Neocatecumenalizzazione di una chiesa tradizionale |
Sarebbe meglio però usare il tempo passato, “iniziava”, perché sono anni, se non decenni, che almeno qui in Italia pochissime nuove parrocchie “aprono” al neocatecumenalesimo. I pochi casi ormai sono solo quelli di presbiteri neocatecumenali ai quali viene assegnata una nuova parrocchia, nessun sacerdote che non sia neocatecumenale lo introduce più da tempo.
Il Movimento Neocatecumenale arriva in una parrocchia per due motivi: o l’apre un parroco neocatecumenale (e questo sarebbe il tentativo attraverso la formazione di “presbiteri” d’appartenenza sparpagliati nel mondo), o perché un parroco più o meno simpatizzante accetta di ospitarlo. Per diversi motivi: perché rimane abbindolato da una visita di catechisti programmata per i parroci delle parrocchie, perché ingenuamente pensa di attirare nuove persone in parrocchia, perché ha conosciuto alcuni neocatecumenali perbene…
Oggigiorno, ma da un bel pezzo ormai, i parroci non neocatecumenali che accettano il Movimento Neocatecumenale in parrocchia sono più rari delle mosche bianche, ma un tempo erano molti di più. Tanti non sapevano, si fidavano, venivano attratti dalla novità…
Poco cambia però se il parroco è neocatecumenale o meno: quando arrivano in parrocchia comandano i neocatecumenali, tranne rare situazioni in cui il parroco non neocat è forte ed allora può anche succedere anche che li allontani dalla parrocchia, se la fanno troppo da padroni.
Dal momento che si decide di “aprire” al Movimento Neocatecumenale, viene inviata un’equipe da parte di un’ ALTRA PARROCCHIA DIVERSA GIÀ NEOCATECUMENALIZZATA, normalmente scelta secondo vari criteri, ma comunque attingendo sempre nelle prime comunità.
I catechisti che “porteranno avanti” il Movimento Neocatecumenale, quindi, per definizione NON APPARTENGONO ALLA PARROCCHIA da neocatecumenalizzare. Ci vanno solo ad insegnare, perché loro “hanno la fede adulta” e quindi possono catechizzare i parrocchiani che “invece non ce l’hanno”. Poi tornano nel loro territorio e frequentano in tutto e per tutto la loro parrocchia di appartenenza. Fanno solo delle isolate incursioni. Della parrocchia oggetto d’incursione conoscono solo il parroco e quelli della prima e seconda comunità. STOP. Dalla terza comunità in poi, normalmente, non conoscono più nessuno (tranne i figli dei loro catecumeni), né neocatecumenali, né parrocchiani semplici. Aleggiano sulla parrocchia ma non ci stanno. Sono quasi invisibili.
In realtà, questi CATECHISTI IMPORTATI dalla fede adulta, quindi in grado di evangelizzare parrocchie intere, ripetono solo i mamotreti kikiani, parola per parola, imitando il modus di Kiko negli atteggiamenti, nel tono della voce, addirittura con la mimica del corpo.
Quello con la “fede adulta”, quindi, dovrebbe essere l’autore dei brogliacci, non chi li ripete solo a pappagallo: se venissero in possesso degli scritti, ripetere a pappagallo lo saprebbero fare anche i “parrocchiani dalla fede infantile”.
Peccato però che la fede adulta non l’abbia nemmeno l’autore degli scritti, come più volte ha dimostrato, e qui si pone un bel problema.
Catechisti che si muovono dalla loro parrocchia per andare ad "evangelizzare" in un'altra |
Ma rimaniamo nel discorso.
L’equipe ESTRANEA ALLA PARROCCHIA che deve neocatecumenalizzare, concorda col parroco i giorni degli “annunci”. Le catechesi solitamente si fanno o a ottobre, per finire prima di Natale, o a gennaio-febbraio, per finire prima di Pasqua. In questi ultimi anni si facevano anche a seguito delle missioni dopo Pasqua, ma si raccattava sempre pochissimo o addirittura nulla.
Nell’ultimo periodo era invalso anche il nuovo uso di fare una cosiddetta “missione” prima dei cosiddetti "annunci", in modo da propagandare un po’ quel “grande evento” che stava per accadere in parrocchia e per vedere se si racimolavano dei candidati. Successi? pari a zero.
A pensarci oggi, l’introduzione di questa modalità deve essere stata escgitata da quando il Movimento Neocatecumenale ha iniziato a perdere colpi. Prima le missioni di propaganda non si facevano perché non ce n'era bisogno.
Mi ricordo una volta che dovetti presentare io la mia "esperienza" durante la "missione". Prima di me avevano parlato persone con situazioni ed esperienze “bomba”, scelte apposta per impressionare. Io diedi la mia esperienza di una vita normale, che non aveva nulla di eclatante o eroico e, morale della favola, alla fine fui l’unica della giornata ad essere fermata da una signora che volle esprimere il suo apprezzamento, anche se poi alle catechesi non ci venne.
Questo per dire che la gente non ha bisogno di autoproclamati eroi, di super cristiani che dicono di accettare cose incredibili, che non mostrano umanità ma sono già arrivati. La gente ha bisogno di sentirsi uguale, perché molte vite sono normali e non hanno nulla di artificiosamente eclatante. La sfida infatti è proprio vivere la normalità e la quotidianità.
Comunque sia, l’équipe destinata alla neocatecumenalizzazione si presenta ad ogni Messa parrocchiale del sabato e della domenica per fare l’”annuncio”.
Spesso i parrocchiani non lo sanno e quindi si ritrovano ad ascoltare delle persone che non conoscono, ESTRANEE ALLA PARROCCHIA, che parlano dopo una breve introduzione del parroco dopo l’omelia o, in dei casi, al posto di quella (praticamente "omelie laicali" nella liturgia...).
Le consegne per fare l’annuncio sono di portare la propria testimonianza, evidenziando il “prima” e il “dopo” dell’esperienza neocatecumenale e solo alla fine invitare gli ascoltatori a partecipare agli incontri di cui vengono comunicati ora e giorni, due alla settimana.
Se ci sono difficoltà con figli o anziani, nessun problema, provvedono loro baby sitter o persone per compagnia, come anche il trasporto di quelli che hanno difficoltà a spostarsi o si pensa che non si muovano se non li si va a prendere.
Adesso no, la gente per lo più sa di che pasta è fatto il Movimento Neocatecumenale, ma prima i parrocchiani non sapevano chi fossero quelle persone, nemmeno immaginavano che se avessero aderito se li sarebbero ritrovati come “catechisti a vita”.
ESTRANEI arrivati da una parrocchia diversa dove svolgono totalmente la loro vita spirituale, senza alcun coinvolgimento con la parrocchia dove vanno a “evangelizzare”.
Danno arginato, se si rivolgessero solo ai loro adepti, ma purtroppo le loro azioni ricadono pesantemente su tutta la parrocchia, dividendo le persone, trasformando gli arredi, gli spazi, sottraendo fedeli alle celebrazioni importanti e non, ritrovandosi in modo esclusivo, distribuendo palme alte per pochi e ulivi benedetti per tutti ma, soprattutto, iniziando a far credere ai "neocatecumeni" di essere in grado di “evangelizzare” proprio quella signora che solo pochi anni prima sedeva accanto a te nella panca.
Sì perché al "secondo passaggio", con l’elezione dell’équipe dei catechisti, quelli della prima comunità normalmente iniziano ad "evangelizzare" loro nella propria parrocchia, rimanendo comunque sottoposti a catechisti ESTERNI di parrocchia diversa.
Nell’équipe ci si mette d’accordo o si sorteggia la Messa nella quale il singolo "catechista" necoatecumenale deve fare "l’annuncio" e per falsa umiltà mi ricordo che tutti temevano toccasse la Messa più frequentata, con l’uditorio più numeroso. In realtà spesso all’interno dell’equipe nascono da subito competizioni e invidie per le "catechesi" più importanti e sostanziose o per la capacità dialettica, spirituale e mnemonica dell’altro, anche se per anni non lo si dà a vedere. Poi magari, dopo anni ed anni, scoppia tutto improvvisamente e sembra che sia una cosa solo del momento, risanabile “stando nella verità”. Falso. Se non cambia il cuore non si risana proprio nulla, è solo ipocrisia e falsità. Infatti esistono équipes in cui la rivalità è palese e le discordie continue.
Come se il Signore togliesse loro “la mano dalla testa” in continuazione, ne “combinano di ogni…”
Ma i parrocchiani questo non lo sanno ed alcuni, anche solo per provare, aderiscono.
Iniziano gli incontri e si cerca di precettare più persone possibile, ogni neocatecumenale della comunità dei catechizzatori è invitato a portare persone alle catechesi, precettandole tra amici, colleghi, parenti e chi più ne ha più ne metta. Se si prevede scarso afflusso si invitano anche delle comparse (quelli che “per curiosità” vanno a vedere come va), che fanno numero e che i parrocchiani non possono identificare come già neocatecumenalizzati. Naturalmente chi porta gente la deve anche accompagnare, così che c’è pure la presenza degli accompagnatori.
Anche queste sono raccomandazioni che sono sorte nel tempo, i primi tempi non ce n’era bisogno, perché le persone ignare partecipavano senza induzioni, spontaneamente. Era un evento di parrocchia come un altro, non c’erano motivi per disertare.
Ma col calo drastico degli uditori si è cercato di aggiustare il tiro, riempiendo la saletta o la Chiesa di comparse, così i nuovi arrivati hanno l’impressione di non essere due gatti.
Si torna allo stesso punto di sempre: nemmeno alle "catechesi" i numeri sono attendibili, perché metà delle presenze non sono persone “nuove”.
Dimenticavo: normalmente si invitano anche le coppie dei matrimoni e dei battesimi, nonché i bambinelli di 13 anni figli di neocatecumenali, che devono andarci per forza.
Tutti sanno che le coppie dei matrimoni e dei battesimi non rimarranno dopo, tranne casi rarissimi. I figli invece, molti ob torto collo, per un certo tempo rimangono. Alcuni per sempre. Alcuni vanno e vengono.
Così ultimamente, una volta formato il gruppetto iniziale, partono gli incontri che normalmente vedono l’avvicendarsi di persone diverse ad ogni appuntamento: coloro che frequentano con costanza tutti e due i mesi di catechesi sono sempre una minoranza. Naturalmente però, quando si deve comunicare il numero dei partecipanti, si parla sempre in eccesso e si conteggiano anche quelli che si son visti solo poche volte, tanto la speranza è che all’appuntamento finale, la convivenza dal venerdì alla domenica, si possano sempre recuperare. Di solito non avviene, ma ci si tenta.
E’ quasi patetico ascoltare i catechisti che annoverano nel conteggio anche quelli che non si sono presentati all’accoglienza ma “aderiscono”, è solo che non potevano venire, che avevano un impegno…
In realtà, anche se si dovessero presentare una volta, quelle persone non aderiranno mai. Tutti lo sanno, ma non lo dicono.
Durante i due mesi di catechizzazione, gli ESTRANEI ALLA PARROCCHIA ripetono riga per riga i mamotreti kikiani, alzando debitamente la voce nei momenti salienti come il "kerygma", imitando pedissequamente Kiko.
Il nostro primo parroco, neocatecumenale della primissima ora, direttamente "catechizzato" da Kiko, esigeva che al "kerygma" alzassimo il tono della voce ed impugnassimo la croce. Un po’ di scena, penso oggi. La scena che fa Kiko.
Voglio tentare di rappresentare quello che accade in un’équipe mentre sta "catechizzando", ma non so se ci riuscirò pienamente.
Il tempo di catechesi è vissuto come un tempo “forte”, ma solo i catechisti ne rimangono affascinati. Il resto della comunità normalmente se ne frega allegramente, salvo chiedere più per dovere che per interesse, come “stanno andando le catechesi”. A volte. A volte nemmeno.
I catechisti davvero si sentono “inviati”, davvero credono di avere voce in capitolo sulle persone che ascoltano e poi aderiscono, davvero credono che lo Spirito Santo agisca in loro. In una parola: DAVVERO SI SENTONO SPECIALI. Titolati. Prescelti. Privilegiati. Col carisma del catechista riconosciuto dalla comunità (e basta).
Per coronare il tutto, prima dell’avvio delle catechesi, si fa un’Eucarestia alla quale sono invitate tutte le comunità della parrocchia d’appartenenza (quindi quella diversa da quella che si va a catechizzare), durante la quale l’équipe catechizzante riceve l’”invio”.
Ad un certo punto dell’Eucarestia, infatti, l’équipe si alza e va davanti al parroco che legge una formula di invio e benedice gli “inviati”. Anche questo è molto formale e “speciale”.
Anch’io, che ero una catechista “anomala”, ho provato queste sensazioni e creduto a quelle immani balle.
Solo quando ho iniziato a recuperare la ragione ho totalmente ricusato tutti quegli assunti ed ho provato vergogna solo per aver pensato di avere un titolo (ma dato da chi?) per poter parlare sulle vite altrui. Come non avevo io lo “Spirito Santo” garantito, non lo avevano neanche gli altri. Lo Spirito Santo non è mai garantito, specialmente se persistono situazioni divisorie e di autogratificazione mascherate da carisma.
A Dio ho già chiesto ripetutamente perdono della mia stoltezza.
Ma posso dire per comprovata esperienza, conoscendo bene la vita di molti, che i CATECHISTI NON HANNO LO SPIRITO SANTO ASSICURATO, QUINDI NEMMENO POSSONO PARLARE PER SUA BOCCA.
Però, quando vivi pienamente in quel contesto, pare normale che sia così e credi davvero di avere qualcosa da trasmettere, anche se lo credi in buona fede.
Date queste premesse, quindi, si capisce come mai ci si dà tanto da fare per far nascere una comunità. E’ quasi la conferma che lo Spirito ti ha accompagnato, che le persone hanno ascoltato, che la missione si compie.
Per questo fine è considerato ammissibile giocare sui numeri, barare, invitare comparse, mandare a prendere le persone a casa, accompagnarle, offrire babysitteraggi…
Arrivata la convivenza finale c’è la fatidica domanda se “pensi di continuare”.
Ma quelli che dicono NO, e ce ne sono alcuni, non li si lascia in pace per la loro strada, si lascia sempre aperta una possibilità, magari invitandoli all’Eucarestia dell’accoglienza, o chiedendo di poterli ricontattare successivamente.
E così si comincia. Si elegge un responsabile, nella cui votazione i catechisti votano in blocco colui che, dopo consultazione, nell’équipe è parso più “adatto”, nella speranza che possa venire confermato.
Adatti sono coloro che mostrano coinvolgimento ed entusiasmo, nonché una certa attitudine alla guida.
E’ lui, da allora in poi, il contatto tra comunità e catechisti, è lui quello al quale i catechisti ESTRANEI ALLA PARROCCHIA comanderanno di comprare tutti gli orpelli kikiani, nel tempo di approntare spazi appositi per la/le comunità, di costruire o sistemare la/le sala/e degli Eletti, di introdurre la "Madonna di Kiko" sul treppiede in chiesa, accanto o al posto della Madonna che già c’era…
E’ la longa manus di GENTE ESTERNA, che dopo aver fatto la sua apparizione non più in parrocchia, come per gli annunci, ma soltanto nel gruppetto della comunità, poi sparisce e spesso nessun parrocchiano non ne sospetta neppure l’esistenza.
Sono quelli che “portano avanti il Cammino nella tal parrocchia” e, nel farlo, condizionano la vivibilità di tutti gli altri parrocchiani che con loro non hanno nulla a che fare, che non li hanno voluti, che non hanno aderito.
Quello che quindi accade, in soldoni, è che non sono i neocatecumenali della parrocchia di fresco neocatecumenalizzata che prendono iniziative, ma sono proprio gli ESTRANEI ALLA PARROCCHIA che comandano, introducono, suggeriscono... E a loro SI DEVE OBBEDIENZA, quindi si fa come dicono loro.
La regia sulle parrocchie è sempre in mano a PERSONE NON DI PARROCCHIA, perché i responsabili è a queste che obbediscono, riversando a cascata ogni innovazione su qualsivoglia aspetto anche su chi aveva già deciso in precedenza di non accettare di aderire al Movimento.
Se il prete è neocatecumenale, poco male, ci si intende: le trasformazioni avverranno in buon accordo.
Se il prete non è neocatecumenale, sta al responsabile o all’équipe dei corresponsabili convincere il parroco, sempre SU INDICAZIONE DEGLI ESTRANEI ALLA PARROCCHIA, oppure ci pensano loro direttamente.
Certamente il responsabile o gli ostiari potranno prendere iniziative, ma saranno sempre di minimo conto, come mettere tre tappeti invece di due e qualche quadretto kikiano qua e là.
Si inizia già facendo comprare la Bibbia di Gerusalemme. Nel giro, che dire, di meno di un annetto, tutti la devono avere, perché contiene i riferimenti buoni per la scrutatio.
Ora ne hanno redatta anche una apposita. Verrà comandato-suggerito di comprare anche quella. Stessa cosa per i 4 libri del salterio: ognuno deve avere i propri, anche marito e moglie.
In una famiglia che si rispetti, ognuno deve avere la sua Bibbia, così che se hai 4, 5, 7 figli neocatecumenali in casa, avrai una quantità di Bibbie di Gerusalemme che nemmeno in libreria hanno.
Poi c’è la croce astile, da mettere vicino all’ambone, il piatto ed il calice per l’Eucarestia…
Tutti questi acquisti iniziali, se non fossero comandati dai catechisti esterni, i nuovi catecumeni della nuova parrocchia non li conoscerebbero nemmeno e probabilmente seguiterebbero con le oggettistiche parrocchiali.
Tutto accade pian piano, gradualmente, senza che ci se ne renda conto.
Ma, in soldoni, la realtà è che la kikianizzazione delle parrocchie non è decisa dai parrocchiani, nemmeno da quelli neocatecumenali, ma è DECISA DA PERSONE CHE FREQUENTANO UN’ALTRA PARROCCHIA E CHE COMANDANO IN UNA CHE NON È LA PROPRIA.
Da lì poi, col passare del tempo, quando si saranno convinti di essere cristiani approfonditi, anche i neocat della parrocchia comanderanno sulla parrocchia, faranno a loro volta catechesi, tenteranno di ingrossare le fila, ma alla fine, da chi continuano a dipendere?
Da gente che con la parrocchia non ha nulla a che fare né spartire, che compare solo per disporre, insegnare e comandare su tutti per poi scomparire.
Se tale modalità, invece che a dei laici la estendessimo ai parroci, sarebbe come se un parroco di una parrocchia diversa andasse a disporre e comandare su una parrocchia che non è la sua ed insegnasse al parroco residente come fare le cose. Abominevole.
E’ questo legame sempiterno coi catechisti ESTERNI ALLA PARROCCHIA che alla fine stravolge il passo naturale delle cose. Diversamente sarebbe stato se, una volta compiuta l’”evangelizzazione”, gli esterni si fossero ritirati in buona grazia ed avessero lasciato che i parrocchiani veri conducessero il percorso. Ma così il Movimento Neocatecumenale non avrebbe avuto l’UNIFORMITÀ necessaria all’indottrinamento e si sarebbero potute introdurre “deprecabili” variabili. Quelle variabili si chiamano LIBERTÀ.
Se un parrocchiano “della domenica” non gradisce una kikianata, al massimo si potrà rivolgere al responsabile della prima comunità, oltre che al parroco. Non sa che quel responsabile sta solo obbedendo a persone che il povero parrocchiano magari NON HA MAI VISTO NÉ CONOSCIUTO, che non stanno nella sua parrocchia, che non partecipano a nessun evento parrocchiale perché, dopo aver indottrinato il responsabile e la loro comunità, se ne vanno nel buio della sera verso paesi diversi, parrocchie diverse, territori spesso anche non proprio vicini.
E’ un po’ come la succursale di una ditta: le decisioni le prendono quelli di Milano, per esempio, ma l’attuazione delle decisioni sta in capo al responsabile della succursale che, magari, si trova a Busto Arsizio.
Lo sapessero, i “cristiani della domenica”, che ciò che sopportano deriva dalle DISPOSIZIONI DI GENTE CHE CON LA LORO PARROCCHIA NON HA NULLA A CHE FARE, forse si imporrebbero un po’ di più e non permetterebbero cambiamenti di alcun tipo che non fossero decisi all’interno della parrocchia, ricusando l’incursione serale dei comandanti in trasferta.