mercoledì 5 dicembre 2018

Il coniuge può essere la propria “croce”?

Riprendiamo alcuni commenti sul tipico "neo-dogma" neocatecumenale secondo cui il tuo coniuge sarebbe "la tua croce" (col sottinteso che ci vuole per forza il Cammino per "salvarti il matrimonio").



da Annalisa:

IL CONIUGE PUÒ ESSERE LA PROPRIA CROCE?

Troppe volte ho sentito ripetere questa frase assurda insegnata e proclamata da Kiko e da tutti i catechisti.
Troppe volte ho sentito ripetere questa frase durante le cosiddette "risonanze" fatte da mariti e mogli infelici.
Nella mia comunità e in quella delle mie sorelle era una frase classica. Credo che anche i miei genitori l'abbiano detta tante volte durante i vari passaggi, convivenze o risonanze.
Io invece mi sono sempre rifiutata di pensarlo o di dirlo perché ho sempre considerato mio marito (che non faceva il Cammino) e il nostro matrimonio un dono di Dio: è stato lui infatti che mi ha salvata dal Cammino e resa una donna felice.

L'articolo che riportiamo di seguito è interessante perché smentisce ancora una volta quel falso profeta di sventura che è Kiko.
Definire in questo modo il marito o la moglie ha conseguenze notevoli (M. Rybak, su Aleteia, 12-11-2018)

Quando qualcuno parla del marito o della moglie come se fosse una croce da portare, cerco di ascoltare il cuore del messaggio: il dolore. È un modo per dire “Questo rapporto per me è doloroso”, o “Quello che fa questa persona mi ferisce ed è difficile per me”. Penso però che identificare l’altro con la croce non serva né al rapporto né alla persona che soffre.
  • Il coniuge può essere una croce?
Definire un coniuge una “croce” ha conseguenze di ampia portata. In primo luogo, identifichiamo la persona del nostro coniuge con il problema che riscontriamo nel nostro rapporto, come a dire “Tu sei il problema”. In questo modo, si cancella il coniuge come persona, lo si mette in una posizione perdente e si mette in discussione la sua possibilità di essere un elemento positivo. Si assegna anche la buona volontà a un’unica parte , il che non è sempre vero. Capisco che spesso parole come queste vengano usate per descrivere una situazione piena di impotenza, quando si accetta una condizione difficile dalla quale si sente di non potersi (o non doversi) allontanare. Sono sentimenti comprensibili e potrebbero avere un buon motivo, ma penso che nessuno dovrebbe definire il proprio coniuge una “croce” – non perché nel matrimonio non ci sia dolore, ma perché quando questo si verifica dovremmo identificare la sua vera causa e scoprire come possiamo aiutare noi stessi e il nostro rapporto.
  • Quando il problema è dentro di noi
Nel primo caso, a volte il dolore deriva dalle nostre ferite, dalla nostra immaturità e dalle nostre necessità. A volte il coniuge non può soddisfare queste ultime, pur se importanti e intensamente sentite. Può accadere quando ci aspettiamo che l’altro ci dia il tipo di amore e di cure che non abbiamo ricevuto dai nostri genitori, o se abbiamo bisogno di attenzioni costanti e ci aspettiamo implicitamente che il coniuge ci legga nella mente, o ancora se consideriamo la minima critica una ferita che ci viene inflitta. È colpa dell’altro? No.
Potremmo avere anche un’idea infantile e semplicistica della libertà, irrealistica nel contesto dei doveri della vita familiare. Possiamo sentirci feriti per il fatto che l’altro sia diverso da quello che avevamo immaginato o che volevamo. Se nel nostro matrimonio si verificano difficoltà di questo tipo, dobbiamo rivedere le nostre convinzioni su ciò che costituisce il matrimonio.
Pensare meno alla nostra libertà e alle nostre necessità e riconoscere quelle del coniuge può liberarci dalla schiavitù del nostro egoismo e della percezione eccessivamente soggettiva delle cose. Dobbiamo accettare di più chi è il nostro coniuge. Il nostro atteggiamento non dovrebbe essere del tipo “Sei una croce per me perché non realizzi le mie aspettative”, quanto piuttosto “È bello che tu esista”, “Mi piace come sei” e “Non devi cambiare, ma se vuoi farlo sono pronto a sostenerti in qualsiasi cosa tu abbia bisogno di me”. Per avere le risorse interiori per atteggiamenti di questo tipo dobbiamo innanzitutto imparare a sentire che noi stessi siamo profondamente amati e abbiamo un grande valore. Possiamo aver bisogno di aiuto psicologico per lavorare su queste cose.
  • Quando il problema è davvero dall’altra parte
Ci sono sicuramente azioni di cui il nostro coniuge può essere colpevole e che sono realmente distruttive per il matrimonio, come dipendenze, violenza o infedeltà, che provocano una sofferenza incommensurabile e sentimenti di impotenza. Ancora una volta, comunque, definire l’altro una croce intensifica l’impotenza e la rassegnazione, quando ciò che è necessario è invece l’azione. Se il problema è serio, si dovrebbe coinvolgere un terapeuta. Se poi ci rendiamo conto che noi o i nostri figli siamo in imminente pericolo di vero danno, è necessario porre dei limiti per difendere la famiglia. A volte si deve assumere una posizione radicale contro i comportamenti inaccettabili. “Non sei sobrio per settimane di seguito, quindi devi andartene”, “Resteremo separati finché non seguirai una terapia in cui affronterai la tua rabbia e le aggressioni fisiche”.
I confini non sono un atto di vendetta, ma mezzi per salvare un rapporto e dargli una possibilità di esistere in termini nuovi.
  • Dio ci vuole felici
Dio vuole una vita piena e la crescita di chiunque. Visto che rispetta la natura umana, permette – ma non desidera direttamente – la sofferenza di una moglie trascurata per una dipendenza o quella di un marito tradito. Si rende vicino con la sua compassione per aiutare le persone che soffrono in un matrimonio a ripristinare ciò che è stato perduto – sentimenti di speranza, autostima e di possibilità di futuro.
Dio desidera sempre che la persona che ha provocato il dolore prenda, con il suo aiuto, la via della trasformazione e della conversione, e poi pratica e ci invita a praticare il perdono. Ciò non significa l’accettazione del male, ma il riconoscimento del fatto che siamo tutti imperfetti e bisognosi di crescere. Il perdono apre la porta al progresso e alla guarigione del rapporto.
La chiave è riconoscere la situazione o il comportamento, e non la persona, come problema.

Kiko tocca l'apice e arriva alle estreme conseguenze dei suoi contorcimenti mentali al famoso Family day, tenutosi a Roma il 20 giugno 2015, quando pretese di "spiegare" - grazie al suo collaudato ed autocertificato "discernimento" - come possa un marito abbandonato arrivare ad uccidere la moglie e i suoi stessi figli.

Tutti sappiamo bene che nel cammino non c'è convivenza, annuncio, passaggio in cui non si ripeta che tuo marito e tua moglie sono la tua croce. Questa diventa l'«espressione ricorrente», comune a tutte le coppie, ripetuta in modo ossessivo nelle risonanze, durante gli scrutini e nei giri di esperienza.
Quadro sconfortante dei matrimoni in salsa neocatecumenale con annesso avvilimento dei figli che magari fanno (cosa neanche tanto rara) il cammino nella stessa comunità dei genitori.
La colpa - come appare evidente - è tutta di Kiko che, ogniqualvolta annuncia il suo Kerigma, parla sempre e solo in questi termini alle coppie.
Il matrimonio è il suo esempio preferito a riprova del fatto che "l'altro è il tuo inferno", che "l'altro è il tuo nemico". E dopo non ha neanche bisogno di dimostrare che l'inossidabile solidità della coppia neocatecumenale, con annessa incondizionata apertura alla vita e pronto perdono, senza se e senza ma, dei tradimenti (anche se reiterati), si fonda tutta sulla presunta potenza del "cammino che salva".

A completamento del post riportiamo un ultimo commento, indubbiamente forte nella sua crudezza, ma altrettanto incontestabile nella sua realtà.
Ogni camminante, con un minimo di onestà, non potrà che darne conferma, come dal commento firmato Anonimo che ben sa.

Di seguito, un commento dal nostro lettore DG:
Scusate è da giorni che volevo commentare questa frase di Kiko , che ho sentito e risentito fino allo  sfinimento e che mi ha fatto sempre male ben sapendo quello che succede nelle comunità
"…tutti o quasi hanno un’amante; non così tra di noi, non siamo obbligati, non siamo schiavi del demonio in questo senso…"
Ma Kiko i piedi per terra non ce li mette mai?
I catechisti delle comunità non potrebbero informarlo meglio?

Guardate che le amanti o andare a "donnine" tutte le settimane o una volta al mese come se fosse un medicinale contro la depressione o non so cosa, i cari fratelli neocatecumenali lo fanno eccome (non tutti certo) e questo peccato se lo portano dietro per decenni!

Cominciano al primo passaggio (la croce) e non terminano mai perchè ad ogni passaggio o convivenza con i cosiddetti "catechisti" gli sposi vengono interrogati uno dietro l'altro e si assistono a scene infernali. Pianti e mea culpa ipocriti.

Allo sposo che cornifica la moglie, che magari ha figli su figli a cui badare e non ha modo nè tempo nè voglia di mettersi in baby doll (sono antico) e farsi trovare fresca e appetibile tutte le sere, così da soddisfare le presunte voglie del marito cornificatore, vengono dette queste cose:
  1. "devi concederti a tuo marito" (e magari avere ancora altri figli)  "quando LUI te lo chiede, altrimenti lo spingi a peccare" (e il sano equilibrio tra gli sposi dov'è finito?)
  2. "devi perdonare perché siamo peccatori, tuo marito pecca andando a fornificare con altre donne e tu pecchi nel non concederti a lui" (e la fedeltà, l'onestà e l'autocontrollo del marito, dove sono finiti?)
  3. "devi perdonare il peccato di tuo marito" (ma lui si sforza di non peccare? oppure applica il dogma kikiano de «l'uomo non può non peccare»?)
  4. "fate un fine settimana da soli" (e i bambini stanno a casa con la baby sitter sottopagata dalla comunità o ospiti dai fratelli, divisi in più famiglie se sono tanti).
Ipocrisia!
DG (mi dimentico sempre di firmare i miei post)


In conclusione, un commento che ce lo testimonia:

Confermo. È il motivo per cui mi hanno fatto avere orrore del matrimonio. Ero una giovane donna. Poi sono uscita, per grazia di Dio. Anonimo che ben sa

15 commenti:

  1. Penso che i 4 punti indicati al termine del blog siano, di fatto, un implicito invito a peccare.
    Esplicitamente Kiko non dice di peccare, ma se insiste fino all'ossessione sul fatto che non si può non peccare e che basta ascoltare l'annuncio (il suo) per essere automaticamente perdonati, di fatto invita a peccare. Tanto Dio ti salva perché fai parte del Cammino.

    Questo modo di fare di Kiko assomiglia a quello di certi Vescovi di oggi: non dicono apertamente che il concubinato e la pratica omosessuale non sono più peccato mortale, perché apparirebbero chiaramente in contrasto con la dottrina cattolica e essere vescovi della Chiesa Cattolica può dare dei vantaggi.
    Anzi, ogni 29 febbraio magari parlano anche della gravità di certi peccati.
    Ma se poi accolgono a braccia aperte un sacerdote che ha dichiarato di praticare l'omosessualità e che ha l'amante, permettendogli di continuare a celebrare la Messa, anche se non dicono eresie, le testimoniano coi fatti.
    Non sempre sono necessarie le parole per insegnare errori.

    Così Kiko: invece di invitare, quando è il caso, alla continenza, magari attraverso il metodo Billings, vede come unico rimedio al peccato un fine settimana da soli. Che può anche essere una bella cosa, OGNI TANTO. Ma di fine settimana, per uno che non ha nessun controllo di sé, non ne bastano 54 l'anno.
    Praticamente, pur dicendo che non bisogna peccare, invita a peccare, perché, al di là delle parole che dice, di fatto fa passare il messaggio che per un uomo può essere normale non contenersi.

    Chissà perché Kiko non si è sposato. Probabilmente per paura della croce.
    Ma, visto cosa pensa della sessualità, come ha fatto a mantenere il controllo su se stesso, visto che, secondo lui, non si può non peccare?

    La domanda è: la sua personale dottrina (eretica) del "non si può non peccare" è una conseguenza del suo peccato, o il suo eventuale peccato (se l'ha commesso) è conseguenza della sua eresia?

    RispondiElimina
  2. Ringrazio Pax e tutti i commentatori che riporta, Annalisa, DG, Anonimo che ben sa, perché questo argomento è di grande interesse e importanza e, soprattutto, perché può indurre molti a riflettere su alcune convinzioni errate e profondamente anti-cristiane apprese nell'alveo del cammino, attualmente o nel passato.
    Correggo una frase del thread: Kiko non dice che un uomo può arrivare "fino a" l'uccisione di moglie e figli se non crede in Dio: Kiko sostiene che "è inevitabile" che uccida, perché, prima o poi, il coniuge ti "toglie la vita" imponendo la propria personalità e opponendosi alla volontà e ai progetti dell'altro, scatenando necessariamente la sua reazione violenta di annientamento.
    L'aspetto preoccupante di ciò è proprio quanto ha spiegato Pietro (NON del Cammino): il prospettare come naturale l'odio, e non l'amore, induce ad un'assefuazione al male, al tradimento coniugale, ai maltrattamenti ed alla violenza nella coppia.
    Non solo il male è visto come la scelta "naturale" dell'uomo (e non è vero, perché l'uomo nella propria natura ha una propensione al bene, dice il CCC), ma il male ha un valore positivo, e in comunità chi commette e confessa pubblicamente i peccati peggiori guadagna punti, come, al contrario, chi ha un matrimonio felice ed equilibrato, e lo dimostra, li perde: perché solo attraverso il peccato più nero si manifesta la Grazia di Dio, Kiko lo ha appena ribadito nell'Annuncio di Avvento a Madrid.

    RispondiElimina
  3. Secondo Giuseppe Verdi, sì, il coniuge può essere una croce.
    Ecco infatti ciò che canta Alfredo nel duetto con Violetta:
    «Un dì, felice, eterea,
    Mi balenaste innante,
    E da quel dì tremante
    Vissi d’ignoto amor.
    Di quell’amor ch’è l'anima
    Dell’universo intero,
    Misterïoso, altero,
    Croce e delizia al cor.»

    RispondiElimina
  4. A parte la fede e ciò che da essa deriva, tutto ciò che viene dato scontato ha qualcosa di stupido.
    Come il fatto che il matrimonio è infelice per sua natura e chi non lo ammette è ipocrita.
    Ma è dottrina della Chiesa che Dio ha impresso un certo diletto anche nelle azioni naturali dell'uomo, come ad esempio il mangiare, che serve per il sostentamento (e a volte anche per stare in serena compagnia).
    Tanto più il matrimonio: Dio l'ha voluto sì per i fini di procreazione e comunione, ma questi coincidono con la felicità dell'uomo.
    Dio non vuole che attraverso il matrimonio l'uomo stia male.
    Certamente ogni vocazione rappresenta anche un percorso spirituale in certo modo ascetico e certamente tutto, per l'uomo, rappresenta una prova.
    In tal senso il matrimonio può essere una croce, ma non è questo il senso che gli dà Kiko.

    Kiko lega al matrimonio tristezza, frustrazione, rancore, malanimo. Proiezioni del suo immaginario e dei suoi traumi infantili.
    Ma se nel matrimonio c'è amore, non c'è mai frustrazione, quella che nel Cammino gli sposi manifestano continuamente.
    Anzi, ci si realizza.

    Certo, ci sono casi tristissimi, dovuti però non all'istituzione del matrimonio ma al peccato.
    Forse Kiko lega il matrimonio al male... Se non si può non peccare, non è possibile che un matriminio sia riuscito bene

    RispondiElimina
  5. Oh, quanto vorrei intervenire, quanto avrei da dire 😔

    Frilù

    RispondiElimina
  6. Purtroppo quello che dice Kiko è vero, ma vale solo per i coniugi in Cammino!! è impossibile infatti, data la dottrina protestante del cammino, che i coniugi in cammino prima o poi non divergano. Un esempio è quando uno ha magari già 4 o 5 figli e vorrebbe seguire il catechismo della chiesa cattolica che predica la procreazione responsabile, e l'altro che è costretto da un passaggio a dove per forza fare un altro figlio, pena la dannazione perenne che ti viene promessa. Oppure l'ennesima colletta o decima che manda la tua gestione patrimoniale allo sfacio, e l'altro che vede in questo il demonio che si impadronisce di te…… ne potrei citare altre e aggiungo che nella mia comunità le coppie sono scoppiate praticamente tutte. Altro che nemico, il coniuge nel cammino non può letteralmente esistere!

    M.A.

    RispondiElimina
  7. Penso a tutto il male fatto a mia moglie pensandola come una croce da sopportare, essendo io invece spesso a causarle dolore. In questo articolo c'è tanta sapienza cristiana.

    RispondiElimina
  8. Da un lato abbiamo la Chiesa Cattolica e il sacramento del matrimonio e san Paolo apostolo: «...Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso...» (cfr. Ef 5,21-33).

    Al lato estremo opposto abbiamo Kiko, Carmen e il Cammino Neocatecumenale, con la loro bislacca mentalità del dover considerare il coniuge "la propria croce", col sottinteso che solo il Cammino potrebbe "salvare il tuo matrimonio" (sottinteso del sottinteso: il Signore avrebbe istituito un sacramento che necessita di essere «salvato» dal Cammino).

    RispondiElimina
  9. Nella mia comunità composta da 54 persone vi erano solo 3 coppie in cammino,durante le lunghe risonanze,omelie,catechesi,dei fratelli,era una gran palla stare li impassibili ad ascoltare le "croci", dei coniugi "scoppiati"che accusavano la loro dolce metà di essere in combutta con il demonio per impedire loro il prosieguo del "cammino"

    RispondiElimina
  10. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina
  11. Molto interessante la testimonianza di M.A.

    La dovrebbero leggere i camminanti che dicono che li perseguitiamo.
    Nessuno ce l'ha col Cammino per certe sue peculiarità, se non vengono imposte con prepotenza.
    Zelo, famiglie numerose, e altro: tutto ok se c'è equilibrio e umiltà.
    Perfino un certo piglio di evangelizzatori "d'assalto", se è genuino come quello di don Fabio Rosini, può essere molto utile.
    Sono le cose del sbagliate del Cammino che rovinano tutto.

    So di una parrocchia catecumenalizzata che sta cercando di aprirsi a tutti, anche ad altre esperienze ecclesiali: un tentativo positivo di staccarsi dal kikismo, ma che potrebbe essere inutile se non arriva a cambiare il Cammino nella sua stessa sostanza (o a uscire dal Cammino).
    Perché il problema del Cammino è l'eresia.

    Una delle eresie principali, che è fonte di tante altre eresie e di tanti sacrilegi, è quella del "peccato necessario" per la salvezza. Cosa molto differente dal dire che siamo tutti peccatori e che Dio sfrutta perfino il peccato, che detesta, per spingere l'uomo a convertirsi.

    Un gruppo ecclesiale, perciò, non può manifestare la grazia di Dio se, nello stesso tempo, non induce a rinunciare al peccato come non necessario alla salvezza, ma ostacolo.
    Certo Dio perdona sempre, ma sempre occorre essere pentiti, mentre la teoria del peccato necessario non porta al pentimento vero.
    La kenosi kikiana, è sì un riconoscersi peccatori, ma non assomiglia al pentimento di Pietro. Assomiglia invece al rimorso di Giuda Iscariota. Il suo dolore porta alla disperazione perché, se il peccato è necessario, si deve ancora peccare e convivere con un senso di schifo per sempre.
    Un pessimismo cosmico che porta a vedere nel coniuge una croce, nel senso che il coniuge è per sua stessa natura fonte di sofferenza. Un tipo di sofferenza, cioè, simile a quella che dà il peccato.
    Il coniuge è visto come il peccato: un male necessario, e non una grazia che comporta, per essere accolta, anche un'ascesi con l'aiuto di Dio.

    Il risultato di queste eresie, non sono certo le cose umanamente belle del Cammino, o comunque appaganti, che a certe condizioni possono servire ma che non sono essenziali.
    I frutti delle eresie sono delle pratiche abominevoli, come la mancanza di cura nel fare in modo che i frammenti eucaristici non si disperdano e vengano calpestati.

    Vedere persone che pregano, che si sforzano a mettere in pratica il Vangelo per come lo capiscono, che sono entusiaste della fede, è bello, ma se non rispettano l'Eucaristia, tanto luccichio può diventare uno specchietto per le allodole nelle mani del Maligno.

    Il Cammino non deve cambiare tanto nelle cose secondarie, ma nelle cose essenziali: eresie e pratiche abominevoli.

    Se Kiko credesse veramente al Magistero della Chiesa, non verrebbe imposto di fare un figlio a una certa tappa. Ma invece favorirebbe i metodi naturali con tutta la "filosofia" che comportano sull'apertura e la bellezza della vita, e tante frustrazioni all'interno dei matrimoni non ci sarebbero.

    RispondiElimina
  12. "Se Kiko credesse veramente al Magistero della Chiesa, non verrebbe imposto di fare un figlio a una certa tappa. Ma invece favorirebbe i metodi naturali con tutta la "filosofia" che comportano sull'apertura e la bellezza della vita, e tante frustrazioni all'interno dei matrimoni non ci sarebbero."
    ---
    Kiko sa perfettamente che con le attuali tecnologie,i sistemi naturali, non li definirei neanche contraccettivi,sono sicuri al 99%.
    Ruben.
    ---

    RispondiElimina
  13. Beh se si chiama Wanda Nara..

    RispondiElimina
  14. Salve signora Annalisa, ho mia moglie nel cammino e sono disperato.. Come l’ha aiutata suo marito ad uscire.. grazie anticipate
    Savino

    RispondiElimina

I commenti vengono pubblicati solo dopo essere stati approvati da uno dei moderatori.

È necessario firmarsi (nome o pseudonimo; non indicare mai il cognome).

I commenti totalmente anonimi verranno cestinati.