A noi, che li conosciamo molto bene, non fa alcuna meraviglia vedere gli iniziatori del Cammino disprezzare e banalizzare il Sacramento della Riconciliazione.
Piuttosto, farebbe meraviglia se Kiko e Carmen dicessero o avessero detto che la confessione privata è giusta e necessaria così come comanda la Chiesa (ricordiamoci che per cancellare i peccati ci sono i tre sacramenti: il Battesimo, la Riconciliazione e l'Unzione; ma il Battesimo si riceve una sola volta, e l'Unzione, salute permettendo, non esclude la Riconciliazione).
«...I francescani e i domenicani estendono dappertutto la confessione privata come una devozione.
Appare la confessione molto frequente, tutto al contrario che nella Chiesa primitiva.
...Siccome tutto ciò è insostenibile si ritorna alle confessioni private ed a fare della confessione una devozione per la santificazione personale, cosa che giungerà fino ai nostri giorni...
...Così arriviamo al Concilio di Trento. Con il Concilio di Trento, dal XVI al XX secolo tutto rimane bloccato.
Appaiono i confessionali, queste casette sono molto recenti.
La necessità del confessionale nasce quando si comincia a generalizzare la forma della confessione privata, medicinale e di devozione portata dai monaci...PER QUESTO LA VERA RINNOVAZIONE DEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA VERRÀ CON LA SCOPERTA DEL CATECUMENATO E LA RIVALORIZZAZIONE DEL BATTESIMO». (Orientamenti per la fase di conversione - Carmen sulla penitenza)
Più che una penitenziale, sembra un rinfresco |
Visto che nel Cammino il termine "devozione" è usato solo in senso dispregiativo (i neocat confondono deliberatamente la santa "devozione" cattolica con lo sterile "devozionalismo"), è perfettamente naturale che Kiko banalizzi la "confessione privata" che, ricordiamolo sempre, è di tradizione apostolica.
Nelle Note Biografiche autorizzate di Aquilino Cayuela riguardanti la signora Carmen Hernández Barrera tutto ciò non compare, ed è un gran peccato, perché questa è la catechesi sulla confessione, elaborata da Carmen, con cui sono stati 'deformati ' milioni di cattolici: l'autentica, l'originale!
Sul come debba intendersi la dimensione comunitaria del peccato, che Carmen oppone artificiosamente a quella personale, bollata da lei come 'devozionale' e 'legalista', ci illumina san Giovanni Paolo II:
«Anzitutto, bisogna ribadire che nulla è più personale e intimo di questo sacramento, nel quale il peccatore si trova al cospetto di Dio, solo con la sua colpa, il suo pentimento e la sua fiducia. Nessuno può pentirsi al suo posto o può chiedere perdono in suo nome. C'è una certa solitudine del peccatore nella sua colpa, che si può vedere drammaticamente rappresentata in Caino col peccato «accovacciato alla sua porta», come dice tanto efficacemente il libro della Genesi, e col particolare segno, inciso sulla sua fronte; o in Davide, rimproverato dal profeta Natan; o nel figlio prodigo, quando prende coscienza della condizione, a cui si è ridotto per la lontananza dal padre, e decide di tornare a lui: tutto ha luogo soltanto fra l'uomo e Dio. Ma, nello stesso tempo, è innegabile la dimensione sociale di questo sacramento, nel quale è l'intera Chiesa - quella militante, quella purgante e quella gloriosa del cielo - che interviene in soccorso del penitente e lo accoglie di nuovo nel suo grembo, tanto più che tutta la Chiesa era stata offesa e ferita dal suo peccato. Il sacerdote, ministro della penitenza, appare in forza del suo ufficio sacro come testimone e rappresentante di tale ecclesialità.» (Reconciliatio et paenitentia)
E papa Francesco ribadisce e spiega come si debba intendere la matrice ecclesiale e comunitaria della confessione:
«Nel tempo, la celebrazione di questo Sacramento è passata da una forma pubblica – perché all’inizio si faceva pubblicamente – a quella personale, alla forma riservata della Confessione. Questo però non deve far perdere la matrice ecclesiale, che costituisce il contesto vitale. Infatti, è la comunità cristiana il luogo in cui si rende presente lo Spirito, il quale rinnova i cuori nell’amore di Dio e fa di tutti i fratelli una cosa sola, in Cristo Gesù. Ecco allora perché non basta chiedere perdono al Signore nella propria mente e nel proprio cuore, ma è necessario confessare umilmente e fiduciosamente i propri peccati al ministro della Chiesa. Nella celebrazione di questo Sacramento, il sacerdote non rappresenta soltanto Dio, ma tutta la comunità, che si riconosce nella fragilità di ogni suo membro, che ascolta commossa il suo pentimento, che si riconcilia con lui, che lo rincuora e lo accompagna nel cammino di conversione e maturazione umana e cristiana».
Ma delle famigerate "casette", i confessionali che toglievano il sonno alla Hernández, cosa dice la Chiesa?
Riportiamo alcuni passi di un articolo, pubblicato su Aleteia, del liturgista padre Henry Vargas Holguín "Usare il confessionale è antiquato?"
«Dove confessarsi?
C’è un detto che dice “Ogni cosa al suo posto e un posto per ogni cosa”, e questo si applica anche alla vita ecclesiale. Nei templi parrocchiali, nelle cattedrali, nelle basiliche, nei santuari ecc. ci sono luoghi importanti e imprescindibili per la loro funzione. Uno di questi luoghi è il confessionale.
Un confessionale è un mobile in cui c’è un sedile per il confessore, che sarà separato dal fedele da un divisorio in cui c’è una finestrella o una grata, con o senza una tendina, per il dialogo. Dall’altra parte del divisorio c’è un inginocchiatoio per il penitente.
Il confessionale è il luogo privilegiato e indicato per amministrare “ordinariamente” il sacramento della confessione. La Chiesa lo dice chiaramente: “Non si ricevano le confessioni fuori del confessionale, se non per giusta causa” (Canone 964, 3).
L’uso del confessionale non sarà quindi mai obsoleto. È vero al punto che il Papa confessa e si confessa in un confessionale. Nella basilica di San Pietro, come nelle altre basiliche patriarcali di Roma, ci si confessa solo nei confessionali.
Ci sono tuttavia delle circostanze che obbligano eccezionalmente a prescindere dal confessionale: un moribondo sul letto di morte, un carcerato in prigione, sulla strada in pericolo di morte…
Un’altra eccezione è quella in cui, in un giorno segnalato e a un’ora stabilita (ad esempio in Quaresima, nella Settimana Santa o in vista di numerose Prime Comunioni), vari sacerdoti arrivano in un tempio parrocchiale per aiutare il parroco a confessare. Visto che ovviamente non ci sono confessionali per tutti, alcuni dovranno confessare al di fuori di essi.
Confessare qualcuno fuori dal confessionale, in casi estremi e in via eccezionale, dovrà essere fatto su richiesta di chi si confessa e non su iniziativa del confessore, che dovrà preferire il confessionale. Se il fedele chiede di confessarsi fuori dal confessionale bisognerà accogliere la sua richiesta, perché è preferibile questo a che non si confessi. Bisogna tener conto, ad ogni modo, che è un’eccezione e non deve diventare la regola.
I confessionali hanno la loro simbologia. Sembrando piccole chiese, sono il simbolo della Chiesa o della casa paterno-divina che accoglie il fedele che torna pentito; sono un simbolo del fatto che la Chiesa è la casa in cui si accoglie il fedele penitente per riconciliarlo con Dio.
A chi non capisce l’importanza del confessionale può risultare utile riflettere sul motivo per il quale anche Freud ha escluso il “faccia a faccia” nelle sue pratiche di psicanalisi per favorire la spontaneità e la tranquillità del paziente.
Al giorno d’oggi la struttura del confessionale è cambiata. Ora è più che altro una cabina doppia e ampia (come un mini-ufficio) che offre alcune comodità (aria condizionata, riscaldamento, illuminazione, mobili comodi); alcuni offrono a chi si confessa la possibilità di togliere o meno la grata o la tendina.
Non bisogna confondere il sacramento della confessione con la direzione spirituale, in cui la persona dialoga con il sacerdote faccia a faccia. Questa direzione avrà sempre luogo fuori dal confessionale.
Perché la Chiesa richiede l’uso del confessionale?
La plurisecolare esperienza pastorale della Chiesa, soprattutto dal Concilio di Trento (XVI secolo), ha suggerito e consolidato, col passare del tempo, la creazione di questo spazio specifico di riconciliazione.
Questo spazio è pensato non solo per difendere la dignità dell’azione sacramentale e il buon nome sia del sacerdote che di chi si confessa, ma anche per favorire l’imparzialità del sacerdote e l’obiettività, senza condizionamenti, del fedele.
La struttura del confessionale favorisce la conversazione privata perché il sacerdote non ha motivo di conoscere o vedere il penitente, e la facilita perché la grata esistente tra il sacerdote e il fedele serve per salvaguardare la necessaria discrezione e anche, ovviamente, a garantire il diritto di tutti i fedeli di confessare i propri peccati senza dover rivelare necessariamente la propria identità.
È per questo che nessun confessore (neanche il Papa) può costringere il penitente a identificarsi o indicare il fatto di farsi vedere come condizione per l’assoluzione.
La confessione come giudizio e come sacramento esige unicamente l’accusa verbale dei peccati e la conseguente assoluzione, sempre verbale (parole direttamente percepibili). È per questo che non si esige che il sacerdote e il penitente si vedano.
Il confessionale evita il pericolo di compromettere a livello emotivo e affettivo le persone coinvolte, il che può intaccare il carattere soprannaturale di una cosa che è seria e sacra.»