontà, la fedeltà, la mitezza, la temperanza. 

Il documento afferma che:

«sebbene l'elenco di cui sopra non possa essere trattato come un catalogo rigorosamente definito delle caratteristiche di una buona comunità, la costante mancanza dei suddetti frutti dello Spirito di Dio nelle relazioni mostra che lo stato della comunità richiede una seria riflessione e attento esame.»


Membri del Comitato Dottrinale

Il presidente del Comitato CEP per la Dottrina della Fede è l'arcivescovo Stanisław Budzik, ei membri sono: monsignor Andrzej Czaja, monsignor Jacek Kiciński, monsignor Marek Marczak, monsignor Piotr Turzyński. Il segretario della commissione è P. Antoni Nadbrzeżny, ei suoi consulenti sono: fr. Krzysztof Bardski, P. Marek Chmielewski, P. Bogdan Czestochowa, P. Tadeusz Dola, P. Bogdan Ferdek, P. Marek Gilski, P. Krzysztof Góźdź, P. Krystian Kałuża, P. Jacek Kempa, p. Jan Perszon, P. Mateusz Przanowski OP, P. Maciej Roszkowski OP, P. Kazimierz Wolsza e P. Mirosław Wróbel. 

Rappresentano 9 diocesi e 8 università e l'Istituto Tomista Domenicano di Varsavia.

martedì 16 agosto 2022

"È una Messa o un apericena?"

"È una Messa o un apericena?" è l'esclamazione stupita di un lettore che ha visto l'immagine di questa "mensa" neocatecumenale, pubblicata dal blog Cruxsancta.

Infatti, oltre alle consuete immagini di pani già preventivamente spezzati nelle patene ottagonali tipiche del Cammino neocatecumenale, sul tavolone-mensa non consacrato che sostituisce l'altare nelle celebrazioni istituite da Kiko Argüello e da Carmen Hernàndez, due laici spagnoli che, nel proprio movimento ecclesiale, dettano legge su tutto, anche sulla liturgia eucaristica cattolica, vediamo  un'impressionante batteria di bicchierini in vassoi metallici, non si comprende bene dalla foto se già riempiti con il vino da Messa o da riempire con il Sangue di Cristo dopo la consacrazione.

L'esclamazione dell'ignaro lettore, "ma è una Messa o un apericena?" è del tutto comprensibile e per nulla blasfema, dal momento che, neppure nelle più sfrenate fantasie, quell'immagine può rimandare al santo sacrificio della Messa Cattolica!

Ed infatti, andando a cercare le immagini simili su internet, sono saltate fuori foto di tavolate, di esposizione di cibi, di presentazioni di vivande, di catering, e neppure un'immagine di una Santa Messa cattolica!

(Se vi chiedete che immagine sia la seconda a destra, si tratta di una fila di persone che vogliono provare l'esperienza di stare distese in una vera e propria bara).

Lasciamo ai lettori il commento di questa immagine. Era da aspettarselo, che questi impenitenti abusatori eucaristici sarebbero passati dai calicetti dei concelebranti (che, abbiamo visto in un video girato al Seminario di Macerata, vengono però fatti bere ai catechisti prima ancora che ai sacerdoti) ai bicchierini con il Sangue di Cristo per coloro che dai neocatecumenali vengono ritenuti i veri concelebranti, cioè l'assemblea dei fratelli: esattamente come nelle sante cene protestanti.

Vassoi e bicchierini usa e getta
per sante cene protestanti

Resta da vedere se i bicchierini vengono riempiti prima o dopo la consacrazione (con rischio di spargimento), se vengono consegnati sui mega vassoi da solerti ministranti, se i fedeli si accostano alla mensa e li bevono singolarmente

Santa cena protestante:
il momento del "brindisi"(53'16")
o, ancor peggio, se vengono trattenuti e bevuti tutti insieme con il sacerdote, in una sorta di blasfemo brindisi, così  come avviene per la manducazione del pane; si cancella così definitivamente la comunione del sacerdote all'altare, sovrapponendola con la comunione sacerdotale dell'intera assemblea.

Per non parlare poi della purificazione...

Kikalvino
Siamo davanti purtroppo alla trasformazione della Eucarestia cattolica nella santa cena protestante.

Diceva infatti Calvino, riformatore protestante:

"Dio ci ha donato una tavola per la festa, e non un altare per offrirvi una qualsiasi vittima; non ha consacrato dei preti per offrire dei sacrifici, ma dei ministri per condividere con gli altri il banchetto sacro".

Esattamente ciò che vediamo realizzato, nei fatti e ormai fin nei particolari, sulle mense neocatecumenali del sabato sera.


sabato 13 agosto 2022

Un Kiko mitologico, povero tra i poveri nel borghetto latino di Roma

La vulgata del Cammino neocatecumenale, basata sui racconti dei suoi stessi iniziatori, ha sempre accreditato la versione del Cammino neocatecumenale  nato tra i poveri e per i poveri, a Madrid nelle baracche di Palomeras "altas" e poi a Roma, dove Kiko si stabilì nel borghetto latino, cioè in una zona in cui vi erano delle casette popolari accanto a costruzioni precarie.

Della sua permanenza a Madrid abbiamo già avuto occasione di parlare, quindi in questa sede cerchiamo di approfondire la presenza di Kiko nelle baracche di Roma.

Racconta Kiko stesso, nella sua testimonianza alla Cattedra di S.Giusto a Trieste il 27 marzo 2012,  che fu una decisione presa dopo che più di un parroco si era rifiutato di mettergli a disposizione l'evangelizzazione nella propria parrocchia:

«E lì nella parrocchia vicina al Borghetto Latino c’è la parrocchia di San Giuda e Taddeo, ho parlato col parroco e mi ha detto: “C’è una suora che lavora nella borgata”, l’ha chiamata e dice: “Questo vorrebbe un posto dove vivere coi poveri in preghiera, in contemplazione, vivere con loro, secondo le orme di de Foucauld, allora questa suora ha trovato un pollaio. Nella spazzatura abbiamo trovato delle porte, uno mi ha regalato una cucinetta, un altro un letto, e ho portato a vivere con me un seminarista. Carmen è andata a vivere dalle suore di Santa Brighitta in piazza Navona ed io al Borghetto Latino, sperando che Dio ci aiutasse.  
Una volta sono passati dei giovanotti della parrocchia dei Martiri Canadesi, non so chi aveva parlato loro di me e sono rimasti impressionati e mi hanno invitato ad un incontro dei giovani».

Lo stesso Kiko ammette che il suo obbiettivo era stato fin dall'inizio venire a contatto con il Papa  (e don Dino Torreggiani era ben introdotto in Vaticano) e riformare le parrocchie; in particolare le parrocchie in cui fece nascere le prime comunità neocatecumenali non furono popolari ma borghesi. E si appoggiò sempre agli altri, soprattutto a preti, parrocchie e istituti religiosi al punto tale che persino il "pollaio" delle Palomeras romane glielo trovò una suora. E il viaggio per venire in Italia la prima volta lo pagò loro don Torreggiani con una borsa dell'Azione Cattolica; lo rivela Kiko sempre nella sua testimonianza a Trieste del 2012, peccato abbia omesso di dire chi ha poi pagato tutti gli altri viaggi avanti indietro fino ad ora.

Dalla lettura del libro "Intervista a Francesco Cuppini", che fu il primo presbitero a far parte della èquipe di Kiko e Carmen dal loro arrivo in Italia, traiamo un quadro del tutto diverso rispetto alla versione edulcorata e mitologica dei siti curati dai neocatecumenali che si basano sul racconto degli iniziatori.

Kiko e Carmen arrivano a Roma nella prima settimana  di giugno del 1968 su invito di don Dino Torreggiani, che pensava di aver trovato le persone giuste per evangelizzare i capelloni di piazza Navona.

Ma Kiko «nicchiava; dormiva fino a tardi, andava al cinema... un vero disastro come acquisto apostolico».

Infatti ricordiamo che Kiko e Carmen recavano con sé  una lettera di presentazione di Morcillo, vescovo di Madrid, che diceva "il sig. Francisco Argüello, residente a Madrid, dedica tutto il suo tempo all'evangelizzazione delle classi più umili" ed era per questo che don Torreggiani li aveva invitati ed ospitati a Roma. È  chiaro che la sua aspettativa fu del tutto tradita dai due.

Così, già nell'agosto del 1968, don Dino manda i due aspiranti riformatori delle parrocchie spagnoli a fare i "predicatori di sostegno" presso la casa canonica di Ventoso, provincia di Reggio Emilia.

Lì  conoscono don Francesco Cuppini che, visto che si era scandalizzato dal doverli ospitare sotto lo stesso tetto nella casa canonica, li doveva portare a dormire a Reggio Emilia nella casa dell'Istituto Servi della Chiesa (fondato da don Torreggiani) e tornare a prenderli al mattino.

Dopo l'estate Kiko e Carmen tornano a Roma, ed è allora che Kiko, per dimostrare indipendenza rispetto alle richieste di don Torreggiani e probabilmente per evitare d' essere da lui tenuto sotto controllo, si fa assegnare da una suora il famoso pollaio nel borghetto latino che ristruttura, con l'aiuto di altri, per farsene un alloggio.

Secondo quanto dichiarato da Kiko nel 2020 ad Aquilino Cayuela per le Note biografiche di Carmen (pag. 235), anche Carmen seguì il suo esempio, ma fu cacciata via dal borghetto latino per schiamazzi notturni.
«Quando giunse a Roma, Carmen alloggiò dalle suore di Santa Brigida, che le hanno lasciato una stanza; in seguito una signora le lasciò una capanna, una parte di una baracca, davanti a quella di Kiko, a circa cento metri. Dopo un po', tuttavia, la cacciò via perché le persone che ci visitavano non la lasciavano dormire. Per questo dovette tornare dalle suore di Santa Brigida».
Evidentemente nelle baracche di Roma la gente, che lavorava di giorno, la notte voleva dormire e non era ammessa la vita disordinata e notturna dei due spagnoli e dei loro amici.

A ottobre 1968 don Cuppini li raggiunge a Roma e  "celebrano" l'Eucaristia nella baracca (nessun accenno ai partecipanti); si sa però che contemporaneamente vengono allestite le catechesi nella parrocchia borghese dei Martiri Canadesi e a inizio novembre nasce la prima comunità.

La Gran Via - Madrid
Il 17 novembre 1968 il terzetto Kiko Carmen Cuppini già non è più  a Roma: dell'agenda del sacerdote infatti risulta fossero a Madrid, e non certo nelle baracche di Palomeras.

Annota infatti don Cuppini: «Abitiamo in pieno centro, in calle Miguel Moya, 6 a lato della "Gran Via", in un appartamento di Marcelo Riesgo, amico di Kiko».

Il 24 novembre 1968 vanno a Lisbona, portati in macchina dai "fratelli" di Madrid, ove rimangono ospiti in  istituti religiosi e in un appartamento offerto dal parroco. Le catechesi comunque, annota don Cuppini, si risolsero in un flop.
Natale ed Epifania 1969 a Madrid.

A Pasqua 1969 sono ancora in Spagna e celebrano la Pasqua nella sacrestia della chiesa abbandonata di Fuentes.

A primavera si dirigono nella regione della Mancha, dove il padre di Kiko possedeva una villa con piscina, insieme alle tre sorelle di Carmen. Cuppini in quell'occasione faceva l'autista con la macchina del padre di Kiko.

A maggio 1969 sono a Roma ma già a giugno a Scandicci. Fino a metà ottobre, poi, di nuovo in Spagna. A novembre 1969 di nuovo a Roma per fare le catechesi a S. Francesca Cabrini. A dicembre a Napoli e a gennaio 1970 ad Ivrea. A marzo 1970 a fare Pasqua a Madrid, ad aprile a Roma a fare catechesi a S.Luigi dei Parioli, alla Natività e a santa Francesca Cabrini, che sono parrocchie ricche della capitale. 

Ad agosto pellegrinaggio in Terra Santa. Da novembre ad aprile 1971 in Spagna, Pasqua a Roma. Poi un tour a Firenze, dove alloggiavano nella casa di riposo degli artisti dello spettacolo viaggiante dei Servi di Maria; poi a Brescia, Bolzano, Trieste, Milano, Ivrea, ove Kiko e Cuppini rimangono ospiti in Seminario, Carmen presso una famiglia e tutti e tre pranzano sempre dal parroco don Antonio.

Il 1 luglio 1971 l'agenda di don Cuppini si interrompe perché il sacerdote viene richiamato definitivamente a Bologna.

Gli spostamenti avvenivano sempre in macchina, con un Citroën 2 cavalli che guidava sempre Cuppini, con camicia azzurro-prete-autista, visto che i due non sanno guidare.

Ma la baracca nel borghetto latino? Kiko evidentemente la teneva solo per rappresentanza. Costruita nell'autunno del 1968, fu abbandonata come abitazione stabile  per i periodi di permanenza a Roma nell'inverno dell'anno successivo;  sappiamo infatti dalle agende del presbitero che dall'inverno del 1969, Kiko, avendo avuto un'influenza  con febbre, fu ospite fisso, con Cuppini, a casa di Nunzio, della prima comunità dei Martiri  Canadesi, in via Lucchesi vicino alla Fontana di Trevi mentre Carmen, dopo aver fatto le valigie ed essersene andata dai "sagrestani" (l'Istituto Servi della Chiesa di don Torreggiani) fu ospite abitudinaria di Maura (itinerante della prima ora, quando i catechisti erano single su modello Kiko-Carmen) quando si trovava a Roma.

Cioè: la baracca era semplicemente la carta di identità di Kiko, la dimostrazione del suo essere altro, addirittura eversivo nei confronti della realtà ecclesiale, il suo distintivo di hippy anti clericale, mentre invece, nei fatti, si appoggiava in toto a istituti religiosi, ai pranzi nelle canoniche, ai seminari, prima ancor di scegliere la soluzione più  comoda e farsi direttamente ospitare (anche per le vacanze in montagna e al mare) dalle famiglie dell'alta borghesia sue adepte di comunità. E Carmen come lui, visto che addirittura si poteva permettere di scegliere fra un ospite e l'altro.

Nè pare facessero alcuna attività lavorativa, essendo ospiti non paganti e ricevendo donativi che poi, visto che Kiko "non faceva del pauperismo" (parole di don Cuppini) venivano spesi per frequentare bar, ristoranti e cinema sempre della zona bene di Roma, oltre che per fumare e per i loro viaggi per motivi familiari.

Quindi, con la semplice consultazione delle agende di don Cuppini, possiamo ridimensionare del tutto la mitologia del Cammino tra i poveri e la permanenza di Kiko in una baracca di Roma proprio per stare con i poveri della Capitale: è esattamente il contrario.
Altro che dottorato honoris causa di cui furono insigniti i due iniziatori iberici per la loro dedizione ai poveri!

In questo articolo, si possono vedere le immagini delle baracche del borghetto latino che fanno parte del fascicolo fornito ad un gruppo di pellegrini neocatecumenali filippini presenti a Roma nel maggio del 2018 per le celebrazioni del 50esimo del Cammino neocatecumenale.

Le famigliole filippine si sono recate di persona a visitare i "sacri luoghi" in cui il loro guru Kiko racconta di aver vissuto povero tra i più poveri, ora trasformati in parco, e hanno preso religiosamente pure delle immagini.

Un "valore aggiunto" l'ha fornito la presenza dell'ex Vescovo di Guam e "fratello" del Cammino neocatecumenale già allora condannato dal tribunale ecclesiastico per pedofilia, Antony Sablan Apuron, che Kiko impose al Papa nel parterre delle autorità religiose. Qui sotto lo vediamo in una foto sorridente e spensierato, sicuro di aver guadagnato comunque e sempre un posto al sole, e non una baracca da poveraccio, per i meriti acquisiti in favore del Cammino neocatecumenale.