Il domenicano p. Raimondo Spiazzi celebrò le esequie di p. Enrico Zoffoli nella casa dei Padri Passionisti alla Scala Santa a Roma (di fronte a san Giovanni in Laterano) il 18 giugno 1996.
A sedici anni dal transito di p. Zoffoli, riportiamo qui sotto il testo della sua omelia, in trascrizione personalmente autorizzata da p. Spiazzi, pubblicato quello stesso anno a cura di un gruppo di amici col titolo "In memoria di un giusto".
Abbiamo ripetuto cinque volte col salmo responsoriale seguìto alla prima Lettura: «Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei giusti». Si succedevano quelle strofe piene di realismo e trasparenti di luce suprema, che dicevano la umana consapevolezza di essere delle povere e gracili creature che si piegano come il fiore del campo investito dal vento, ma anche la certezza cristiana della pietà del Signore per quanti lo temono e il suo misericordioso intervento per salvarci dal nostro essere «polvere». Prevalevano dunque le parole di vita, di grazia, di eterna speranza, che vengono da Dio e ci permettono di dire:
«Pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum eius».
Le altre due letture di questa Messa hanno consolidato i sentimenti suscitati dal responsorio biblico, con la parola stessa di Cristo e del suo apostolo Paolo: noi siamo suoi, di Lui che è la Vita, lo siamo per il tempo, lo siamo per l'eternità. Così è stato per il nostro caro Padre Enrico. In questo momento che succede alle letture della Messa, lo vediamo meglio come
«un giusto» gradito al Signore. Accanto all'altare dove tante volte ha celebrato, dove ci siamo associati a lui nel cinquantesimo della sua ordinazione sacerdotale, ci rendiamo conto che ben a ragione, nell'annuncio della sua morte apparso ieri su «L'Osservatore Romano», si sia potuto definirlo
«religioso esemplare»: è come una medaglia d'oro assegnatagli
ad memoriam dai suoi confratelli. Oggi dinanzi alla sua bara sentiamo che risponde per lui a verità la bellezza di quel ritornello del Salmo 102: «Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei giusti». Ce lo dice il cuore con una sua voce inconfondibile, ma ce lo conferma il ricordo esperienziale, per dir così, della sua vita e la riflessione sui suoi scritti, anche su quelli degli ultimi tempi e possiamo dire degli ultimi giorni, che andavano succedendosi, velocemente stampati o consegnati come ricordi confidenziali ai suoi alunni e amici più intimi.
Alcuni momenti salienti si possono individuare facilmente nella sua vita e nei suoi scritti. Penso di poterli esporre sinteticamente in tre punti.
[I]
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p. Enrico Zoffoli
(3/9/1915 - 16/6/1996) |
Il primo è quello del
primato riconosciuto a Dio come ragione di tutto: della preghiera, della professione religiosa, del lavoro, dell'apostolato. La scoperta di questo primato risale ai primi anni della vita di Padre Enrico alla scuola della sua mamma e dei primi religiosi ispiratori della sua vocazione; il riconoscimento del primato divino è durato e si è intensificato sempre più.
Questa chiesa della Scala Santa è testimone della sua preghiera, come lo sono i suoi confratelli. È testimone anche del suo impegno nel lavoro a servizio del Regno di Dio. È testimone della sua passione spirituale, ora silenziosa, ora lasciata trasparire nelle conversazioni e negli scritti, con
un comportamento che conciliava l'umiltà, il distacco da sé, la purezza di cuore, con la lealtà che riteneva doverosa per lui passionista e teologo, nella difesa della fede, della tradizione cristiana e della Chiesa.
Non si può escludere che la
vis polemica, di cui era naturalmente fornito, abbia qualche volta caratterizzato posizioni da lui prese e interventi da lui fatti in questioni che specialmente negli ultimi anni suscitavano preoccupazioni spirituali e pastorali a vari livelli. Non sta a noi - piccoli e privi di molti elementi di giudizio, che generalmente sono posseduti solo ai livelli più alti - pronunciare sentenze di assoluzione o di condanna, tanto meno in questa sede: ma penso che possiamo riconoscere a Padre Enrico la rettitudine di intenzione e la correttezza di comportamento proprie di
un uomo incapace di doppiezza e alieno dalle furberie con cui mal ci si può illudere di servire la causa del Regno di Dio, contro la stessa legge evangelica della veracità. Padre Enrico si sentiva
parte viva della Chiesa e voleva essere coerente con la fede insegnata dal Magistero ecclesiastico e da lui professata come cristiano, come religioso e come maestro di «dottrina sacra». In questo impegno di fedeltà, che non gli permetteva di essere accomodante sui princìpi del dogma e della morale, in qualche caso può essere apparso troppo allarmato e troppo esigente di un atteggiamento che altri ritenevano non necessario. Si spiega così qualche richiamo, che gli venne rivolto, ma al quale rispose, secondo il suo stile, con umiltà e franchezza, come appare dall'ultimo poderoso volume di documentazione, quasi postumo, da lui lasciato alla nostra lettura e riflessione. Due cose - lettura e riflessione - che sarà bene fare con calma, serenità e comprensione, tanto più che pochi mesi prima della morte ha licenziato per la stampa il volumetto
Potere e obbedienza nella Chiesa (Milano, marzo 1996, pp. 74), che è esemplare per chiarezza, sincerità, equilibrio teologico e delicatezza nei giudizi storici. Qui aggiungerò solo che Padre Enrico ricevette ai primi di giugno, poco tempo prima del suo trapasso,
la letterina di un personaggio del quale aveva più volte riprovato gli scritti e l'azione. Vi si legge: «Ho pregato la Vergine Santa che lo consoli e lo guarisca... La ringrazio per le sue critiche che capisco che vengono dal suo grande amore alla Chiesa. Preghi per me che sono un peccatore».
Che dire in una omelia sul mistero di quel rapporto d'anime in un'ora suprema? Penso che l'unica cosa possibile, in questo come in tanti altri casi dell'agiografia e della storia, sia adorare, tacere, pregare il Signore di accrescere sempre più in noi tutti la fede e l'amore.
[II]
Ed ecco alcuni altri aspetti della vita del nostro fratello e amico carissimo, che mi sembra utile e dolce per noi tutti rievocare.
Anzitutto
la sua impressionante operosità di studioso, che gli ha permesso di tenere lezioni e di stendere opere di filosofia, teologia, ascetica, agiografia, storia, delle quali alcune voluminose e insigni, che unitamente agli articoli, scritti e pubblicati fin da giovane su alcune riviste, costituiscono una imponente bibliografia. C'è da augurarsi che se ne curi una esposizione completa, a testimonianza e glorificazione non solo e non tanto di Padre Enrico, ma della sua Congregazione e anche, se così si vuol dire, della scuola romana a cui apparteneva come alunno dell'
Angelicum, docente, scrittore, membro dell'Accademia di san Tommaso d'Aquino e professore nel Centro di Teologia per i Laici. A questo punto devo dire che, se nelle sue opere è facile rintracciare i segni del suo studio attento e sistematico dei testi biblici, patristici, ecclesiali, teologici, filosofici antichi e moderni, un particolare risalto vi ha sempre
la sua sequela intenzionale e dichiarata di san Tommaso d'Aquino. Sento di poter affermare che pochi, anche tra noi domenicani, hanno lavorato in Italia, in questo secolo, intensamente e fervidamente come lui per far conoscere e apprezzare la dottrina del
Doctor Communis sui temi antichi e nuovi che bisogna affrontare sul piano culturale, morale e ascetico. Quante volte mi ha detto che questa era la sua mira e la sua linea in tale campo, e come è vivo, in questo momento, il ricordo della luce che si accendeva nei suoi occhi quando confidava la sua passione di sempre per san Tommaso!
Era una concretizzazione del suo amore alla Verità, come lo era la devozione alla Croce, abbracciata come ragione e perno di una vita spirituale di valore evangelico, secondo la dottrina, la regola e l'esempio del suo Fondatore, san Paolo della Croce, da lui tanto amato, studiato e fatto conoscere sia a livello ascetico-pastorale, sia a livello storico-scientifico in opere poderose nelle quali noi tutti - ma specialmente voi, cari fratelli Passionisti - potremo sempre ritrovare la figura e la dottrina autentica del santo predicatore e maestro della Croce!
E come non parlare qui dell'altro grande amore di Padre Enrico, tradotto in
una devozione filiale tanto tenera quanto sostanziata di sapienza teologica: voglio dire l'amore alla Madonna. Qui ricorderò solo che anche durante l'ultima malattia, a chi lo assisteva nella cameretta a lui riservata in clinica, chiedeva ogni tanto di fargli sentire la canzoncina mariana di sant'Alfonso, che giustamente i suoi discepoli e amici hanno proposto che venga cantata anche stamane, alla fine del funerale:
«O bella mia speranza, / dolce amor mio, Maria, / Tu sei la vita mia, / la pace mia sei tu. / Quando ti chiamo e penso / a Te, Maria, mi sento / tal gaudio e tal contento / che mi rapisce il cuor...».
Direi che questo triplice amore e devozione di Padre Enrico - a san Tommaso, alla Croce, alla Madonna - è un bellissimo e santissimo memoriale per noi tutti.
[III]
Sulla via del cielo. Devo concludere l'omelia; ma permettetemi di farlo col delineare brevemente il cammino finale di Padre Enrico verso il cielo, quale possiamo rintracciare in uno dei suoi ultimi volumetti:
«Vita futura e dogma del Purgatorio», pubblicato nel 1995. Già la
dedica è molto significativa circa l'ispirazione non solo del libro, ma anche di tutta una vita: «Alla memoria benedetta dei miei genitori e maestri, dei parenti e confratelli, degli amici e delle tante anime conosciute in questo esilio della terra, a cui ho dedicato le mie cure di sacerdote e missionario della verità».
E nella
premessa, dopo l'indicazione dell'intento seguìto nello scrivere quel volume in forma e con un linguaggio che siano accessibili a un vasto pubblico, una prima confessione: è un intento e un programma - dice - che «ovviamente obbliga a contenere l'emozione che suole destare il problema, specialmente in coloro che amano risolverlo e meditarlo al cospetto di Dio, nella luce dell'eternità. Di fatto, confido che più volte ho dovuto dominare l'impulso a soffermarmi per riflettere, esaminarmi, spaziare e quasi perdermi nel mistero della vita e della morte, di Dio e della storia. Si tratta di un argomento che richiama tutti gli altri più suggestivi, terribili e affascinanti. Forse anche a questa convinzione, e alle frequenti soste di dolcissimo silenzio che mi hanno accompagnato, devo la lunga e laboriosa stesura del lavoro, che finalmente ora presento, così com'è» (p. 7).
Nelle pagine dedicate più direttamente al
Purgatorio, sono riportati due magnifici testi di san Giovanni della Croce
(Notte oscura, II, 6) e di santa Caterina da Genova
(Trattato del Purgatorio, cc. 2, 14, 16, 18), della quale ultima il padre Garrigou-Lagrange, nostro maestro all'
Angelicum, dove anche Padre Enrico frequentò la sua scuola, diceva che per la sua dottrina sul Purgatorio si poteva collocare tra i grandi Dottori della Chiesa. Si tratta della questione della pena, che non esclude la gioia ineffabile delle anime ormai sicure di essere salve. Padre Enrico fa osservare che la convinzione della Santa ligure è condivisa da F. Fenelon, F. W. Faber, H. Newman e da altri autori, con riferimenti a san Tommaso d'Aquino e a san Bernardino da Siena (pp. 155-161). Egli non omette di mostrare la relazione tra la dottrina sul Purgatorio con quella sulle Indulgenze, sulla linea bene illustrata da Paolo VI nel 1966 e nel 1967, e di dare una spiegazione teologica all'atto eroico di carità che ha spinto tante anime sante - come Teresa di Lisieux - a offrire il merito delle azioni e sofferenze della vita e gli stessi suffragi fatti per loro dopo morte, in favore delle anime purganti (pp. 171-172).
Non potendo ora riportare queste pagine, mi limito a segnalarle a coloro che vorranno apprendere dal Padre Enrico delle cose molto belle e molto vere sul nostro rapporto con i fratelli dell'aldilà. Qui mi preme leggere alcuni passi del
commiato posto al termine del libro, dove la trasposizione dalla dottrina alla condizione personale di chi si sente ormai vicino al gran passo è evidente e commovente. Egli scrive:
«Alla folla immensa dei "giusti" ancora in esilio, ma nell'attesa infallibile del supremo approdo, mi resta da rivolgere un arrivederci!, forse prossimo più di quanto possa prevedere.
«A presto! dunque, genitori, parenti, amici, maestri, compagni, conoscenti d'ogni età, sesso, condizione!
«Vi ricordo sempre, e viva resta in me la nostalgia delle molte situazioni vissute insieme, comprese le più tristi, associate ad emozioni fissate per sempre nel fondo dell'anima.
«Ai suffragi, mai omessi, e alle preghiere che a voi rivolgo, aggiungo quella di confidarmi ciò che ora pensate di noi, di questa vita e dei nostri problemi, delle sue gioie e dei suoi dolori... Cosa potete dirne ora che vivete nella luce della verità e andate liberandovi di questa infelice terra?
«Se impenetrabile è il vostro mistero, più oscura però è la nostra condizione di prova ed incerto ne è l'esito finale. Mentre voi sospirate di raggiungere una meta ormai immancabile, noi avanziamo brancolando nel buio, tra le insidie di infinite seduzioni, che da un momento all'altro rimettono in questione il nostro avvenire, date le possibili oscillazioni di una volontà libera, paurosamente malferma.
«Per questo, torno a supplicarvi di farmi intendere quel che mi direste, se tornaste a vivere. Riflettendo su quel che ho tentato d'indagare sulla vostra condizione, intuisco che i vostri suggerimenti confermerebbero le direttive eterne della fede, vissute dai Santi fino all'eroismo.
«Purtroppo, so pure che il vostro più reale motivo di tristezza è la coscienza di tutte le volontarie omissioni del bene che - nel tempo - hanno bloccato il processo della vostra maturazione soprannaturale, nella rinunzia alla perfezione dell'amore a cui eravate chiamati e che a voi era possibile realizzare, assecondando gli stimoli della grazia.
«Voi perciò non siete imitabili, né la Chiesa può additarvi come modelli di vita cristiana. La mansione a voi riservata nel Regno dei cieli resterà eternamente vuota, perché ciascuno di voi è insostituibile, come unica e inedita è la personalità di ogni anima.
«Questa la prima delle verità che la vostra condizione mi richiama, insieme al valore incalcolabile del tempo e delle occasioni offerte dalla Provvidenza di poterlo vivere intensamente come solenne vigilia dell'eternità (pp. 190-191).
Questi i pensieri, queste le aspirazioni, questo il memoriale - e in certo modo il
testamento - che Padre Enrico ci lascia.
Noi dobbiamo ringraziarlo delle cose serie che ci ha detto in terra e continua a dirci dal cielo, dove pensiamo si trovi come un giusto che ha finito il tempo dell'esilio. E preghiamo, sì,
per lui, ma soprattutto
con lui, perché sia concessa a noi tutti la grazia della buona morte. Il tuo ricordo, carissimo Padre Enrico, ci spingerà sempre di più a ripetere e a meditare quelle sante parole dette per te oggi nel salmo responsoriale:
Pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum eius. Sic fiat, sic Deus nobis omnibus concedat ut simul vivamus in pace Domini et gaudeamus de veritate aeterna in saecula saeculorum.