Riportiamo qui sotto l'articolo
La liturgia nel Cammino Neocatecumenale comparso sul numero di settembre 1993 della rivista
Il segno del soprannaturale (pp. 10-15), evidenziando alcuni passi. Nel testo la parola "autore" è abbreviata con "A.".
Segno -
Dossier: in difesa dell'Eucaristia
La liturgia nel Cammino Neocatecumenale
Osservazioni critiche all'articolo "La liturgia nel Cammino Neocatecumenale" di Ernesto Teodoro, pubblicato su Rivista di Pastorale Liturgica.
Alludo all'articolo di Ernesto Teodoro, apparso in due puntate su
Rivista di Pastorale Liturgica (ed. Queriniana, Brescia, marzo-aprile 1993, pp. 62-71 e maggio-giugno 1993, pp. 64-73). Nella prima si rivelano gli "aspetti positivi", nella seconda quelli "problematici" del Cammino.
Bisogna essere grati all'A. di aver osato indicare le ombre di certa prassi liturgica di cui i neocatecumenali sono orgogliosi, e di condividere alcune riserve fatte dal Papa, dal card. Martini, dall'Episcopato Piemontese, Lombardo, Umbro, Veneto (iv. II, pp. 64-5).
Seguono personali "lagnanze" dell'A., che nel paragrafo dedicato alle "questioni di fondo" risultano particolarmente serie, giustificate. È la prima volta che mi capitava di leggerle: pur non essendo un liturgista, le ho fatte mie, soprattutto quando le novità liturgiche del Cammino arrivano ad offendere il dogma.
Però, tutto sommato, il giudizio di E.T. è più che benevolo sia perché, nella prima parte dell'articolo, crede di poter apprezzare alcuni "aspetti positivi", sia perché, nonostante "le difficoltà enumerate e le revisioni auspicate", il suo "giudizio liturgico globale sul Cammino sembra positivo..." (iv., p. 73).
Non sono del tutto d'accordo. E il mio dissenso è motivato dal fatto che l'A. non mostra di preoccuparsi quanto avrebbe dovuto delle
deviazioni dottrinali sottese nella liturgia del Cammino... Non basta distinguere la liturgia dalla teologia quando l'una minaccia seriamente di sovvertire l'altra, contro il principio che fa derivare la "lex orandi" dalla "lex credendi". "La legge della fede - ricorda Pio XII - deve stabilire la legge della preghiera" (Med. Dei, 40).
Ed è fin troppo sintomatico che nessuna delle Conferenze Episcopali Italiane, nelle riserve finora fatte, non abbia lasciato neppure trapelare il sospetto che il Cammino avanzi sul vuoto di premesse dogmatiche gravemente errate.
E.T. informa che "esistono volumi dattiloscritti che riportano catechesi di Kiko e Carmen e che vengono usati dai catechisti. Il più noto, ma non pubblicato, sono le catechesi iniziali databili agli anni '70 e '80" (iv., I, p. 63, nota 3).
L'informazione è importantissima anche perché risponde (e previene) l'obiezione ormai noiosa di chi dubita dell'autenticità di quei dattiloscritti, del resto confermata - a me personalmente - da autorevoli dirigenti del Cammino Neocatecumenale. Mi resta soltanto da chiedere all'A. se abbia letto le "catechesi" di Kiko-Carmen; e se, avendole lette, non vi abbia ravvisato "le eresie" da me rilevate in alcune mie pubblicazioni (cf.
Eresie del Movimento Neocatecumenale, V ed. 1992;
Magistero del Papa e Catechesi di Kiko, 1992).
Dispiace che, dall'insieme delle sue osservazioni critiche, ciò non risulta, anche se E.T. riconosce che
"in più d'un punto il confronto tra il linguaggio della tradizione e quello del Cammino non è esatto e solleva problemi che vanno affrontati" (iv., II, p. 65, nota 3). Il giudizio tuttavia è piuttosto riduttivo ed espresso in termini che falsano la posizione da me sostenuta in base ad un'accurata e coscienziosa analisi dei testi di Kiko-Carmen. Egli mi permetta di notare che
è molto comodo pronunziarsi in modo così sbrigativo su di una controversia che sta impegnando numerosi gruppi di fedeli in Italia e fuori, come dimostra una vera valanga di testimonianze.
*** I ***
Riflettendo sulla nota dell'A. citata poc'anzi, non è difficile capire come egli la pensi. Mi riferisco ad una serie di note tutt'altro che elogiative, che mi lascerebbero indifferente, se non facessero capo al Mistero Eucaristico.
a) Citando, oltre il volume
Magistero del Papa... e soprattutto l'altro
La Messa è tutto (ed. Segno, Udine, 1993), E.T. afferma con una certa sufficienza che i miei
"libri (...)
esagerano nel dogmatismo" (iv. II, p. 65, nota 3). Spero di non essere pedante, ma non posso astenermi dall'osservare che non è possibile esagerare, nel
dogmatismo, se, questo è già per se stesso un'
esagerazione in quanto, essendo l'antitesi del "criticismo", è proprio di chi vanta una certezza priva di ragioni serie che la fondino...; certezza quindi ingenua, acritica, illusoria. Ora, non ritengo sia tale anche la certezza del credente in una Rivelazione proposta con definizioni infallibili e irreformabili dal Magistero, soprattutto se riferite al Mistero Eucaristico, che riassume tutti i dogmi. "Dogmatica" anche la Chiesa?... Scettici, agnostici, storicisti, non cessano di ripeterlo, ma non certo un "cattolico" come E.T.
Può egli indicare qualche mia affermazione acriticamente formulata, come potrebbe essere quella di un qualunque sprovveduto anche se zelante e ben intenzionato? Forse conviene con certi teologastri che, secondo L. Giussani,
"non sopportano che qualcuno abbia delle certezze, per cui bisognerebbe essere sempre «in ricerca»..."? Mi auguro di no, altrimenti sarebbe inutile continuare a discutere.
b) L'A. osserva che i miei scritti
"ignorano la teologia liturgica" (iv.)
Rispondo che non ho mai avuto intenzione di fare della "liturgia", specie se avulsa dal dogma, ma d'interessarmi principalmente di una "teologia" che, derivata dalla Parola di Dio, interpretata dalla Chiesa, contiene le uniche premesse capaci di fondarne il culto... Ne ho sentito sempre il bisogno per me e per la gente, che oggi partecipa pochissimo e male alla nostra liturgia perché ha perduto la fede, o almeno ha idee confuse ed errate intorno al Ministero cristiano...
Una "teologia liturgica" che subordinasse il dogma al culto, la verità alla preghiera, l'essere-in-sé-del-Dio-Vivente all'atteggiamento della creatura, sarebbe qualcosa di insopportabilmente ridicolo e assurdo.
c) I miei scritti, secondo l'A.,
"soffocano l'Eucaristia in dimensioni troppo personali, devozionali, teologico-speculative" (iv.).
È il "punctum dolens", sul quale tornerò nella terza parte dell'articolo. Per ora mi limito ad alcuni rilievi, cominciando dal chiedermi come l'Eucaristia possa essere soffocata
"in dimensioni troppo personali". È un modo di esprimersi molto discutibile. Che l'Eucaristia riguardi la vita del Corpo Mistico (come il Vaticano II sottolinea più volte: PO 5,6; AG 39; LG 3) in quanto celebrazione del Sacrificio di Cristo e consumazione del suo Corpo immolato e del suo Sangue sparso che a tutti offre una "mensa" quale preludio di vita eterna, è certissimo perché verità di fede divina e cattolica...
Ma ciò non vieta di pensare che tutto, in ultima analisi, stando alle finalità dell'istituzione del Sacramento, si risolve in un
incontro d'amore tra l'anima e il Cristo assolutamente personale... Incontro così
intimo da far dichiarare solennemente al Signore:
"Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in Me e Io in lui...". E:
"Colui che mangia di Me, vivrà per Me", in quanto fa propria la sua vita: quella medesima che il Verbo ha in comune col Padre (Gv 6,56s).
Non si riflette mai abbastanza che nell'ambito della grazia - che è appunto quello della partecipazione della creatura alla vita di Dio - la "persona" non si oppone né limita il respiro della "comunità"... Ed anzi, più la vita è
personale, più è
comunitaria, se è certo che soltanto la
persona, assimilando il divino, si divinizza e, divinizzandosi, trascende tutti i confini della creatura, e si apre al punto di riversarsi, comunicarsi e favorire in grado eminente la circolazione della vita in tutti i membri del Corpo Mistico. Se
l'interiorità è ricchezza, non si potrà mai esagerare nell'insistere sull'
assimilazione o
personalizzazione del Mistero, non essendoci altra via per aprirsi a tutti, raggiungere i lontani.
Dunque,
quanto nelle nostre "liturgie" bersaglia i sensi, impressiona la fantasia, accende il sentimento sì da impedire ai fedeli di raccogliersi in Dio e comunicare intimamente col Cristo, distrae anche dal prossimo, dando soltanto l'illusione di una celebrazione comunitaria. Per
stare insieme con gli altri, per capirli e amarli, è indispensabile che prima
"si stia con Dio", perché soltanto Dio (l'Uno) unisce veramente; solo restando unite col Cristo-Capo, le "membra" possono restare unite fra loro nella vitale unità dell'intero Corpo.
d) mi si rimprovera di soffocare l'Eucaristia in dimensioni
"troppo devozionali" (iv.). Ciò mi sorprende. E.T. può indicare qualche cenno o forma "devozionale" che, nei miei scritti, non sia raccomandata dalla Chiesa, almeno se per "devozione" s'intenda la partecipazione dei fedeli alla ineffabile ricchezza del Mistero? Non credo necessario trarne delle conferme dal cumulo immenso dei testi che il Magistero, da millenni, ha sempre offerto per alimentare la pietà eucaristida dei fedeli. E.T., da buon liturgista, dovrebbe conoscerli; ma penso di far cosa gradita ai lettori riferendo parte del discorso tenuto dal Papa ai fedeli irlandesi il 29 settembre 1979:
"... Vi incoraggio (...) ad altri esercizi di devozione (...), specialmente quelli che riguardano il Santo Sacramento. Questi atti di pietà onorano Dio e sono utili alla vostra vita cristiana: essi procurano gioia ai nostri cuori e ci aiutano a stimare di più il culto liturgico della Chiesa".
"La visita al Santissimo Sacramento è un grande tesoro della chiesa Cattolica: esso nutre l'amore sociale e ci offre la possibilità di adorare e di ringraziare, di riparare e di supplicare".
"La benedizione del Santissimo Sacramento, le Ore sante e le processioni eucaristiche sono altrettanti preziosi elementi della vostra eredità, in pieno accordo con gl'insegnamenti del Concilio Vaticano II...".
"Così, cari fratelli e sorelle, ogni atto di riverenza, ogni genuflessione che fate davanti al Santissimo Sacramento, è importante, perché è un atto di fede in Cristo, un atto di amore per Cristo. E ogni segno di Croce, ogni gesto di rispetto fatto ogni volta che passate davanti ad una chiesa è pure un atto di fede".
"Dio vi conservi questa fede, questa santa cattolica fede, questa fede nel santissimo sacramento...".
Ernesto Teodoro oserebbe rivolgere al Papa la stessa critica fatta a me, che del resto - come mostrerò subito- mi preoccupo soprattutto della
fedeltà al dogma?
e) Sembra che egli non tolleri lo sforzo di intravedere qualcosa di credibile nel Mistero eucaristico, lamentando le
"dimensioni troppo (...) teologico/speculative" della mia esposizione dottrinale.
Sinceramente comincio a sospettare che l'A. nutra segrete simpatie per la mentalità protestante ereditata da Kiko, che non sopporta la speculazione teologica, dimostrando di non essere affatto d'accordo con la Chiesa, la tradizione dei Padri ed un vero esercito di teologi. I limiti dell'articolo non mi consentono di citare tutti i documenti del Concilio a proposito della "scienza sacra", e assai meno quelli emanati dalla S. Sede in questi ultimi decenni.
Ora, una volta accettata la
teologia come scienza, chi ignora che essa - la suprema di tutte, perché inseparabilmente associata alla metafisica - non può concludere nulla di certo se non "speculando"? Nel rimproverarmi di aver ecceduto nella "speculazione", E.T. mostra di non aver letto né -forse- capito i miei scritti, dove mi limito a riferire e a spiegare i termini essenziali del dogma, seguendo S. Tommaso, ossia obbedendo al Vaticano II: "Per illustrare quanto più possibile i misteri della salvezza, gli alunni imparino ad approfondirli e vederne il nesso per mezzo della
speculazione, avendo S. Tommaso per maestro..." (OT 16).
Dove o in che modo mi sarei allontanato da queste direttive?
f) Ultimo elogio: io avrei peccato
"d'ingenuità, accusando il Cammino di non avere finora «prodotto un solo santo canonizzabile dalla Chiesa cattolica»" (iv.).
Non occorre essere ingenui per attendersi dal Cammino qualche frutto di santità. Dopo la rinunzia ai propri beni, al termine di lunghi anni di istruzione impartita da Catechisti "ispirati", severi, intransigenti, penso che il Cammino neocatecumenale (benedetto e incoraggiato da Papi e Vescovi, seguito persino da religiosi, sacerdoti, parroci, data appunto la sua eccezionale carica di "ricristianizzazione" della vita) avrebbe dovuto formare - come già del resto l'Azione Cattolica - dei fedeli irreprensibili, da proporsi come esempi di virtù e morti "in odore di santità"... Veramente ingenua la mia attesa, ingiustificata la mia delusione?
Ma, forse, E.T. condivide anche in questo le convinzioni di Kiko, che non crede nella potenza rigeneratrice della grazia, ignora ed anzi riprova ogni impegno positivo decisamente volto a resistere alle proprie passioni, superare se stessi, realizzare la santità?...
È convinto anche lui che l'uomo, oltre a non potere fare alcun bene, può fare soltanto il male, per cui basterebbe riconoscerlo e credere nella virtù del Cristo Risorto per salvarsi?
Rinnega a tal punto la grande teologia dei rapporti tra natura e grazia, da rifiutarsi di accettare il senso più autentico della Redenzione operata da Cristo, secondo il solenne Magistero della Chiesa? È liberissimo. Ma, nel caso, se io sono un "ingenuo", egli - non si offenda - è un "miscredente", a cui non riconosco alcun diritto di parlare di liturgia cattolica, che suppone necessariamente ben diverse premesse di fede.
*** II ***
"Il senso antieucaristico" da me rimproverato al Cammino sembra che lasci indifferente l'A. ed anzi sia da lui condiviso. Tra parentesi, mi chiedo - se la mia supposizione non è infondata - quale valore possa avere una "liturgia cattolica" che si disinteressasse del "Sacramento" derivato dal supremo atto di culto, qual è appunto il Sacrificio eucaristico.
a) I miei dubbi non sono campati in aria, essendo motivati da alcuni suoi compiaciuti riferimenti al pensiero di Kiko-Carmen.
Così, tanto per incominciare,
"il Cammino prende le distanze da una certa spiritualità eucaristica" (iv., I, p. 71). Da quale "spiritualità eucaristica" prende le distanze il Cammino? Stando ai ciclostilati di Kiko, la catechesi neocatecumenale non tollera la tradizione dei Padri della Chiesa, le definizioni dei Concili ecumenici (specialmente di quelle di Trento, che "il maestro" non digerisce); non accetta la dottrina vissuta da tutti i Santi della Controriforma, tenuta viva e propagata da numerosi Istituti religiosi, celebrata nei Congressi eucaristici, caldeggiata e difesa in tutti i toni da encicliche pontificie d'indiscutibile valore...
In breve: la spiritualità eucaristica che Kiko e Carmen rifiutano è precisamente quelle celebrata con insistente vigore dal Vaticano II. Chiunque, scorrendo l'indice generale dei documenti conciliari, può notare ben più di sessanta passi, dove la Chiesa la richiama, la raccomanda, la esalta... Perché E.T., informandone i lettori, non ha trovato nulla da biasimare nell'atteggiamento di quei "riformatori"?
b) Si ha l'impressione che egli sia d'accordo con
Kiko, che con la solita sufficienza ride di chi ieri, oggi - e speriamo anche domani! - dice di andare a Messa "per comunicare e portarmi via Gesù Cristo nel cuore..." (iv. I, p. 68, nota 26). Quale intenzione più sublime potrebbe avere chi crede nella reale presenza di Cristo? "Presenza" che, nel Sacrificio eucaristico, scaturisce dal prodigio della "transustanziazione"?...
E.T. aggiunge che
"questo significa minimizzare l'Eucaristia". MA non è appunto la Comunione che, realizzando il sublime incontro dell'anima con Dio, anticipa la beatitudine eterna, ossia il Fine ultimo di tutte le opere della grazia, di tutte le istituzioni e le liturgie di questo mondo? La redenzione compiuta per la mediazione espiatrice di cristo non si risolve forse nel conseguimento di quel Fine?...
"La presenza di Gesù Cristo" può mai consistere in qualcosa di diverso?
Kiko non è d'accordo, e con lui, sembra, anche il nostro A.
Riferendosi a quella "presenza", egli dichiara: "È il carro di fuoco che viene a trasportarci verso la gloria, a passarci dalla morte alla risurrezione..." (iv.). Si stenta a credere: sembra voglia scherzare. In realtà il linguaggio è del tutto estraneo a quello fissato da sempre in tutti i documenti del Magistero e in base al quale la Chiesa Cattolica ha catechizzato il mondo. Qui Kiko, da buon pittore e cantautore, si lascia travolgere dall'impeto di una fantasia talmente sbrigliata da offendere la coscienza di tutti i credenti.
Cos'è questo
"carro di fuoco"? Non basta accettare, gradire e lasciarsi trascinare dal
Cristo in persona, venuto a "portare il fuoco sulla terra" (Lc 12, 49); precisamente, il "fuoco" del suo amore, capace di incendiare l'universo e assimilare tutti a Sé?...
Perché ricorrere ad un'allegoria, quando "la vera, reale e sostanziale" presenza di Cristo è già per se stessa eloquentissima per tutti i fedeli?... (cf. Denz.-Sch., 1651).
c) Ma Kiko crede in quella "presenza"? Secondo lui essa è "reale", ma non
sostanziale, ossia derivata dalla
transustanziazione del pane nel Corpo di Cristo. La realtà della "presenza" in cui egli crede è soltanto quella della potenza irresistibile del Cristo Risorto, di cui il "pane consacrato" è
simbolo. Pane, quindi, che in sé resta immutato quanto alla sua verità oggettiva, ontologica, contro solenni e ripetute definizioni di Papi e Concili...
Quanto al rifiuto del dogma eucaristico da parte di Kiko, rimando al mio volume
(Magistero... pp. 52 ss.). Ma è opportuno notare che E.T. si compiace di sottolineare l'insofferenza del "maestro", citando una delle sue espressioni più blasfeme a proposito della "presenza sacramentale":
"Se Gesù Cristo avesse voluto l'eucaristia per stare lì (nel tabernacolo),
si sarebbe fatto presente in una pietra, che non va a male" (iv.).
Dunque, se Cristo, invece della "pietra" ha scelto "il pane", è segno che non aveva l'intenzione di stare nel tabernacolo; per cui sarebbe errato pensare ad una sua presenza in questo, almeno intesa nel senso sempre ccreduto e proposto dalla Chiesa Cattolica. Tanto vero che
di fatto adorazione, visite, genuflessioni ed altro che riguardi il culto eucaristico non ha alcuna giustificazione secondo la liturgia neocatecumenale. La presenza di Cristo concepita da Kiko - come abbiamo osservato - è quella realizzata dal "carro di fuoco".
Ed ecco perché la tipica chiesa (?) del Cammino non riserva alcun luogo al "tabernacolo". In essa infatti figurano soltanto: la
sede (immagine del "capo"), l'
ambone (immagine della "bocca"), la
mensa (immagine dello "stomaco"), il
battistero (immagine dell'"utero"). Completa perciò la liquidazione dell'architettura sacra, quanto palese è la sua interpretazione ereticale del cCristianesimo.
d) Non esagero.
Nelle venti pagine del suo articolo E.T. parla di tutto, ma non si degna mai di nominare la
transustanziazione, e assai meno il
Sacrificio eucaristico, che la Chiesa presenta come
"culmine e fonte di tutto il culto..." (Cod. di Dir. Can., 897). Questo silenzio è sintomatico, perché fa almeno sospettare che egli convenga con Kiko, che respinge sdegnosamente ogni idea del "sacrificio". Del resto, cita pure con malcelata compiacenza alcuni particolari di notevole importanza.
1- È arbitrario contrapporre "la religione" alla "fede", come si ostina a ripetere Kiko, mostrando d'ignorare la storia del sentimento religioso universale. Egli non sa che quel sentimento scaturisce dalla coscienza che l'uomo di tutte le epoche e le culture ha sempre avuto della propria radicale insufficienza, facendolo ricorrere alla potenza misericordiosa di Dio. Come non apprezzare un atteggiamento di così commovente fiducia nella Provvidenza? Forse per il fatto che appunto esso - secondo l'impietosa ed errata interpretazione di Kiko -
"ha creato la religione, ha fatto un tempio, ha creato un altare, ha posto un sacerdote"? (iv. I, p. 66).
Evidentemente ignora che "la religione naturale" è sempre stata un'esigenza dell'uomo, la più profonda, costante, insopprimibile...; che per essa Dio, da Sommo Pedagogo, lo ha condotto alla luce della Rivelazione, l'ha disposto ad accogliere il messaggio evangelico. S. Giustino, Clemente Alessandrino, Origene, al riguardo hanno scritto pagine ammirabili... Non era "naturale" la religione di Melchisedek e d'innumerevoli altri personaggi che nel mondo antico adoravano, invocavano e temevano l'unico vero Dio?... "La filosofia - sostiene Clemente Al. - è stata data come un bene diretto ai Greci, prima che il Signore li chiamasse; essa è stata il pedagogo per condurli a Cristo, come la Legge lo fu per gli Ebrei. La filosofia è una preparazione:
Essa apre la via a colui che il Cristo renderà poi perfetto..." (Stromati, I, c. V, 28, 1-3).
2- Kiko è coerente: respingendo la "religione naturale", esclude tutto ciò che ovunque e sempre l'ha caratterizzata. Secondo lui infatti essa "ha fatto un tempio, ha creato un altare, ha posto un sacerdote..." (iv. I, p. 66). Ma ciò è ancora poco rispetto a quanto aggiunge superando tutti i limiti dell'impudenza. Infatti, blatera che
"nel Cristianesimo non c'è tempio, né altare, né sacerdoti nel senso della religione natural" (iv.). Ma in qual senso "la religione naturale si oppone al Cristianesimo" a proposito del
tempio, dell'
altare, del
sacerdozio?
Certamente, tempio, altare e sacerdozio, nel Cristianesimo, si riferiscono all'attuale economia della Provvidenza, ossia alla condizione storica dell'uomo ch'è appunto quella della
grazia, ovviamente superiore a quella della
natura... Ma la perfetta analogia tra i due ordini spiega benissimo come anche per i credenti il
tempio è stato sempre "la casa di Dio"...; l'
altare è stato sempre quello del Sacrificio eucaristico che ri-presenta l'immolazione della Croce...; il
sacerdote è stato sempre il ministro visibile del Cristo, Vittima dei peccati del mondo.
3-
Appunto ciò che Kiko rifiuta: "Noi cristiani (non dice «noi cattolici») non abbiamo altare, perché l'unica pietra santa è Cristo, pietra angolare. Perciò noi possiamo celebrare l'eucaristia sopra un tavolo; e la possiamo celebrare in una piazza, in campagna e dove ci piaccia! Non abbiamo un luogo in cui esclusivamente si debba celebrare il culto..." (cf. il mio
Magistero... p. 52). Se così è, signor Kiko Argüello, come la mettiamo con quanto il Vaticano II - da te tanto esaltato - prescrive nel cap. VII della costituzione sulla liturgia? (SC 122-130)
Ma c'è di peggio.
4- Per lui non c'è che il "tavolo", non più
l'altare. Tavolo intorno al quale tutti siedono, mangiano, bevono, parlano, cantano e alla fine ballano, presi dall'euforia del Cristo che, risorto, porta tutti alla salvezza usl suo "carro di fuoco".
Se non si ha più "altare", cessa anche il
sacrificio offerto in espiazione del peccato, pur essendo esso - secondo i Cattolici - il solo atto di culto che redima, ossia ridoni la vita nella partecipazione alla gloria della Risurrezione.
Questo il
"credo" neocatecumenale, contro tutte le fonti della Rivelazione, a dispetto di tutte le solenni definizioni della Chiesa gerarchica.
"Non c'è sacrificio nell'Eucarestia..." bestemmia Kiko (iv.); il quale biasima quanti credono che nella Messa "qualcuno si sacrifica, cioè il Cristo". Nell'Eucarestia vedono soltanto il sacrificio della croce di Gesù Cristo. E se oggi chiedeste alla gente qualcosa a questo proposito, vi direbbe che
nella messa vede il calvario... (iv.).
Insomma, insiste il nostro "maestro",
"nell'Eucaristia non c'è nessuna offerta" (iv.) Ha mai letto espressioni del genere E.T.? Egli fa supporre di essersi bene informato dalle catechesi di Kiko; e, allora, perché non protesta contro strafalcioni che offendono la nostra comune fede di cattolici, almeno come rileva altri lati negativi della liturgia del Cammino?
5- Non è tutto. Il nostro A. sembra non si sia accorto che Kiko, nel rifiutare l'
altare - sostituito dalla "tavola" -, oltre ad ignorare la
transustanziazione e il
Sacrificio, logicamente nega pure il
sacerdozio ministeriale, sostenendo l'unico sacerdozio di Cristo, partecipato indifferentemente da tutti i "battezzati", come appunto pensava Lutero (cf. Denz.-Sch., 1766, 1773). Vorrei che egli avesse la pazienza di meditare almeno quanto al riguardo il Magistero ha confermato per l'ennesima volta nel recentissimo quanto autorevole Catechismo della Chiesa Cattolica (1546-54).
*** III ***
Pur sovvertendo il "depositum fidei", il Cammino tuttavia segue una sua logica, perché parte da premesse che rappresentano le profonde radici di una teologia costantemente condannata dal Magistero. Credo di poterla riassumere nella negazione del
peccato; negazione che rimanda a due tesi fondamentali, una delle quali riguarda
Dio, l'altra si riferisce all'
uomo:
a) secondo Kiko,
Dio non può essere offeso dall'uomo, perché trascendente, impassibile, beatissimo (cf.
Eresie..., pp. 20s; e
Magistero..., pp. 25s);
b) d'altra parte,
l'uomo non può offendere Dio, perché, essendo "schiavo del Maligno", "non può fare il bene", né quindi evitare il male: egli non è
libero (cf.
Eresie..., pp. 20s; e
Magistero..., pp. 28s).
Ora, che Dio non possa essere raggiunto dalla tracotanza umana è certissimo; ma è egualmente vero che l'uomo
può essere ingiusto con Lui precisamente quando intende negarlo, trasgredendo la sua legge, illudendosi di sottrarsi al suo dominio: appunto il folle tentativo che, concepito da una volontà malvagia, costituisce il peccato
come offesa a Dio. Al riguardo, le fonti della Rivelazione offrono testimonianze che mi dispenso dalla fatica di citare.
E così, contro
il pessimismo luterano interamente assorbito da Kiko, non sarebbe meno facile persuadere chiunque, che il peccato originale, avendo lasciata inalterata la natura profonda dell'uomo, ha risparmiato anche la sua
libertà, per cui egli può fare ancora bene e male, essere giusto e ingiusto, corrispondere e rifiutare la grazia, meritare la vita eterna e contrarre il dovere della riparazione.
Ed eccoci tornati al tema del
sacrificio, volto ad espiare il peccato e riconciliare l'uomo con Dio. Appunto l'opera possibile a livello della natura e della grazia: l'analogia tra i due ordini - ripeto - è innegabile; ma a noi interessa la riparazione compiuta da Cristo Mediatore a livello della grazia, l'unico storicamente reale. Ebbene:
Gesù ha espiato le nostre colpe e ci ha riconciliati col Dio vivente mediante il sacrificio della croce. Vale a dire, contro la teologia "kikiana",
l'unica causa meritoria della nostra salvezza è stata la Passione, non la Risurrezione; Cristo ci ha redenti morendo, non risuscitando. La Risurrezione, quale
passaggio dalla morte alla vita, è stato il premio (=effetto) dovuto al
precedente passaggio dalla vita alla morte quale suprema espressione del suo amore al Padre e all'umanità peccatrice... Qui le citazioni bibliche si potrebbero moltiplicare all'infinito, seguite da quelle tratte dalle catechesi dei Padri, dalla letteratura liturgica, dal magistero di Papi e Concili...
Ora, il dovere del "sacrificio" sottende necessariamente la possibilità del peccato, a sua volta condizionato alla libertà umana; negata la quale, il sacrificio di espiazione non avrebbe senso; per cui la Passione di Cristo, nei nostri riguardi, sarebbe del tutto superflua, come sarebbe infondato il nostro dovere di farla "nostra" unendoci all'Immolazione del Calvario... Chi non ha peccato, perché non poteva peccare, non può neanche espiare una colpa non commessa...
c) A questo riguardo, la logica di Kiko è impeccabile: ma, nel seguirla, egli è tenuto ad abiurare la fede cattolica, secondo la quale Dio
può essere offeso dall'uomo, l'uomo ha realmente offeso Dio, e deve perciò
ristabilire l'ordine della giustizia. Ora, non essendo ciò possibile all'uomo con le risorse della natura, Dio - prendendo l'iniziativa - ha mandato il suo divin Figlio quale nostro Mediatore, Vittima di espiazione e di salvezza; di una salvezza, ovviamente, possibile soltanto a coloro che valendosi della grazia da Lui meritata, partecipano al suo Sacrificio.
Questa la sostanza della teologia cattolica anche secondo il Vaticano II, a cui Kiko tributa i più alti elogi, come se i precedenti venti Concili ecumenici celebrati dalla Chiesa non avessero avuto da esso la più chiara e incondizionata conferma.
Egli ne ha mai letto i documenti? Forse s'illude che i suoi seguaci siano talmente sprovveduti da credere ciecamente alle sue fandonie? Tra le tante che ingemmano la sua catechesi, basterebbe citarne alcune, quanto basta per riepilogare il contenuto di questo articolo.
Così, all'attuale "processo di desacralizzazione e di crisi di fede, lo Spirito Santo (...) ha risposto con il Concilio". In che modo? Udiamolo:
"Il Concilio ha risposto rinnovando la teologia. E non si è parlato più della redenzione..." (cf.
Eresie..., p. 13).
La menzogna è palese, calunniosa, perché il Vaticano II parla di quel dogma - assolutamente centrale nel contesto delle verità rivelate! - non meno di tredici volte (cf. LG 3, 8, 9, 44, 52, 57; SC 2; UR 12; PC 5; AA 2, 5; DH 11; PO 13; GS 67, ecc.).
Secondo il nostro "riformatore", ottimo discepolo di Lutero,
"Gesù Cristo non è affatto un ideale di vita. Gesù Cristo non è venuto a darci l'esempio e ad insegnarci a compiere la legge" (iv., p. 22). È veramente il colmo, per cui rinunzio a controbattere citando migliaia di passi del Nuovo Testamento, della letteratura patristica, teologica, agiografica, ascetico-mistica di due millenni di Cristianesimo...
Non ha mai riflettuto Kiko che per noi Cristo è l'unico Ideale, supremo criterio di vita, Tipo universale e inesauribile di santità, esclusivamente in virtù della sua
grazia, senza la quale non potremmo far nulla, come "i tralci" separati dalla "Vite"?
Certamente la corrispondenza alla Grazia suppone la
libertà umana...; che però Kiko nega, ed ecco il suo ricorso alla "fede-fiduciale" di luterana memoria... Fede tuttavia che senza le opere è morta; e, del resto, la stessa fede la si deve necessariamente alla Grazia... Ed ecco allora la concezione di una "salvezza"
del tutto gratuita, ossia non degna dell'uomo
come persona. "Chi ti ha creato senza di te - cito a mente un notissimo passo di S. Agostino -,
non potrà salvarti senza di te!...". Penso che, a questo punto l'imbarazzo di Kiko sale al colmo...
*** Conclusione ***
Mi auguro che E.T., riflettendo sulla dottrina di Kiko tratta dai ciclostilati delle sue catechesi, si renda conto che la liturgia neocatecumenale compromette irreparabilmente il dogma cattolico, per cui sarebbe meglio non parlarne...
Vorrei però che altri, seguendo l'encomiabile esempio di coraggio da lui dato criticando la liturgia del Cammino, osino spingersi più a fondo per scoprire e far noto a tutti l'errata base dottrinale del Cammino.
Inoltre spero che fedeli, sacerdoti, parroci e Vescovi aprano finalmente gli occhi e prendano sul serio la lenta e incessante avanzata di un'
eresia più minacciosa di tutte le "sètte". Sotto alcuni aspetti, essa è la peggiore, perché, oltre a tradire la verità della Rivelazione cristiana, disponde di una potente struttura organizzativa, di straordinarie risorse finanziarie e specialmente dell'immeritata protezione della Gerarchia cattolica, per la quale dirigenti e catechisti possono continuare ad imporsi a moltitudini di fedeli sprovveduti e in buona fede.
Pertanto auspico che appunto i membri della Gerarchia capiscano che il Cammino - secondo le premesse dogmatiche di Kiko - costituisce la più insidiosa e temibile minaccia per l'autorità da essi esercitata in virtù dell'Ordine sacro. Kiko la nega semplicemente perché rifiuta il Sacerdozio ministeriale che, distinguendo essenzialmente "il sacerdote" dal "laico", fonda la Gerarchia ecclesiastica, ossia i poteri esclusivamente propri del "diacono", del "presbitero", del "vescovo"... (cf.
Eresie..., pp. 25ss.).
Molti Vescovi non si sono accorti che quei "poteri", accettati dai fedeli,
servono al Cammino perché potente strumento di prestigio, di proselitismo, di dominio; mentre ai
Catechisti sono riservati i più alti compiti di direzione spirituale:
"Non c'è catecumenato senza obbedienza all'autorità dei catechisti...", dichiara Kiko (cf.
Eresie..., p. 26). Soltanto essi hanno
"il carisma di discernere gli spiriti..." (iv.); per cui,
"se non c'è obbedienza al catechista, non c'è cammino" (iv.).
Vorrei, infine, che queste note, superando la barriera di quanti hanno tutto l'interesse di occultare la verità del Movimento neocatecumenale, arrivassero al Papa, e che il Papa compisse l'eroico sforzo di almeno dubitare di quanto finora ha saputo del Cammino per quanto riguarda i suoi presupposti dottrinali... È immaginario il pericolo che, sradicando la zizzania, si sradicherebbe anche il buon grano: il vero "buon grano" non può essere infetto dal virus dell'eresia, quella che ama nascondersi, propagarsi nel segreto, non tollera "confronti", rifugge da ogni "dialogo" e preferisce tacere per procurarsi l'aureola del martirio: il "fondamentalismo" neocatecumenale è capace anche di questo...
Che fare dunque?
Molto semplice, essendo io disposto a qualsiasi incontro organizzato per verificare la fondatezza della mia critica. Basterebbe:
- accertarsi - per chi ne dubitasse ancora - dell'autenticità delle catechesi attribuite a Kiko-Carmen;
- esaminare i testi incriminati e confrontarne il contenuto con la dottrina della Chiesa Cattolica.
Io ho già fatto tutti i confronti e ne ho pubblicato le conclusioni da alcuni anni: sono pronto ad ogni smentita, che sia però seriamente dimostrata. Ma non mi si torni ad annoiare ripetendo:
- che il Cammino sta dando buoni frutti. Ciò è discutibilissimo per molte ragioni, e d'altra parte non sarebbe un argomento capace di confutare le mie accuse formulate ad un livello esclusivamente dogmatico...;
- in questa e quella comunità non si dice né si fa nulla che sia contrario alla fede cattolica. È possibile, qua e là, per ragioni del tutto contingenti... Io mi rivolgo principalmente a Kiko e ai suoi più intimi collaboratori, responsabili degli errori da me ripresi. Nessun altro, quindi, ha l'autorità d'interloquire...;
- il Papa approva, benedice e protegge il Cammino. Verissimo... Ma, finora, nessuno ha potuto dimostrare che Egli, oltre ad essere minutamente informato dei successi del medesimo, conosce anche la teologia di Kiko. Sono convinto che Giovanni Paolo II non potrebbe continuare a tenere discorsi degni del Scucessore di Pietro, e insieme favorire un movimento che sostiene tutto il contrario di quanto egli insegna. Che motivo potrebbe giustificare un comportamento così stranamente ambiguo?
Ad ogni modo, l'atteggiamento del Papa, pur non sapendo spiegarmelo, neppure scalfisce la mia posizione; e chi tornasse a propormelo, non farebbe che confermarla, stimolandomi anzi a continuare la mia opera di ricerca e difesa della verità: quella che, soprattutto nel caso nostro, è talmente forte in se stessa, da resistere a qualsiasi tentativo di tradimento.
"Veritas in seipsa fortis est, et nulla impugnatione convellitur" (S. Tommaso, Summa c. Gent., IV, c. 10).
Ringrazio cordialmente E.T. dell'occasione offerta di interessarmi ancora una volta di un problema particolarmente grave e attuale. Apprezzo la sua critica alla liturgia del Cammino, e a lui - fraternamente - chiedo di approfondire l'esame delle "catechesi" di Kiko-Carmen; di essere più esplicito e lineare nel giudizio d'insieme del Cammino; di preoccuparsi non tanto dell'aspetto
liturgico, quanto di quello
teologico, data l'indiscutibile prevalenza del
dogma sul
culto.
P. Enrico Zoffoli.