venerdì 9 giugno 2023

Come si può trattare l'Eucaristia in certi modi se si crede davvero a ciò che la Chiesa crede e insegna sulla presenza di Gesù nell'Eucaristia?

Considerazioni sulla presenza reale di Gesù nell'Eucaristia

Come si può trattare l'Eucaristia in certi modi se si crede davvero a ciò che la Chiesa crede e insegna sulla presenza di Gesù nell'Eucaristia?


La dottrina tridentina sul Santissimo Sacramento dell’Eucaristia è estremamente interessante e quanto mai attuale anche nei canoni successivi. 

E’ importante, infatti, ricordare, come si legge nel terzo e quarto canone, che la conseguenza immediata e diretta della dottrina della transustanziazione è duplice: 

primo, Gesù è realmente presente non solo tutto intero in ciascuna delle due specie, ma anche in ogni singolo frammento o parte di esse, anche infinitesimale; 

secondo, tale presenza perdura anche dopo l’uso o dopo l’atto liturgico, fino a quando le sacre specie non vengano completamente dissolte

Il motivo di ciò è molto semplice e cercherò di spiegarlo nel modo più comprensibile possibile.

Se la sostanza della specie “pane”, dopo la consacrazione diventa “sostanza corpo di Cristo”, dobbiamo considerare che anche in un piccolo frammento di pane consacrato (ossia dove ci sia ciò che prima della consacrazione integrava la sostanza del pane) è presente (sotto gli accidenti del pane) la vera sostanza “corpo di Cristo”. Dove c'era ciò che insegna (anche a livello delle moderne conoscenze della chimica) la ”sostanza-pane”, dopo la sua miracolosa conversione nella sostanza "corpo di Cristo" ne segue che in un frammento di “pane consacrato” c’è la conformazione chimica della sostanza “corpo di Cristo” ovvero del vero corpo umano di nostro Signore!!! 


Ma dato che nostro Signore Gesù è vivo e si trova col suo vero Corpo seduto alla destra del Padre, è allora evidente che - come in ogni corpo di un essere vivente – al suo interno scorre il suo Sangue vivo e vero, che quel corpo è unito alla sua vera anima e, nel caso del Figlio di Dio”, è anche unito ipostaticamente alla seconda Persona della Santissima Trinità: ecco allora che, attraverso la sostanza “corpo di Cristo” è presente ("per concomitanza", come si dice in teologia) Cristo tutto intero e, ovviamente, se è presente in ogni singolo frammento di pane consacrato è chiaro che anche in un  piccolissimo frammento (purché visibile ad occhio umano) ci sarà “tutto Gesù”

Analogo discorso vale per il vino consacrato. Dovunque si trovi, a livello chimico, in una minima goccia, la conformazione chimica del vino (che dopo la consacrazione non c’è più come sostanza), è chiaro che lì c’è la vera sostanza del Sangue di Cristo, Sangue che ora scorre nelle vene divine del Suo Corpo, a cui è unita la sua anima e a cui è unita la sua divinità! 

 


Trattandosi di presenza legata al mutamento di sostanza, essa dunque può cessare solo quando gli “anomali e miracolosi accidenti” (ovvero la forma, il colore, l’odore e il sapore del pane e del vino) si dissolvono: quindi solo quando un’Ostia è consumata e assorbita dal nostro organismo (circa quindici minuti da quando la si è assunta) e quando il Sangue di Cristo è stato completamente assunto oppure è completamente evaporato.
Si badi che quanto detto non è altro che la spiegazione di un dogma di fede e dei suoi corollari. Mi chiedo, se davvero si avesse questa chiarezza dottrinale, con quale coraggio si potrebbe rischiare di disperdere un solo frammento di Ostia consacrata, cosa molto facile con alcune prassi oggi largamente in vigore?... 

Non è certamente un caso se, nel Vetus Ordo del rito della santa Messa le rubriche prescrivevano al sacerdote di non disgiungere mai i pollici dagli indici dal momento della consacrazione fino alla purificazione delle dita. Tanto grande era la fede e il conseguente rispetto dovuto al Santissimo Corpo di Gesù e la cura di evitare, per quanto possibile, sacrilegi e profanazioni anche del tutto involontarie! Mi chiedo anche - se si credesse realmente e veramente che la presenza di Gesù continua anche dopo la liturgia – come potrebbe  essere possibile vedere fedeli entrare in Chiesa senza neanche guardare il Tabernacolo, passarci davanti senza compiere nemmeno un minimo gesto di adorazione, trascurare la visita al Santissimo Sacramento, non comprendere la forza e l’importanza straordinaria dell’adorazione eucaristica, specie quando Gesù è solennemente esposto. 

Per non parlare delle Chiese ridotte e pubblici mercati, dove si parla e si grida senza ritegno alcuno, oppure a musei dove - a differenza dei musei profani in cui quanto meno si osserva un rigoroso silenzio - si è liberi di schiamazzare, fotografare e chiacchierare a piacimento, anche durante lo svolgimento dei sacri riti. 

Mi chiedo infine chi avrebbe il coraggio di “portare a spasso” nostro Signore, uscendo subito dalla Chiesa dopo aver fatto la comunione, senza sostare - come doveroso - in preghiera e adorazione di Gesù presente nella propria anima…

Queste considerazioni confermano la mia personale convinzione che dinanzi ad atteggiamenti atipici o del tutto inopportuni, il vero problema di fondo è sempre di fede. Se qualcuno crede veramente a queste cose e non agisce di conseguenza, non saprei infatti cosa pensare… Perché commetterebbe ad occhi aperti delle gravi irriverenze verso Colui che nel suo infinito amore per noi si è degnato e si degna di scendere e rimanere tra i figli degli uomini… 

da Don Leonardo Maria Pompei

Canoni sull'Eucarestia (Concilio di Trento)

  1. Se qualcuno negherà che nel santissimo sacramento dell’eucarestia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il corpo e il sangue di nostro signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità, e, quindi, tutto il Cristo, ma dirà che esso vi è solo come in un simbolo o una figura, o solo con la sua potenza, sia anatema.
  2. Se qualcuno dirà che nel santissimo sacramento dell’eucarestia assieme col corpo e col sangue di nostro signore Gesù Cristo rimane la sostanza del pane e del vino e negherà quella meravigliosa e singolare trasformazione di tutta la sostanza del pane nel corpo, e di tutta la sostanza del vino nel sangue, e che rimangono solamente le specie del pane e del vino, - trasformazione che la chiesa cattolica con termine appropriatissimo chiama transustanziazione, - sia anatema.
  3. Se qualcuno dirà che il sacrificio della messa è solo un sacrificio di lode e di ringraziamento, o la semplice commemorazione del sacrificio offerto sulla croce, e non propiziatorio; o che giova solo a chi lo riceve; e che non si deve offrire per i vivi e per i morti, per i peccati, per le pene, per le soddisfazioni, e per altre necessità, sia anatema. 
  4. Se qualcuno dirà che, fatta la consacrazione, nel mirabile sacramento dell’eucarestia non vi è il corpo e il sangue del signore nostro Gesù Cristo, ma solo nell’uso, mentre si riceve, e non prima o dopo; e che nelle ostie o parti consacrate, che dopo la comunione vengono conservate e rimangono, non rimane il vero corpo del Signore, sia anatema.
  5. Se qualcuno dirà che il frutto principale della santissima eucaristia è la remissione dei peccati, o che essa non produce altri effetti: sia anatema. 
  6. Se qualcuno dirà che nel santo sacramento dell'eucaristia il Cristo, unigenito figlio di Dio, non deve essere adorato con culto di latria, anche esterno; e perciò non deve neppure essere venerato con una particolare solen­nità; né deve essere portato solennemente in processione, secondo il lodevole e universale rito e consuetudine della santa chiesa; o che non deve essere esposto pubblicamente all'adorazione del popolo; e che coloro che l'adorano sono degli idolatri: sia anatema. 
  7. Se qualcuno dirà che non è lecito conservare la santa eucaristia nel tabernacolo, ma che deve essere distribuita ai presenti subito dopo la con­sacrazione, o che non è lecito portarla solennemente agli ammalati: sia anatema. 
  8. Se qualcuno dirà che il Cristo, dato nell'eucaristia, viene mangiato solo spiritualmente, e non anche sacramentalmente e realmente: sia anatema. 
  9. Se qualcuno negherà che tutti i fedeli cristiani dell'uno e dell'altro sesso, giunti all'età della ragione, sono obbligati ogni anno a comunicarsi almeno a Pasqua, secondo il precetto della santa madre chiesa: sia anatema. 
  10. Se qualcuno dirà che non è lecito al celebrante comunicare se stesso: sia anatema. 
  11. Se qualcuno dirà che la fede sola è preparazione sufficiente per ricevere il sacramento della santissima eucaristia: sia anatema.

martedì 6 giugno 2023

Perfino Orwell smaschera il Cammino Neocatecumenale

Brevi citazioni dall'autore di 1984:
  1. "Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato."
  2. "Se il pensiero distorce il linguaggio, anche il linguaggio è in grado di distorcere il pensiero."
  3. "Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario."
Di fronte a quella che la Carmen Hernández stessa chiamava "propaganda kikiana", cioè al narcisismo autoreferenziale e ingannatore di Kiko Argüello, il dire la verità è un "atto rivoluzionario", che getta scompiglio, ira e terrore tra i fratelli del Cammino Neocatecumenale. Che infatti reagiscono con furente rabbia aggredendo verbalmente (e talvolta anche fisicamente) gli interlocutori, o tentano di sviare il discorso (magari inforcando il solito finto sorrisetto di plastica), oppure semplicemente scappano atterriti.

Vaccate kikiane che i kikolatri
hanno cercato di far sparire in ogni modo

I burattinai* di Kiko e Carmen sapevano benissimo che il linguaggio può distorcere il pensiero. Ed è il motivo fondamentale per cui nel Cammino vige un gergo tutto particolare fondato su quattro princìpi:

  1. l'abuso di termini del lessico cristiano per indicare realtà interne al Cammino. Qualche esempio:
    • "evangelizzazione", per indicare non la diffusione del Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo, ma solo per intendere il "fare proselitismo per il Cammino, costituire nuove comunità di Paganti Decima, diffondere le dottrine di Kiko e Carmen"
    • "eucarestia", per significare "le liturgie celebrate il sabato sera alla maniera di Kiko e Carmen, anche se profondamente diverse dalla celebrazione dell'Eucarestia cattolica"
    • "catechisti", per indicare non coloro che insegnano il Catechismo della Chiesa Cattolica, ma per indicare gli scagnozzi di Kiko e Carmen che «scarnificano le coscienze», impongono scelte di vita e di lavoro e di famiglia, comandano in maniera assoluta nel Cammino ed è vietatissimo contraddirli poiché -come dice Kiko- «l'ubbidienza al catechista è tutto»; Kiko è lo stesso che va presentandosi come «io sono il Vostro Catechista», «io sono Giovanni Battista in mezzo a noi», «pensi che mi canonizzeranno?»
    • "apertura alla vita", per significare non ciò che dice la Chiesa Cattolica (che non censura la ragione, e pertanto predica anche la "paternità responsabile": i figli sono un dono di Dio e perciò vanno allevati come desidera il Signore), ma per significare un generico "sfornare figli come conigli" (rifilando poi i figli a babysitter, nonni, "didàscali", ecc.; «a che quota sei?»: l'importante, alle "convivenze", è potersi vantare del gran numero di figli);
  2. l'utilizzo di un proprio gergo composto sia da paroloni altisonanti che non trovano riscontro nel gergo ecclesiale cattolico, sia da un semplificazionismo verbale in cui ogni attività del Cammino è sempre un "fare". Qualche esempio:
    1. "fare l'ambientale" (l'omelia laicale prima della celebrazione);
    2. "le fai le Lodi?" (la effettui la preghiera kikizzata della domenica mattina a casa in sala da pranzo con chitarrella cero Bibbia tovaglia e "icone" di Kiko?);
    3. "facciamo eucarestia" (celebrare la liturgia eucaristica; i kikos hanno in odio i termini cattolici come "sacerdozio", "Messa", "transustanziazione", ecc., che ricordano il concetto di sacrificio, tanto inviso a Kiko e Carmen);
  3. la fissazione con l'Antico Testamento (come il battezzare i figli usando nomi veterotestamentari, ecc.), che a parte un esibirsi non ha alcun senso;
  4.  l'abuso di termini ebraici ("ho fatto un Midràsh!", "la Shekinàh del Signore!", ecc.), e perfino latini se serve per fare bella figura ("Catechumenium", "communitates in missionem", "traditio symboli", "redditio", "scrutatio", ecc.).

La 'storia della salvezza' secondo Kiko.
Notare i 1600 anni di storia della Chiesa
messi fra parentesi come se non valessero nulla

Nel Cammino Neocatecumenale il "controllo del passato" avviene nella maniera più rozza possibile: cancellandolo, sminuendolo, mistificandolo.

Infatti per gli autoproclamati "iniziatori" del Cammino, Kiko Argüello Wirtz e Carmen Hernández Barrera, la storia della Chiesa è composta solo da tre fasi:

  1. i "primi cristiani delle origini cristiane", intesi alla maniera di Kiko e Carmen, cioè non secondo ciò che gli archeologi e gli storici sono stati capaci di ricostruire, ma secondo una visione idealizzata e neocatecumenalizzata;
  2. la lunga parentesi buia "da Costantino al Vaticano II", cioè diciassette secoli in cui la Chiesa avrebbe sbagliato, e di cui tutto lo splendore (a cominciare dalle innumerevoli figure di santità) sarebbe da buttar via;
  3. il Concilio Vaticano II che la Carmen avrebbe servito a Kiko «su un piatto d'argento», cioè la fondazione del Cammino Neocatecumenale, poiché la Chiesa continua a sbagliare in quanto ancor oggi «i vescovi non capiscono di aver bisogno dei carismi [del Cammino]».

Il "santino" di sanKiko
A furia di insistere su questi concetti, il tipico kikos non avverte alcuno stimolo o interesse alle figure di santità dal Medioevo fino a padre Pio da Pietrelcina, né all'arte sacra, né alla liturgia cattolica, né ad altro. Per il tipico kikos l'unica forma possibile del cattolicesimo è esclusivamente il Cammino, e padre Pio era reo non solo di non grattugiare la chitarrella coi canti di Kiko, ma addirittura era "preconciliare", cioè appartenente ad un'epoca che per la mentalità neocatecumenale è fumo negli occhi. E i "primi cristiani delle origini cristiane", secondo i kikos, erano tutti concentrati a versare Decime, a fare le Lodi Domestiche la domenica mattina (allo scopo di non andare in parrocchia), a organizzare Convivenze, a fare Preparazioni di letture bibliche, di Ambientali, di Monizioni, di Risonanze, di Giri di Esperienze...

Quelle tre citazioni di Orwell si applicano benissimo al Cammino Neocatecumenale. Il "controllo" (cioè la reinterpretazione arbitraria) del passato (cioè della storia della Chiesa), il "linguaggio che distorce il pensiero" (in modo da sembrare cattolici ma senza esserlo, anzi, mistificando il valore dei termini del lessico cattolico), e la persecuzione accanita ai membri della setta neocatecumenale che osassero dire la verità (per il timore di scoprire che "il re è nudo"). Per questo invitiamo i fratelli del Cammino a mettere alla prova l'onestà e la correttezza dei cosiddetti "catechisti", per esempio con gesti come:

  • versare la propria "Decima" non nelle mani di esponenti del Cammino, ma segretamente in beneficenza a qualche ente cattolico meritevole e che non c'entri nulla col Cammino. Il Signore vede nel segreto e apprezzerà. Invece, i cosiddetti "catechisti"...
    Gadget venduti nei kiko-shop
    per ostentare manie di ebraismo

  • il chiedere esplicitamente che le liturgie neocatecumenali siano uguali a quelle della Chiesa, così come esigono i documenti liturgici validi per tutta la Chiesa, così come ha comandato espressamente il Papa (lettera del 1° dicembre 2005), così come esige lo Statuto del Cammino (art.13, nota 49);
  • il correggere i fratelli e soprattutto ai cosiddetti "catechisti" quando dicono qualche fandonia o addirittura eresia (tipo l'assurda "il Signore ti manda le disgrazie"); ma anche il discutere apertamente su quanto sia pericoloso per la propria anima seguire e ubbidire a uno che va dicendo che «Dio ci parla attraverso i testimoni di geova», «trecentomila incesti a Napoli», «le cefale» adescatrici...


* Nota: sono convinto che certe fabbricazioni del Cammino siano troppo ben pianificate per essere state partorite dalla mente di Kiko e Carmen, i quali, per tutta una vita, hanno esalato clamorose vaccate. Ricordo per esempio Carmen blaterare insistentemente di una Quarta Coppa, del tutto fuori contesto (a meno che non credesse di poter trovare un nesso teologico fra la briscola e l'Ultima Cena).

sabato 3 giugno 2023

La spina di san Paolo

Quando si parla di ira è necessario distinguere tra sentimento (passione) e vizio capitale (peccato).
Il sentimento dell’ira, e cioè quella reazione che istintivamente si prova dinanzi ad una determinata realtà quando la si percepisce come un male da eliminare, non è né buono né cattivo. Come tutti gli altri sentimenti, di per sé è neutro.
Di fatto diventa buono o cattivo dipendentemente dall’uso che se ne fa, come il sentimento o passione dell’amore diventa buono quando si ama Dio o il prossimo e diventa cattivo quando si ama il male e il peccato, così l’ira può essere buona se ci si accende di sdegno per le cose sante che vediamo profanate, oppure cattiva quando ci si adira a sproposito.

Quindi gli attacchi d'ira violenti e preventivi, se c'è il deliberato consenso e la piena avvertenza, si configurano come peccato mortale.

Dice infatti San Tommaso che  l’ira, quando è antecedente, svia la ragione dalla sua rettitudine e quindi è peccaminosa.

 

Hieronymus Bosch "I sette peccati capitali": l'ira (dettaglio)
(guarda caso, anche qui sedie che volano!)

Kiko Argüello, volutamente, semina la confusione anche in questo campo e, per poter affermare che si può essere santi solo se peccatori, secondo la concezione luterana, non ci pensa due volte ad attribuire ai santi la quotidiana frequentazione con il peccato mortale, in particolare quello dell'ira, ma anche quello della superbia e tutti gli altri peccati capitali.

Uno dei suoi soggetti preferiti è  San Paolo, dal momento  che si identifica personalmente  con il grande Apostolo delle genti, ed in particolare uno dei suoi brani più  bersagliati è  quello celebre della seconda lettera ai Corinzi 12, in cui San Paolo parla della spina nella carne. 

Ecco una affermazione di Kiko tratta dal mamotreto del secondo scrutinio (pagg. 80-81):

"Bene, chi sta in questo cammino pensando che il Signore ti toglie la croce, sei uno sciocco! Ma come te la toglie se è proprio quella che ti sta salvando, che ti sta ridimensionando, che ti fa essere umile. Ricorda S.Paolo. Dicono che avesse l'angelo di satana. Ma forse aveva delle crisi  colleriche. Pensate un cristiano con le crisi colleriche! E queste crisi gli  facevano perdere la faccia. Tutti pensavano che fosse un santo e invece si trovavano davanti uno che perdeva le staffe. Questo demonio lo umiliava, lo faceva soffrire e siccome soffriva tanto si decise a chiedere al Signore che gliele togliesse. E quasi idolatricamente suppongo che sia stato in ginocchio nella sua stanza. E prega al Signore: "Signore, toglimi questa croce, non ne posso più". Ma il Signore non risponde quella notte, continua così la seconda notte, digiuno ecc. La terza volta che lui lo fa con difficoltà il Signore gli risponde e gli dice: "Ma non sai che io sono forte nella tua debolezza? E tu vuoi che io te lo tolga?" Tutti vedono che tu sei uno schifo e allora la gente pensa che le comunità non sono opera di S. Paolo perché noi ci siamo avvicinati a lui e puzza. Ma allora è Dio? Infatti, Egli appare nella tua debolezza. E questo ti sta molto bene perché sei un superbo tremendo e vorresti che tutti i frutti dell'evangelizzazione venissero a te".

Ebbene, sono state fatte molte ipotesi sulla spina nella carne che tormentava San Paolo, ma la corretta esegesi ipotizza un problema fisico, una malattia e una debolezza corporale che nulla ha a che fare con il peccato o la volontà peccaminosa dell'apostolo.

Infatti scriveva San Paolo ai Corinzi (2 Corinzi 12:6-10)

"Certo, se volessi vantarmi, non sarei insensato, perché direi solo la verità; ma evito di farlo, perché nessuno mi giudichi di più di quello che vede o sente da me.
Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia. A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l'allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte."
L'Apostolo si riferisce ad una debolezza fisica, non certo a violenti e immotivati attacchi d'ira come ipotizza Kiko Argüello!

Gesù infatti diceva san Paolo, che pregava d'essere sollevato da questo tormento, "ti basta la mia grazia" e lo stesso Apostolo, scrivendo ai Romani (6,1-2), li ammoniva: "Che diremo dunque? Continuiamo a restare nel peccato perché abbondi la grazia? È assurdo! Noi che già siamo morti al peccato, come potremo ancora vivere nel peccato?"

Insiste Kiko, che da sempre ha la "fissa" per San Paolo:

"Allora non potete immaginare quello che significa il potere che il Signore concede a noi, che siamo gente peccatrice, di questa Parola che noi riassumiamo nel Kerygma, la possibilità di annunziare il suo Vangelo, di donare la vita, donare la vita! A tanta gente Dio non lo permette. San Paolo dirà “A me, l’ultimo degli uomini, un aborto io sono, Dio mi ha dato questo ministero, mi ha dato accesso a questa liturgia, alla predicazione, a evangelizzare, evangelizzare”.
Eppure l'apostolo Paolo diceva ai Filippesi: “Fratelli, fatevi insieme miei imitatori". E perchè poteva dirlo? Perché la grazia di Gesù gli permetta d'essere, con tutte le sue difficoltà d'uomo, un modello da raccomandare.
E non solo proponeva se stesso  come modello, ma anche i propri discepoli.

Infatti l'Apostolo poi così proseguiva: "e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi".
Vuol dire che non solo San Paolo era un modello da raccomandare, ma anche chi si ispirava a lui lo era, allo stesso modo. E quindi pure Carmen, pure Kiko, che non sono santi ma si dichiarano apostoli (se non addirittura angeli) non sono esentati da questo imperativo: e neppure i loro seguaci, che tanto si vantano invece d'essere peccatori!

Sappiamo comunque che Kiko è un recidivo: non potendo e non volendo elevarsi al livello dei santi, li trascina giù  al proprio. Fu così che accusò San Francesco d'essere un superbo:

"Sta là San Francesco d’Assisi prendendosi un caffettino e gli diciamo (questo lo sappiamo perché sta nella vita di tutti i santi): "Tu sei un superbo!" Sapete la risposta di San Francesco? Come risponderà San Francesco? "Hai visto benissimo. Guarda e non hai visto del tutto bene, di più, di più ecc…". Allora possiamo domandarci: San Francesco sta mentendo? Allora San Francesco non è un santo o sta dicendo la verità? Allora è un superbo. Sì. È un superbo. Ma, allora, come fa San Francesco ad essere santo? Ha scoperto una cosa immensa: Dio è capace d’amare un superbo come lui e questo gli basta per ritornare a Lui."
Scriveva qualche tempo fa la commentatrice Irene:

"Riguardo la libertà di peccare, ancora una volta nei mamotreti non si accenna al peccato mortale che fa letteralmente perire l'anima. Nessun richiamo al sacramento della penitenza e nessun accenno al fatto che, per esempio, c'è l'inferno.
Un catechizzatore di folle che si vanta di portare Gesù e il Vangelo ai lontani, e di essere in sintonia con la Chiesa Cattolica, sorvola su uno dei pilastri del cattolicesimo. Complimenti Kiko, bel lavoro.
Sant'Agostino invece capisce l'importanza del tenersi lontani dal peccato e quando si interroga sui motivi che hanno ritardato il suo battesimo scrive (ne ''Le confessioni'')
Fu un bene per me che mi siano state allentate per così dire, le briglie al peccato, o sarebbe stato bene il contrario? Per questa
ragione dunque ancor oggi si sente dire da ogni parte dell’uno e dell’altro: "Lascialo fare: non è ancora battezzato".
Eppure riguardo alla salute fisica non diciamo: "Lascia che si produca altre ferite: non è ancora guarito".
Dall'esempio dei Santi impariamo come comportarci e da quello di Kiko cosa dobbiamo evitare.
Io spero che sempre più persone abbandonino il cammino e ritrovino la serenità e la guarigione spirituale nella Chiesa Cattolica".

Grazie Irene! Condividiamo la tua speranza e il tuo auspicio. 

Hieronymus Bosch "I sette peccati capitali"

 

E a proposito dell'ira, un'ultima osservazione, tratta da un articolo di padre Angelo Bellon: l'ira costituisce peccato capitale ed essere demeritoria o biasimevole, come nel caso degli accessi d'ira attribuiti a San Paolo ed invece tipici dello stesso Kiko, ma può essere buona e positiva: l'ira, e cioè lo sdegno che ha provato il Signore nel vedere il Tempio trasformato in una spelonca di ladri, è stata un’emozione conseguente ed esercitata secondo ragione.

Cosicchè talvolta potrebbe esserci peccato per mancanza d’ira.
San Giovanni Crisostomo dice che "chi non si adira quando c’è motivo di farlo, pecca.
Infatti la pazienza irragionevole semina i vizi, nutre la negligenza, e invita al male non solo i cattivi, ma anche i buoni" (Op. imp. in Mt. hom. 11).
Quando non si elimina il male, anche col castigo, là dove ve ne è bisogno, “indubbiamente si commette un peccato” (San Tommaso, Somma teologica, II-II, 158,8).

Ed anche questo lasciamo alla riflessione di chi è stato convinto di non dover mai reagire al male e chiedere giustizia per sé e soprattutto per gli altri: sempre da Kiko Argüello, naturalmente, che sembra essersi fatto un punto d'onore nel rovesciare esegesi e dottrina cattolica nel suo esatto contrario.

 

 

 


mercoledì 31 maggio 2023

Cagliari: non passate sotto il retablo di Kiko ma a lato. (da FungKu)

Esimii lettori del Blog: neocatecumenali, non neocatecumenali e Puntini (che è un ibrido di tutt'e due le cose); l'altro giorno entrando in redazione mi sono messo come sempre a sbirciare da dietro le spalle cosa scorreva nei monitor e intanto catechizzavo tutti quanti, con salmi imprecatorii e lamentazioni perché la Sampdoria scende in serie B, mentre il Genoa risale in serie A! Sono arrivati i tempi del dem@nio! Penitenziàgite!!

Mentre Valentina cercava gentilmente di scacciarmi, ho scorto, tra le email pervenute, una comunicazione dalla Sardegna ed ho iniziato a porre domande indiscrete. Ed è così che, per tenermi impegnato, la redazione mi ha incaricato di riferirvi il contenuto di questa segnalazione, che è tragicomica, con i nostri più sentiti ringraziamenti a chi ce l'ha inviata!

In breve, il contenuto è il seguente: da Cagliari, più precisamente dal quartiere Poetto, emerge la notizia che le magnifiche opere e progressive di Kiko Arguello il novatore stanno già ai restauriLa nueva estetica di Kiko il distruttore dell'antichità è già un'anticaglia, un successo conseguito in soli 50 anni. I ponti romani sono ancora in piedi, il retablo di Kiko ha bisogno di 150 mila euri dalla Regione (ma che siete matti? ma lo sapete cosa ci esce con 150 mila euri?!) per restaurarlo. 

La notizia la trovate a questo link da cui riportiamo solo una citazione degna di nota:

L’umidità, dovuta anche a celebrazioni affollate e della durata di ore, sta minacciando le opere d’arte della chiesa della beata Vergine della Salute. La giunta Truzzu dà il via libera ai lavori di restauro finanziati dalla Regione.

Le cosiddette opere d'arte in questione sono principalmente il suddetto retablo kikiano, che, per chi - fortuna sua - non lo sapesse, è quella pala gigantesca nelle tonalità nero-rosso-oro (ha intinto il pennello nella bandiera della Germania, Kiko?) piena di imprecisioni iconografiche (cioè di eresie) che il guru ha fatto copiare ovunque gli sia riuscito di colonizzare gli edifici di culto. In questo blog se ne è parlato, per esempio, qui (2010)qui (2011)qui (2013)qui (2018)

Ecco il capolavoro a cui non dovete passare sotto, che vien giù tutto! (Io non ci posso manco passare di lato, che le opere di Kiko mi ispirano lo stesso affetto di quelle del Rùppniqq).

Anche dal punto di vista tecnico, il retablo è stato dipinto con una tale maestria che i ragli, volevo dire, i canti, protratti per ore e ore, dei fratelli impacchettati in batteria, sono riusciti a farlo ammuffire! A questo link poi ci fan sapere che il retablo ha impreziosito la chiesa di Nostra Signora della Salute di via Ausonia – quartiere Poetto, nel 2013. 10 anni di gloria, 150 mila euri di riparazioni. Morale: appendi nella tua chiesa un Kikez di molto discutibile valore artistico, e sono subito 15 mila euri all'anno di spese di manutenzione! E siccome il sacco nero ormai gira e rigira a vuoto, andiamo pure a scroccare dai contribuenti, che saranno felicissimi di mollare questo malloppo al Kiko sottraendolo agli ospedali, alle scuole, alle strade da riasfaltare, al restauro del vero patrimonio artistico...

Un'altra citazione degna di nota, da stampare ed appendere in bacheca insieme alle vignette di Snoopy e alle citazioni di KungFu Panda e di Osho, è la seguente definizione di Cammino Neocatecumenale:

Il Cammino Neocatecumenale è la dottrina che promuove il ritorno al cristianesimo primitivo e la riduzione della distanza fra il potere temporale e quello spirituale al fine di ricondurre i fedeli alla Chiesa.
Il resto lo trovate ai link indicati, e con questo è tutto. Torno a piangere la Sampdoria e viva sempre la Sardegna! Una, autonoma, indipendente, libera (soprattutto dal Cammino) e repubblicana - oppure anche monarchica, ma questo sarà deciso grazie ad un referendum popolare.

Mellus unu burricu biu che unu dottori mortu! 
Meglio un asino vivo che un dottore morto, tradotto: se sei somaro è meglio rimanere vivo invece che ammazzarsi a studiare. Proverbio che, oltre a me e FAV, pure il 4v. Dottore HC Argutello ha capito benissimo.

domenica 28 maggio 2023

Pentecoste 2023: pecore neocatecumenali a caccia di presbiteri

«La diocesi di Roma si prepara a vivere nella sera di sabato 27 maggio il compimento del Tempo di Pasqua attraverso le celebrazioni della Veglia di Pentecoste, che saranno diverse per favorire la partecipazione dei fedeli: Nella cattedrale di San Giovanni in Laterano alle ore 19;
Settore Centro presso la Basilica dei Santi Apostoli alle ore 21;
Settore Nord presso la parrocchia di Sant’Ugo alle ore 20.30;
Settore Sud presso il Santuario della Madonna del Divino Amore alle ore 21;
Settore Est presso la parrocchia dei Santi Fabiano e Venanzio alle ore 21.

22 maggio 2023»


Queste le indicazioni al popolo cattolico di Roma per la Veglia di Pentecoste 2023; mentre altre diocesi si sono organizzate per un'unica veglia diocesana, ospitata in cattedrale o in una parrocchia prescelta. 

È una delle feste più importanti e significative per i cristiani la Pentecoste,  cioè la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli riuniti nel Cenacolo.  È l’inizio della predicazione dei discepoli di Gesù. Raccontano gli Atti degli Apostoli che “mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo”, il Cenacolo. Oggi quel ritrovarsi in tante città del mondo è come quel radunarsi “tutti assieme nello stesso luogo” per ascoltare la Parola di Dio e continuare a vivere assieme nella memoria del Signore Risorto.

L'intento che ispira queste celebrazioni diocesane riunite con il più  ampio possibile concorso di popolo, è  proprio quello di compiere nuovamente ciò  che narra il Vangelo, di ritornare cioè a quella riunione nel cenacolo degli apostoli che "si trovavano tutti insieme nello stesso luogo" con la Vergine Maria per celebrare il momento nel quale lo Spirito Santo come potenza dell'amore di Dio che viene a dare fiamma di energia nuova alla comunità del Cristo Risorto.

Quali sono, invece, in totale controtendenza, le disposizioni date da Kiko Argüello e dalla équipe internazionale del Cammino neocatecumenale per la Pentecoste 2023? Mentre le diocesi si riuniscono per formare un unico corpo, la lettera prescrittiva inviata dal Tripode neocatecumenale ai responsabili di Nazione, Regionali, Provinciali per essere diramate fino alla più  piccola comunità, ribatte l'ordine di scuderia di isolarsi dalla parrocchia e dalla diocesi, facendo la veglia del Cammino neocatecumenale  e per il Cammino neocatecumenale a parte, direttamente in albergo se possibile e separatamente comunità per comunità, con convivenza il giorno di Pentecoste; cosicché nessun "fratello" possa partecipare a veglie diocesane e neppure alla Messa della domenica in parrocchia o in cattedrale.

"Piccolo gregge" neocatecumenale a caccia
di presbiteri canonica per canonica
Le istruzioni specifiche giunte ai catechisti con la solita circolare dai massimi responsabili del Cammino, abbondando di caratteri in grassetto e di sottolineature, statuiscono infatti che
"è molto importante che ogni comunità celebri la Veglia di Pentecoste da sola".
Non interessa loro nulla della pastorale diocesana e parrocchiale, tirano in ballo infatti la "tradizione del Cammino"... come fosse il Magistero della Chiesa!
"La tradizione del Cammino è che ogni comunità possa vivere la Veglia di Pentecoste da sola e in convivenza".
Ma siccome la tradizione del Cammino non sembra loro sufficiente, citano anche l'Inno dell'Ascensione "Ascende il Buon Pastore" là dove dice:

"veglia il piccolo gregge con Maria nel cenacolo". 

E il piccolo gregge chi è,  per loro? Ma la piccola comunità  neocatecumenale, che riceve lo spirito neocatecumenale per portare al mondo l'annuncio neocatecumenale!

Per essere certi che nessuno possa partecipare a nussun altra iniziativa, nè religiosa, nè familiare nè ricreativa, prescrivono, sempre invocando la "tradizione del Cammino", che si  inizi  il sabato pomeriggio con la preparazione della Parola in gruppi, a cui segue la Veglia di Pentecoste con l'immancabile agape.
La domenica mattina poi si fanno le Lodi, si pranza e si sta ancora insieme, perché ormai la giornata non può prevedere altri programmi con familiari, con parenti o amici.
Se proprio non è possibile andare in convivenza da sabato, le inderogabili disposizioni stabiliscono comunque che  la Veglia si celebri "comunità per comunità", e che la domenica si vada in convivenza "come comunità".

E naturalmente questa frammentazione per comunità presuppone e richiede che ciascuna abbia il suo prete, motivo per cui le lettere arrivate a tutti i capo-responsabili di comunità li richiamano al compito (non facile) di "cercarsi dei presbiteri"  allo scopo di vivere la Pentecoste con una Eucaristia "più intima e non massiva".

E non viene detto, ma anche I battesimi verranno fatti in albergo, in una sala e non in una chiesa consacrata, utilizzando un fonte posticcio.


Ma perché – vien da chiedersi - si dà tanta importanza alla Pentecoste neocatecumenale? E’ chiaro! Perché costoro celebrano la nascita della kikiana chiesa sorta per rinnovare quella stessa Parrocchia da cui, come sempre, si tengono a debita distanza. E chi non l’accolga è condannato all’estinzione. Celebrano, in definitiva, l’avvento dello Spirito Santo sulle loro “piccole comunità”. 

Dice infatti Kiko: 
Avete visto di Pentecoste in Pentecoste Dio che sta benedicendo la vostra comunità.” 
“Questo amore... che prima non esisteva sul nostro pianeta, Dio lo ha voluto dare a noi. Questo amore è nel fondo il compimento della Torà...” 
“I Papi hanno detto che il Cammino Neocatecumenale viene dal cielo per la salvezza della Chiesa: hanno questo carisma di discernimento.”  (cit. tratte dalla Lettera per la Veglia di Pentecoste 2020

Insomma, per fare quella che a loro parere è la volontà dei Papi, dei Vescovi, della Chiesa, vanno contro alle disposizioni, valide per tutti i cattolici e per tutte le realtà e movimenti emanate proprio dai Pontefici, dai Vescovi e dalla Chiesa.

Usciranno mai da questa terribile confusione mentale e spirituale?

giovedì 25 maggio 2023

Spargere a terra il Corpo di Cristo: è ciò che avrebbe fatto Giuda

«Poco tempo addietro ho partecipato a una Santa Messa dove è stato consacrato pane azzimo: era a forma di disco, di dimensione media, circa 14-15 centimetri. Sebbene è stato diviso in cinque parti, siamo stati costretti a prendercele con la mano, per poterle mangiare. 

E' lì che ho capito meglio perché delle persone che erano inserite in un Movimento religioso cattolico che consacra sempre il pane azzimo sotto forma di pagnotte, le quali sono fatte dalle appartenenti al Movimento, sono poi uscite disgustate dal Cammino che effettuavano, nonché dalla Chiesa. 
 

Ho faticato non poco, per aiutare queste persone a riavvicinarsi a Santa Romana Chiesa. 

Erano contrariate, e anche talora profondamente sofferenti, per quello che avevano visto e udito alle S. Messe a cui avevano partecipato (dove ovviamente il pane azzimo casereccio viene consumato dagli astanti): alcuni non avevano apprezzato che la Mensa eucaristica fosse ridotta a una cena comunitaria, a una agape gioiosa, altri erano rimasti sconvolti dai commenti di cui era oggetto il Corpo Santo di Cristo, dopo che il pane era stato consacrato: "Ma quanto è bruciato, ma quanto è salato...". 

I loro compagni di merenda non parevano avere coscienza che parlavano del corpo di Gesù

Quel giorno di poco tempo fa ho capito meglio i racconti che mi avevano fatto quelle persone. 

Ho capito meglio le profanazioni. Non da parte dei satanisti, ma da parte dei cosiddetti "nostri". 

Quando ti trovi di fronte a del pane che non ha la perfezione di purezza della Sacra Particola, quando sei di fronte a del pane comune, in tutti i sensi, con una crosta o una bruciatura, è difficile ancora di più Credere. 

E fin qui ci potremmo anche essere, nel senso che il problema, per chi veramente ha fede, è superabile. 

Però poi lo prendi in mano, pensi che è il corpo di Gesù anche se è bruciacchiato, e lo mangi. Anzitutto il senso devozionale si attenua, quando non va a farsi friggere malgrado la buona volontà.

Una mia amica, che è al vertice di un Istituto e quindi si presume che stupida non sia, ha partecipato in una paesino del Sud a una Santa Messa dove il prete, molto apprezzato dai suoi parrocchiani per il suo impegno nel sociale, ha consacrato pane casereccio. Davanti a lei un vecchio ha dato alla moglie un pezzo del pane pagnotta che il prete gli aveva consegnato, dicendole: io non ho fame, la vuoi tu? 

Era pane consacrato, era il corpo di Gesù. Ma come è possibile non capire che si perde la coscienza, la sacralità della sostanza fisica che si sta per prendere in bocca? L'Ostia aiuta ad avere la fede, la focaccia aiuta a perderla.

Tra noi, ci può essere il senso devozionale, anche in presenza del pane casereccio consacrato, ci può essere anche in questo Movimento che ne ha fatto uno dei suoi portabandiera: ma non è come prenderlo in bocca, c'è poco da fare. Non è come prenderlo in bocca da un prete. E poi: il pane si sbriciola con le mani, per poterlo mangiare, o si addenta. In entrambi i casi le briciole finiscono da qualche parte. 

Un anziano, accanto a me nella Santa Messa a cui stavo partecipando, teneva in mano il pane consacrato con la destra e lo mangiava. La sinistra era lungo il corpo. L'ho pregato di metterla sotto il pane a mo' di trono, onde evitare che le briciole finissero per terra e poi calpestate. Le briciole, cioè la cosa più sacra in Cielo e sulla terra. Perché in ogni briciola c'è il corpo Santo di Gesù. Meminisse iuvabit. Non è difficile, nella situazione suddetta, che delle briciole cadano. O rimangano in mano. 

Al sacerdote, sull'altare, erano avanzate nella patena delle briciole, che poi ha riversato nel calice. Però quando invece di un pane a forma di disco si consacra una pagnotta di pane casereccio, lo sbriciolamento è consistente, e il pane rimane nella tovaglia, non sulla patena. 

E' malizioso credere che delle briciole cadano per terra, nel lavoro di pulizia? Temo che sia solamente realistico. Provare per credere, se è facile o difficile toglierle tutte. 

E' un trauma, per chi ama Gesù, vederlo trattato in certi modi.


Anche a Gerusalemme la folla lo acclamava, ma il giorno dopo lo ha tradito: occorre vigilare, per non trovarci anche noi nella stessa situazione di quella folla.

Ai suoi Sacerdoti, che avevano un compito particolare nei Suoi intendimenti, portare l'Eucarestia nel mondo, Gesù concede di prendere il Suo corpo in mano. A Giuda, che non lo amava e stava per tradirlo, dà Lui il pane consacrato in bocca. Chi non mi dice che glielo ha offerto Lui in bocca perché temeva che Giuda potesse lasciar cadere delle briciole in terra? Cosa lascia credere che fosse unicamente un segnale, una indicazione per il discepolo che Gesù amava? Poteva ben lasciare cadere delle briciole Giuda, anche inavvertitamente o involontariamente: briciole di pane consacrato, Suo corpo prezioso. Gesù non rischia, glielo mette Lui in bocca.»

(da: Sorella Angela Musolesi -laica francescana collaboratrice di padre Amorth)

lunedì 22 maggio 2023

Tutti Frutti. Wop bop a loo bop a lop bom bom!… ovvero: tutti i “frutti” del Cammino

Il camminante che si firma Eros, nel commento delle 12 e 13 del 16 maggio, scrive:

Servono i frutti per qualificare un albero. Se i frutti sono buoni (evangelizzazione del vangelo e della dottrina cristiana, vocazioni, missionari ecc.) l'albero è buono. Se sono cattivi (sistemi finanziari sessuali e morali) allora l'albero è cattivo”.

Ma discernere i frutti come fa Eros è puro semplicismo, tanto che lui stesso, parlando di “evangelizzazione del vangelo”, intuisce che si potrebbe “evangelizzare” un messaggio diverso da quello del Vangelo, cosa che non si può certo considerare un frutto buono.

"I frutti sono sotto gli occhi di molti. Il fatto sconcertante -cecità? malavoglia? superficialità? orgoglio? peccato contro lo Spirito Santo (Mt 12,32)?- è che spesso si apprezzano i frutti ma non si vuole l'albero che li produce."
Scrive don Pasotti, sconcertato perché le parrocchie non si fanno più parassitare dal Cammino.


San Paolo perciò, più che di “frutti” esteriori, parla del frutto dello Spirito, che produce “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22), che poco si rendono visibili tra i camminanti.

Perciò nemmeno l’elevato numero di consacrazioni sacerdotali che può vantare un movimento è necessariamente riconducibile a un frutto buono: Bella Dodd, che fu dirigente del partito comunista americano e che si convertì grazie a Fulton Sheen, riferisce come lei stessa, per ordine dell’URSS, ha spinto molti giovani comunisti a entrare nei seminari al fine di distruggere la Chiesa dall’interno (cosa che fa capire meglio le parole della Madonna a suor Lucia sugli errori che la Russia avrebbe esportato nel mondo, che sostanzialmente sono il materialismo e l’ateismo, e che oggi sembrano concentrarsi soprattutto in Occidente, arrivando perfino a condividere gli stessi “spazi” della Chiesa).

Ma è vero che, a volte, ci sono ex del Cammino che rimpiangono quelli che considerano dei pregi del Cammino, e cioè lo “scrutare” la Parola di Dio e lo studio” della Bibbia.

Ma in questo caso, come per i protestanti, occorre distinguere tra ciò che è dovuto alla tradizione cattolica e ciò che sono le novità: lo studio della Bibbia, infatti, non l’hanno inventato né il Cammino, né i protestanti, ma risale ai Padri della Chiesa, mentre ciò che è proprio dei protestanti, e del Cammino, è una stravagante interpretazione della Scrittura.

Perciò, se studiare la Scrittura è un frutto buono perché è in continuità con la Tradizione della Chiesa, interpretare la Scrittura in modo stravagante, che è proprio ciò che caratterizza il Cammino come tale, è un frutto velenoso. In tal senso un frutto può essere pure bello, ma è cattivo, e la sua "bellezza" può aumentarne la letalità. 

I frutti del Cammino: banane, zucche e angurie sull'altare-tavolone


Il carisma che la Chiesa riconosce al Cammino è solo quello che si deduce dallo statuto, nulla di più e nulla di meno: tutto il resto viene dal maligno. Perciò lo statuto, che viene dalla Chiesa, è buono, mentre ciò che c'è in più, e che viene solo dal Cammino, è patrocinato dal demonio.

E' un po' come per i protestanti, che possono portare frutti buoni solo grazie a ciò che hanno mantenuto in comune con la Chiesa cattolica (e alla loro buona fede), e non certo per la loro ribellione.

Scrive San Paolo: “Alcuni… predicano Cristo… per invidia e spirito di contesa... con intenzioni non pure, pensando di aggiungere dolore alle mie catene. Ma questo che importa? Purché in ogni maniera, per ipocrisia o per sincerità, Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene” (1Fil 1,16-18): in tal senso, quando capita che le stravaganze interpretative vengono lasciate da parte, anche i camminanti possono portare un certo frutto.

Inoltre, per discernere sul carisma del Cammino, la Chiesa avrebbe dovuto prima discernere sulla veridicità delle presunte apparizioni di Kiko e Carmen che ne stanno all’origine e su cui si basa il principio dell'ubbienza cieca dovuta ai "catechisti".

Ma si può ritenere per certo che il Cammino ha sempre tenuto nascoste alla Chiesa queste presunte apparizioni, che tra i camminanti si tramandano come una saga nordica, per sostituirle, nella storiografia ufficiale e politicamente corretta, con il Concilio Vaticano II.




venerdì 19 maggio 2023

Ansia, disperazione e pensieri suicidi: cosa deve succedere ancora perché i vescovi dicano di no al Cammino neocatecumenale?

Riportiamo un articolo tratto dal blog degli amici statunitensi di "The Neocatechumenal Way in the USA", ringraziandoli, con l'occasione, per l'encomiabile lavoro svolto e per la pubblicazione delle versioni in inglese di alcuni articoli di Osservatorio: all'etichetta American Way sarà  possibile consultare sia gli articoli di Osservatorio nella versione inglese, sia gli articoli del blog statunitense in versione italiana su Osservatorio.


Se si comporta come una setta, parla come una setta.....

Ancora una volta ho incontrato qualcuno che faceva parte del Cammino neocatecumenale e sta sperimentando confusione, disperazione e infine pensieri suicidi. Con il suo consenso, condivido una breve sinossi della sua storia, tralasciando i dettagli per proteggere la sua identità. Anche così facendo, queste vicende all'interno del mondo del Cammino Neocatecumenale sono purtroppo così comuni, da mettere in forse, ai miei occhi, la credibilità di qualsiasi vescovo che affermi di avere una posizione di "non tolleranza" nei confronti degli abusi all'interno della Chiesa. Suppongo che questi vescovi si riferiscano più specificamente agli abusi sessuali: anche se si limitassero a questa fattispecie, mi sento di poter dire che non si sta facendo una seria indagine in proposito.  


"Vengo presto": più che una promessa,
con quel volto, sembra una minaccia!

La giovane donna che ho incontrato mi ha riferito di essere entrata in una comunità neocatecumenale per il semplice fatto che i suoi genitori appartenevano al Cammino, di essere sprofondata sempre più nella disperazione e alla fine, durante il secondo scrutinio, di essere stata ricoverata in ospedale con impulsi suicidi.
I suoi genitori e i catechisti si sono rifiutati di accettare che il suo stato mentale fosse in gran parte dovuto alla visione della vita trasmessale nell'ambito del Cammino Neocatecumenale.

Potrebbe essere facile banalizzare questa breve storia, per esempio dicendo  che aveva già dei problemi mentali, o forse che è lo stato generale dei giovani di oggi. 

La mia esperienza nel Cammino è quella di aver avuto idee suicide mai sperimentate prima, e ho potuto sentire un intero autobus charter pieno di giovani (in tutto 56) diretti alla Giornata Mondiale della Gioventù attestare che anche loro avevano frequenti pensieri di suicidio (tutti giovani del Cammino, molti di loro dalla nascita). 

Sarebbe facile pensare che con i giovani di oggi la depressione sia all'ordine del giorno. Le statistiche post-pandemia mostrano che a febbraio 2023 il suicidio è la seconda causa di morte tra le persone di età compresa tra 15 e 24 anni negli Stati Uniti. Quasi il 20% degli studenti delle scuole superiori riferisce seri pensieri di suicidio e il 9% ha tentato di togliersi la vita, secondo l' Alleanza nazionale sulla malattia mentale . Mentre i tassi di suicidio sono in aumento tra i giovani, i tassi più alti si registrano tra i giovani adulti di età compresa tra 25 e 34 anni. 

Un'altra donna che ho conosciuto si è trovata inavvertitamente a "camminare" senza sapere veramente di essere nel Cammino, perché non le è mai stato detto cosa significasse veramente partecipare alla catechesi.
Lo ha capito dopo aver raggiunto tali abissi di disperazione da iniziare a mettere in discussione la sua fede cattolica, la sua fede in Dio in generale, il suo matrimonio e, in definitiva, lo scopo della sua stessa esistenza. 
Per fortuna, è stata in grado di comprendere in cosa era coinvolta dopo aver visto il logo Neocat e, ricordando ciò che altri le avevano detto sul Cammino Neocatecumenale, è stata in grado di districare il pasticcio contorto che avevano combinato nella sua mente in un breve lasso di tempo.

Il termine "setta" o culto è stato inflazionato e la maggior parte lo associa agli scenari peggiori come i Branch Davidians, i Mormoni Fondamentalisti o il Tempio del Popolo/Jonestown. 
Un Neocat si affretterà a dire che non sono in alcun modo una setta o un culto (a loro non piace nemmeno il termine movimento poiché ciò implicherebbe che sono qualcosa di nuovo all'interno del cattolicesimo e non la Chiesa cattolica "originale" come affermano di essere). 
Il Neocat citerà come prova che sono stati "approvati" da più vescovi e persino dagli ultimi tre papi (puoi leggere di più in proposito qui, qui e qui). The Thoughtful Catholic fa una grande analisi degli aspetti cultuali del Cammino (vedi la pagina principale qui, in particolare sotto il sottotitolo "Setta o culto?"), e potete leggere un articolo del 1997 del cardinale Schönborn (ironia della sorte, lui stesso un grande patrono del Cammino) sulle sette nella Chiesa qui.

A livello relazionale, tuttavia, ecco le mie esperienze e osservazioni utilizzando una lista di controllo adattata sviluppata dal Dott. Michael D. Langone, Ph.D., direttore esecutivo dell'International Cultic Studies Association. 


  • Il tuo gruppo mostra un attaccamento incondizionato nei confronti del suo leader, vivo o morto?

Durante la Giornata Mondiale della Gioventù nel 2016, ad esempio, l'attenzione alla Messa papale del Santo Padre è stata di gran lunga messa in secondo piano rispetto all'incontro al termine del raduno con Kiko Argüello. Dei due eventi della Giornata Mondiale della Gioventù a cui abbiamo effettivamente partecipato con altri giovani di tutto il mondo, siamo arrivati ​​in estremo ritardo siamo rimasti ai margini dell'evento.(Leggi qui per saperne di più sull'umile culto di Kiko). 

Con l'età di Kiko e a causa dei molti passi falsi negli ultimi tempi, tuttavia, le comunità sembrano prendere le distanze da un Kiko ormai senile

Tuttavia, dopo la sua morte, c'è stata una grande spinta per ottenere la canonizzazione di Carmen, che ancora adesso è riconosciuta come "Serva di Dio". (Leggi qui per sapere perché è una prospettiva terribile.)


  • I dubbi e le domande vengono scoraggiati o puniti?  

Assolutamente sì.

Quando ho iniziato il Cammino, prima ancora di sapere di essere nel Cammino, stavo semplicemente partecipando sulla fiducia nel mio pastore, padre Felix Medina , e nell'allora catechista p. Giuseppe Fedele (curiosamente ormai irrintracciabile). 

Tutte le domande che avevamo ci avevano detto avrebbero avuto risposta a suo tempo.  Siamo stati continuamente tenuti all'oscuro, eravamo solo "pecore stupide" e ci è stato detto di seguirli.

Se qualcuno osava insistere per ottenere ulteriori informazioni, veniva sminuito di fronte alla comunità: "il Signore ha una parola per te e tu vuoi tornare dalla babysitter!" “Il Signore vuole avere un incontro con te e tu e per te il tuo lavoro viene prima del Signore!”

Si trattava solo di domande su quando la funzione, già passate le 23, poteva finire, o quanto tempo dovevamo aspettare per conciliare gli impegni di lavoro  con una “convivenza” del fine settimana. Si può immaginare come siano gli scrutini su domande meno banali! 


  • Le tecniche che alterano la mente come la meditazione, il canto, il parlare in lingue e la privazione del sonno o il lavoro eccessivo vengono utilizzate in modo prevalente (e, inconsapevolmente o meno, spesso servono a sopprimere i dubbi sul gruppo e sulla sua leadership)?

Durante i ritiri, le convivenze, gli incontri generali riguardanti la Lettera di Avvento di Kiko, la Lettera di Quaresima, la Giornata Mondiale della Gioventù; le lunghe ore, seduti e ascoltando gli stessi mantra di come siamo merda, ma Dio ci ama nelle nostre ferite, tradimenti, ecc.; fino a notte fonda o nelle prime ore del mattino con i canti del Cammmino intensamente ripetitivi, batter di mani e ritmi con i bonghi che mi fanno rabbrividire quando li sento oggi. 

C'è poco o nessuno spazio per il silenzio all'interno del Cammino; la meditazione tranquilla sarebbe occupata da qualche catechista narcisista che continua a urlare su come siamo semplicemente dei buoni a nulla.


  • La leadership detta come i membri dovrebbero pensare, agire e sentire? Come dovrebbero vestirsi, dove dovrebbero vivere e chi dovrebbero sposare?

Siamo stati fortemente incoraggiati a stare solo con quelli delle comunità. 

Il giudizio è ENORME. A qualsiasi domanda o lamentela si rispondeva con "perché stai giudicando?!" solo per scoprire alla convivenza che eravamo incoraggiati a esprimere le nostre lamentele e, essenzialmente, a giudicare. Ricordo che, quando nessuno aveva davvero qualcosa di brutto da dire, ci dicevano che eravamo finti, che indossavamo le nostre mascherine, era come se i catechisti volessero che ci ferissimo a vicenda. 


  • Il gruppo sente di avere una missione speciale per la salvezza dell'umanità? Vedono il loro leader come un essere speciale, un simbolo? 

 “Sei stato scelto, il Signore ti ha chiamato qui per incontrarlo. Per essere sale e luce”. Se te ne vai... beh, sei Giuda.

  • Il gruppo ha una mentalità "noi contro loro"?

 Quando sei in comunità, fai parte “del club”. Letteralmente, nei ritiri che coinvolgono la parrocchia,  stilavano le liste contrassegnando le persone  “già in comunità”

Ci è stato detto di tenerci le cose per noi perché quelli che non camminavano non avrebbero capito - "quelli" ovviamente erano gli altri cattolici della nostra parrocchia. 

Il favoritismo da parte del parroco Neocat era notevole quando eri "dentro" rispetto a quando eri "fuori". Ho iniziato lentamente a vedere i parrocchiani di lunga data che si offrivano volontari o lavoravano per la parrocchia sostituiti con neocatecumenali che vedevi raramente alla "normale" messa o funzione della chiesa.


  • La leadership induce sentimenti di vergogna o di colpa per influenzare o controllare i membri?  

Spesso questo viene fatto attraverso la pressione dei propri pari e sottili forme di persuasione. 

Le "confessioni pubbliche", fatte faccia a faccia con un prete ma con la musica che suona, o durante uno scrutinio affinché tutti possano ascoltarle - il Cammino insiste per conoscere qualunque vergogna tu abbia. Diranno che è per  aiutarti, per "sbucciare la cipolla", per così dire, ma non c'è assoluzione.  Sarà usato contro di te, se non al servizio del Cammino, per etichettarti come pazzo quando oserai andartene. 


  • Il gruppo richiede ai membri di tagliare i legami con la famiglia e gli amici o di modificare radicalmente gli obiettivi personali e le attività che i membri avevano prima dell'adesione? 

Il Cammino occuperà così tanto del tuo tempo che i rapporti con gli amici e la famiglia al di fuori di essa ne risentiranno . Ho giustificato il tempo dedicato al Cammino pensando che stavo lavorando alla mia crescita spirituale, il tutto trascurando la mia famiglia e i miei amici. Diamine, quei catechisti con famiglie numerose e bambini piccoli, quante volte, quante ore stanno seduti a fare la catechesi, lasciando i bambini piccoli a casa, a volte lontani?


  • Il gruppo è preoccupato di portare nuovi membri e/o fare soldi? 

Le catechesi si rivolgono a una porzione presente ed attiva dei fedeli cattolici . La loro "missione" è quella di convertire i cattolici al Cammino. 

Una volta ho chiesto perché si continua a fare le catechesi nella chiesa, non evangelizzando chi non ha chiesa, mi è stato detto che si entra in comunità su invito, e presto la catechesi avrebbe coinvolto chi è al di fuori della Chiesa... questa era una bugia - la catechesi continua ancora oggi nella mia ex parrocchia rivolta ai cattolici che frequentano regolarmente.  
Il  sacco della spazzatura (perché il denaro è spazzatura e male, ma a quanto pare importante e necessario) passava più volte, senza che chiarissero quanto servisse per coprire le spese o quanto fosse stato fino allora raccolto - mai. Ho chiesto al nostro parroco come queste raccolte potrebbe essere rendicontate e sono stato sgridato: mi è stato detto che le comunità danno più di qualsiasi parrocchiano. "Come mai? Dov'è riportata questa "raccolta" negli Statuti?" Nessuna risposta. 


  • Temi le conseguenze per te stesso o per gli altri se lasci, o addirittura  solo pensi di lasciare, il gruppo?  

Molte persone, come me, sono entrate in Cammino per vivere in modo più profondo il senso di appartenenza alla parrocchia.  Trascorri così tanto tempo insieme a queste altre persone, che alla fine non riesci ad andartene . Quando qualcuno smetteva di presentarsi doveva essere contattato. Sono stato trattato come un lebbroso, mi è stato detto che ero debole e non potevo farcela, e poi  dopo che me ne sono andato e mi è capitato di vederli alle normali funzioni della chiesa hanno distolto lo sguardo come se non mi avessero mai conosciuto.
La Chiesa cattolica che conosco e con cui sono cresciuto incoraggia invece l'apertura e la capacità di porre domande, e mi insegna che la mia famiglia dovrebbe essere trattata come una "piccola Chiesa" e che i miei doveri di genitore sono il compito più importante che Dio mi ha dato. 

Coloro che sono in Cammino sembrano condividere questi sentimenti; tuttavia, se non presenziavo ad una funzione comunitaria come l'Eucaristia per partecipare alla Messa con la mia famiglia, oppure assistevo alla partita di mio figlio invece della Liturgia della Parola con la mia comunità, stavo facendo della mia famiglia il mio idolo, secondo loro. 

 
In conclusione: fino a che punto bisognerà giungere perché i vescovi comincino ad opporsi a tutto questo?

martedì 16 maggio 2023

Le sètte «sorelle»: analisi delle caratteristiche di gruppi settari all'interno della Chiesa cattolica

Nel libro, i nomi non li fa,
ma in copertina sì!
Nel
libro "Le sètte «sorelle»", edizioni Messaggero Padova e Facoltà Teologica del Triveneto, a disposizione nelle librerie per chi volesse acquistarlo sia in formato cartaceo sia elettronico, di cui proporremo brevi estratti e di cui consigliamo senz'altro la lettura integrale, l'autore, don Giorgio Ronzoni (*), presentando alcune caratteristiche problematiche dei nuovi movimenti post Conciliari, cerca di individuare le ragioni in base alle quali accogliere o respingere determinate prassi in uso all’interno delle nuove aggregazioni ecclesiali, ritenendo che un esercizio di vigilanza e di discernimento sia più che mai necessario nell’attuale stagione ecclesiale caratterizzata dalla presenza di una miriade di gruppi e movimenti. 

Non possiamo che concordare, e, leggendo l'ottimamente documentato ed equilibrato lavoro del sacerdote, ritroviamo esposti molti degli elementi critici che anche il nostro blog ha contribuito ad evidenziare nelle prassi e nella struttura del gruppo ecclesiale neocatecumenale: proselitismo, segretezza, elitarismo, autoritarismo, formazione di sacerdoti legati a doppio filo al gruppo, abusi di potere, abusi liturgici, abusi fisici eccetera

Tutto ciò contrasta con la visione ideale coltivata a bella posta nei fans del Cammino neocatecumenale, i quali sono convinti che il successo del proprio movimento sia senz’altro e interamente opera dello Spirito Santo, e quindi indebitamente deducono che tutto ciò che fanno è bene perché pensano di agire per il trionfo della buona causa per eccellenza, cioè il regno di Dio, visto che i frutti della loro azione, le conversioni e le adesioni, sono abbondanti.

Scrive infatti in premessa l'autore:

"Non è facile infatti, anzi è molto spesso arduo stabilire un limite oltre il quale l’evangelizzazione diventa proselitismo, la formazione condizionamento, l’annuncio propaganda.(...)

A posteriori, è stato facile a molti identificare i segni premonitori del penoso fallimento di imprese iniziate con grandi idealità. Segni che però all’inizio erano tutt’altro che chiari e univoci, dato che anche i santi fondatori di grandi ordini religiosi spesso hanno incontrato dubbi, resistenze, o persino aperta ostilità da parte dei contemporanei. Spesso è stata una condotta sessuale riprovevole a permettere di formulare un giudizio definitivo su relazioni che fin dall’inizio erano segnate da profonde ambiguità, oppure uno scandalo finanziario: viene spontaneo chiedersi se si debba necessariamente arrivare a riscontrare peccati sessuali o ruberie per mettere in questione prassi pastorali, comunitarie, vocazionali ed educative.(...)

Non sarà inutile stabilire comunque delle soglie di attenzione e delle convergenze pericolose di più indicatori sommati insieme. Analogamente a quanto avviene per le diagnosi psichiatriche, dove l’esistenza della malattia è indicata dalla presenza contemporanea di un certo numero di sintomi tra tutti quelli possibili, la valutazione pastorale di un’esperienza, di un gruppo o di un movimento potrà fondarsi sulla presenza o assenza di alcuni di questi indicatori, non necessariamente sulla totalità di essi.(Ndr: noi però possiamo assicurare che questi "indicatori" il Cammino Neocatecumenale li ha TUTTI)

Lo scopo è tentare di abbozzare un inventario delle prassi pastorali tendenzialmente criticabili o per lo meno discutibili, indicandone i motivi.
Non si vuole quindi spegnere lo Spirito, ma esaminare tutto e tenere ciò che è buono (cf. 1Ts 5,19-21)."

Di seguito, presentiamo alcuni passi tratti dal libro "Le sette sorelle" riferiti ad un gruppo di questi indicatori, riferiti a prassi più  che discutibili, per ciascuno dei quali dovrebbe scattare il campanello d'allarme: la segretezza, o per meglio dire l'assenza di trasparenza quando non la vera e propria menzogna, che il Cammino  neocatecumenale ha addirittura istituzionalizzato con il nome di "arcano"; l'invasione dell'intimità personale (o foro interno); la mancata trasparenza (nel caso del Cammino il totale arbitrio) nella gestione economica.

Meglio prestare attenzione a certi segnali d'allarme...

Dire o non dire la verità?

Prima metà del XX secolo. Uno scocciatore bussa alla porta della canonica. La domestica del parroco va ad aprire. Lo scocciatore chiede: «C’è il parroco?» La domestica, opportunamente istruita, risponde: «No» e mentalmente soggiunge: «Per te, in questo momento».

Il buon parroco che ha studiato bene i manuali dì morale e che non vuole essere disturbato ma non vuole autorizzare la domestica a mentire, le ha insegnato a praticare la «restrizione mentale», In pratica è una bugia, ma in teoria è una restrizione della verità comunicata a una persona che non ha titolo a conoscerla interamente. Perché mentire è peccato, ma non si è obbligati a dire a tutti tutta la verità, specialmente se l’interlocutore non ha diritto a conoscerla.


Ai tempi di Pascal, ì gesuiti erano maestri in questo genere di stratagemmi, tanto che il termine «gesuita» un po’ alla volta era venuto a significare persona falsa e ipocrita. Questo significato, con il tempo, è stato ormai dimenticato, segno che i gesuiti hanno abbandonato questi trucchi.
È possibile, però, che altri abbiano raccolto il testimone della restrizione mentale.

1. La reticenza

Oltre alla menzogna, infatti, esiste quella distorsione della verità più sfumata che è la reticenza: si possono tacere, magarì per un periodo più o meno breve, delle informazioni rilevanti come ad esempio la paternità di una îniziativa o l’appartenenza di singoli o gruppi a un determinato movimento ecclesiale. Come si è visto in precedenza, una modalità di reclutamento di nuovi adepti da parte di alcune sette è chiedere a qualcuno di compilare un questionario o di partecipare a una conferenza, senza dichiarare le loro vere intenzioni, In un secondo tempo si propone di partecipare ad attività più coinvolgenti e soltanto quando le persone sono state stabilmente «agganciate» si comincia a presentare la setta e si propone di farne parte.

L'eventuale uso di procedure simili da parte di gruppi o movimenti cattolici dovrebbe suscitare forti perplessità; perché nascondere la propria identità sotto sigle anonime?

Manifesti delle catechesi iniziali: non dicono che sono neocatecumenali!

 

È giusto dichiarare di voler offrire gratuitamente servizi a determinate categorie di persone, quando in realtà si stanno cercando nuovi affiliati? È vero che i pregiudizi potrebbero tenere alcune persone lontane da esperienze che permetterebbero loro di capire meglio con chi hanno a che fare e di dissolvere le loro precomprensioni sfavorevoli, Ma cercare di aggirare la loro diffidenza con la reticenza sulla propria identità rischia di generare altri
pregiudizi ancora più sfavorevoli.

Perciò le attività e gli eventi organizzati da un’associazione o un movimento per avvicinare - ed eventualmente per reclutare - nuove persone non dovrebbero mai dissimulare l'identità dell’ente organizzatore con nomi o sigle che nulla hanno a che fare con l’associazione o il movimento.

Il giudizio si fa ovviamente più sicuro quando la reticenza riguarda obblighi e doveri, anche di tipo economico, di cui i neofiti vengono a conoscenza soltanto dopo che hanno assunto un qualche impegno all’interno dell’organizzazione che li ha accolti.
Infatti, l'aspetto economico, insieme ai comportamenti sessuali, è quello che con maggiore certezza contribuisce a formulare il giudizio conclusivo su persone e gruppi che hanno agito male in ambito ecclesiale. A questo aspetto economico sarà dedicato il terzo paragrafo di questo capitolo, mentre su quello sessuale ben poco resta da dire: il verificarsì di condotte peccaminose o scandalose richiede un intervento dell’autorità ecclesiastica per far cessare gli abusi, ma proprio il desiderio di «impedire gli scandali», cioè di occultare ì peccati di ecclesiastici e religiosi, ha causato i più grandi scandali in cui sono state coinvolte intere chiese nazionali.

Perciò, nascondere la verità del tutto o in parte è sempre un segnale preoccupante. Quasi ovunque è comunemente accettato l'assioma che «non si può sempre dire tutto». Come motivazione si adduce di volta in volta la delicatezza verso le persone che hanno diritto alla loro riservatezza oppure la necessità di discrezione per portare a termine determinate operazioni senza interferenze da parti ostili alla causa. A volte, però, le motivazioni sono molto meno nobili e la reticenza , può coprire verità scomode, comportamenti illeciti o comunque difficilmente giustificabili.

Nelle Regole di vita cristiana che chiudono gli Esercizi spirituali di sant'Ignazio di Loyola ce n’è una che dice: Il demonio si comporta come un frivolo corteggiatore che vuole rimanere nascosto e non essere scoperto. Infatti un uomo frivolo, che con discorsi maliziosi circuisce la figlia di un buon padre o la moglie di un buon marito, vuole che le sue parole e le sue lusinghe rimangano nascoste; è invece molto contrariato quando la figlia rivela le sue parole licenziose e il suo disegno perverso al padre, o la moglie al marito, perché capisce facilmente che non potrà riuscire nell'impresa iniziata. Allo stesso modo, quando il nemico della natura umana presenta a una persona retta le sue astuzie e le sue lusinghe, vuole e desidera che queste siano accolte e mantenute segrete; ma quando essa le manifesta a un buon confessore o ad altra persona spirituale che conosca gli inganni e le malizie del demonio, questi ne é molto indispettito; infatti capisce che non potrà riuscire nella malizia iniziata, dato che i suoi evidenti inganni sono stati scoperti.

Sant'Ignazio si ispira alla propria esperienza di vita: il silenzio e il segreto da parte di una persona onesta possono coprire le intenzioni disoneste di qualcun altro. Il demonio è il più grande menzognero ma non l'unico: membri e leader di gruppi, movimenti e comunità possono mentire come qualsiasi altra persona perché lo ritengono opportuno o addirittura necessario, ma si tratta pur sempre di un giudizio soggettivo.

Soprattutto quando si chiede o si ordina ad altri di mentire o di tacere, proprio allora devono nascere delle domande urgenti: perché questo ordine o questa richiesta? Chi o che cosa si cerca di coprire? Quali sarebbero le conseguenze se la verità fosse di pubblico dominio?

L'esperienza dimostra che prima dello scoppio di scandali sessuali o finanziari, spesso le verità scomode erano state taciute per molto tempo da coloro che le conoscevano. Il segreto e le bugie, anziché proteggere dallo scandalo, avevano permesso il proliferare del male e, alla fine, hanno scandalizzato in misura maggiore.

 



2. Il diritto a proteggere l’intimità personale

L'annotazione di sant’Ignazio, però, apre la strada anche a un’altra riflessione. Nella formazione, soprattutto dei novizi religiosi e dei seminaristi, ma anche di altri soggetti, da sempre sono incoraggiate l'apertura e la confidenza nei confronti dei formatori. La fiducia nel padre spirituale o nel maestro dei novizi permette a chi è in formazione di aprire il proprio animo e di essere aiutata a vincere le tentazioni, come pure ad assimilare lo «spirito», il carisma del gruppo di cui si vuole entrare a far parte.

Ma fino a che punto una persona è tenuta a rivelare il proprio intimo a un’altra persona?

Se è vero che i «padri del deserto» - i primi monaci cristiani nel deserto egiziano - incoraggiavano i novizi ad aprire il loro animo con piena confidenza al discernimento degli «anziani» senza tener nascosto loro nulla, è anche vero che ciò avveniva senza il sostegno di norme o regolamenti che esercitassero una pressione sui novizi: essi andavano a interrogare gli anziani - e non viceversa - se e quando lo desideravano.

Come allora, anche oggi la direzione - o accompagnamento, o guida spirituale - è necessaria ai giovani che si avviano a scelte impegnative come il sacerdozio o la consacrazione per mezzo dei voti. L’accompagnatore o l’accompagnatrice potrà quindi essere certamente un educatore proposto dall’istituzione di cui il giovane desidera far parte, ma dovrà comprendere il proprio ministero al servizio della persona che accompagna e non solo dell'istituzione alla quale consegnare un nuovo membro docile e ben preparato. Perché il rapporto di direzione spirituale possa dare buoni frutti, è necessario che chi è accompagnato abbia piena fiducia che il suo accompagnatore voglia solo il suo bene, disinteressatamente. Solo a partire da questa convinzione il giovane potrà aprire pienamente il suo animo ell'educatore, sicuro che ciò che ha confidato non potrà mai essere strumentalizzato a suo danno.

Le patologie di cui può ammalarsi il rapporto di direzione spintuale sono molteplici e richiederebbero una trattazione a parte, molto lunga. Qui si vuole soltanto sottolineare la convenienza di quanto sancisce il canone 220 del Codice di diritto canonico, quando afferma che «non è lecito ad alcuno [...] violare il diritto di ogni persona a difendere la propria intimità».

Sono perciò da considerare negativamente le pretese da parte di un leader di conoscere tendenzialmente «tutto» dei suoi sottoposti attraverso varie modalità: dai colloqui personali alla lettura del «diario spirituale» o di una relazione scritta periodica concernente il proprio vissuto (pratica chiamata anche con il nome di «comunione di anima»). È da considerare alla stessa stregua anche la pratica di colloqui inquisitivi (o «scrutini») in cui la persona sia obbligata mettere a nudo ogni particolare della propria vita davanti al gruppo: ognuno deve essere libero di difendere le propria intimità.

Per quanto riguarda il sacramento della riconciliazione, invece, la completezza della confessione, almeno per quento riguarda i peccati mortali secondo il loro numero e la loro specie, è necessaria per la valida celebrazione del sacramento. Il confessore, però, è tenuto a mantenere un segreto assoluto su quanto ha ascoltato, mentre il penitente è libero di scegliere il proprio confessore.

Perciò l'imposizione da parte del gruppo o della comunità di un ben preciso confessore o di un gruppo di confessori all’interno del quale scegliere il proprio è da ritenere una forzatura molto pericolosa e una violazione della libertà individuale. Infatti, anche senza dubitare che il segreto del confessionale possa essere infranto, è possibile che il gruppo voglia orientare la scelta del confessore facendola cadere su una persona che condivida pienamente l'ideologia del gruppo stesso e che quindi possa suggenre al penitente riflessioni e comportamenti approvati dal gruppo. Si inserirebbero in questo modo nella celebrazione del sacramento dei fini eterogenei al sacramento stesso.

Parlando di confessione, infine, si deve anche accennare alla «confessione pubblica» che è una delle pratiche in uso nelle sette per raggiungere la piena sottomissione degli adepti e cementare lo spirito di gruppo.

Nei conventi e nei monasteri, un tempo esisteva effettivamente il «capitolo delle colpe»: si trattava di un'usanza secondo la quale ogni religioso si accusava davanti alla comunità riunita in capitolo o davanti a una parte di essa (novizi, professi anziani, ecc.) di mancanze contro la regola, come ad esempio aver rotto il silenzio o essere arrivato in ritardo in coro. Il superiore o l’abate comminavano la pena che in genere era lieve, come ad esempio recitare una preghiera, dato che le colpe più gravi e segrete non venivano manifestate in capitolo, ma nel confessionale.

Proprio perché le colpe vere e proprie erano riservate all'ascolto del confessore, il capitolo delle colpe molto spesso si svuotava di significato e venivano manifestate in esso soltanto mancanze molto lievi o dovute a disattenzione. Sono pochi, quindi, se pure esistono, i monasteri o i conventi dove ancora si pratica regolarmente questa usanza,

Indurre i membri di una comunità o di un gruppo a confessare pubblicamente le proprie colpe o accusarsi davanti a tutti è da considerare una prassi deprecabile perché lede il diritto della persona a salvaguardare la propria intimità (cf. can. 220 dei Codice di diritto canonico), soprattutto se tale prassi è riproposta con una certa frequenza e se la confessione pubblica riguarda anche aspetti di vita che solo l'interessato conosce. 



3. La gestione dei beni economici

Trattando il tema della verità, non si può omettere di parlare di denaro, giacché non si comprende - o forse si comprende anche troppo bene - perché una comunità che vuole essere particolarmente impegnata e fervorosa chieda ai suoi membri di confessare tutto, diventando «trasparenti» agli occhi gli uni degli altri, mentre magari non pratica la trasparenza in materia di bilanci economici. Quello della correttezza e trasparenza in materia finanziaria, dallo IOR in giù, è un problema che si pone a tutti i livelli della vita ecclesiale: diocesi, vescovi, istituti religiosi, parroci... Tutti gestiscono cifre più o meno importanti e dovrebbero renderne conto perché non si tratta di soldi personali, ma di beni che appartengono a vario titolo a comunità più o meno grandi. Molto spesso
invece, a tutti questi livelli, la situazione patrimoniale e i bilanci non vengono pubblicati o lo sono in maniera così sommaria de rendere impossibile una vera comprensione del modo in cui i beni e i soldi sono stati amministrati. 

«Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta».
Ed egli divise tra loro le sue sostanze.
(Luca 15,11)

Nuovi movimenti, comunità e istituti religiosi purtroppo fanno eccezione molto raramente: magari i loro membri si impegnano in modo encomiabile - come singoli e famiglie “a vivere la povertà evangelica; in alcuni casi versano del tutto o in parte (la «decima») i loro guadagni a una cassa comune, oppure destinano ai poveri - non chiamandolo elemosina, ma «restituzione» - tutto il denaro che non spendono per vivere in modo assai austero. È però molto difficile trovare gruppi, movimenti o comunità che facciano certificare i propri bilanci o che almeno li pubblichino in modo dettagliato.

Certamente, c'è differenza tra una piccola comunità religiosa che vive di lavoretti artigianali venduti visitatori e di qualche offerta, e un ordine religioso internazionale o un movimento che possiede molti beni immobili e promuove anche attività commerciali e operazioni finanziarie: nel primo caso si può dare quasi per
scontato (ma le sorprese non sono mancate!) che il bilancio comprenda poche entrate e uscite legate alla sussistenza o poco più; nel secondo caso la situazione patrimoniale e finanziaria può essere talmente complessa da sfuggire a qualsiasi verifica ordinata dall'autorità ecclesiastica o dalla magistratura.

Sembra però abbastanza chiaro - tranne che ai diretti interessati - che sono ormai trascorsi i tempi in cui l'appartenenza a un istituto religioso o alla gerarchia ecclesiastica era garanzia sufficiente per sapere che eventuali offerte sarebbero state usate a fin di bene. L'opinione pubblica è oggi scandalizzata non soltanto dalle malversazioni di singoli, ma anche dall’intreccio tra religione e finanza, dalle comuni e sospette appartenenze di imprenditori, politici e banchieri a un’unica «famiglia» religiosa.

Nelle barzellette antiebraiche di un tempo erano le sinagoghe i luoghi in cui si combinavano lucrosi affari: il sospetto che oggi tali affari vengano conclusi in qualche chiesa o cappella non fa ridere nessuno, ma getta discredito sulla Chiesa perché si teme che imprenditori o finanzieri cattolici possano fare lobby e godere di illeciti appoggi. Per dissolvere tale sospetto le strade possibili sono solo due: un deciso cambio di direzione nel caso che i sospetti siano veri, oppure una maggiore trasparenza nel caso che i sospetti siano infondati. L'attuale situazione di frequente opacità nei bilanci di soggetti ecclesiali vecchi e nuovi favorisce qualsiasi tipo di illazione ed è di grave ostacolo alla credibilità della Chiesa e quindi all'annuncio del Vangelo.

Il difficile rapporto con le ricchezze di questo mondo non si gioca soltanto sul piano dell’austerità personale di vita: i cristiani che operano nel mercato e nel mondo della finanza sono tentati — come tutti! - di accettare come ineluttabili e adottare gli usi invalsi in tali ambienti, che non a caso vengono spesso chiamati «leggi».

Persone estremamente corrette e caritatevoli sul piano personale potrebbero adottare criteri decisamente mondani - o, per meglio dire, disonesti - quando si tratta di agire per conto della propria organizzazione. Corruzione, concussione, evasione ed elusione fiscale... Tutto può sembrare, se non lecito, almeno inevitabile quando si opera in un'organizzazione commerciale al servizio del regno di Dio, non accorgendosi che in tal modo si sta favorendo l'avvento di ben altro regno.

Quando ci si interroga sull'effettiva bontà ed «evangelicità» di un gruppo o di un movimento o di una comunità religiosa, non si dovrebbe considerare solo l’austerità di vita dei suoi membri, ma ci si dovrebbe chiedere anche quanti soldi guadagna o riceve, quale sia la loro provenienza e come vengono impiegati. La maggiore o minore facilità nel rispondere a queste domande è già un indice significativo: chi non può o non vuole praticare la trasparenza può essere sospettato di usare i soldi in modo non onesto.

Perfino l’elemosina - cioè l’atto più disinteressato che si possa realizzare con il denaro - può non essere priva di secondi fini. Nella primitiva comunità cristiana di Gerusalemme, «quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno» (At 4,3435). Oggi qualcuno può «deporre ai piedi» di vescovi e parroci doni cospicui nella speranza di ottenere favori o per lo meno di crescere nella loro considerazione.

Se una nuova comunità religiosa che voglia trovare spazio in una diocesi o in una parrocchia, o un movimento che desideri ottenere un riconoscimento da parte dei pastori della Chiesa locale dona loro molto denaro magari per opere di carità - anziché provvedere direttamente a esse - si può sospettare riguardo alle sue reali intenzioni.

Perché vale anche oggi ciò che scrisse il Siracide: «Regali e doni accecano gli occhi dei saggi, come bavaglio sulla bocca soffocano i rimproveri» (Sir 20,29).

Inoltre sarebbe importante capire - anche se spesso è tutt'altro che facile - da dove provengono i soldi che vengono donati o impiegati per le «opere» del movimento o della comunità: la cronaca purtroppo ha registrato casi in cui anche imprenditori, finanzieri e politici dichiaratamente cattolici sono stati indagati e condannati per vari reati di natura economica, finanziaria e fiscale.

Ma anche quando i soldi del gruppo provengono dalla libera contribuzione dei propri membri, è necessario appurare se l'offerta sia stata effettivamente spontanea o se invece le persone siano state oggetto di pressioni di vario genere da parte del gruppo o dei suoi leader.

Particolarmente ripugnante è la richiesta rivolta ai membri di farsi anticipare l'eredità familiare (prima della morte dei genitori o dei parenti) per devolveria al gruppo.

La povertà e il distacco affettivo ed effettivo dal denaro e dei beni di questo mondo sono grandi valori evangelici non riservati esclusivamente ai religiosi, ma non tutte le richieste di spogliarsi di questi beni sono sicuramente motivate dal desiderio di far crescere nelle persone la libertà dall'idolatria del denaro. Può accadere che il bisogno di soldi per determinati scopi spinga alcuni gruppi e i loro leader a forzare la contribuzione dei membri.

Tale forza di obbligazione può essere notevole nel caso in cui l’attività lavorativa dei membri si svolga all’interno di imprese afferenti al proprio gruppo o un movimento o associazione.

I motivi più vari possono spingere i membri dì uno stesso gruppo religioso a condividere un'attività lavorativa: dalla pura e semplice necessità di fare reddito - come nel caso di uns comunità religiosa che deve mantenersi in qualche modo - alla volontà di aiutare persone disagiate; dalla promozione di contenuti culturali all'erogazione di servizi di vano genere.

Ma avere come datori, colleghi e partner di lavoro i propri «fratelli e sorelle» può comportare diversi rischi, soprattutto quello di fare lobby, cioè di stringere alleanze al limite della legalità per favorire i propri alleati e addirittura penalizzare coloro che - all'esterno o perfino all'interno del gruppo - non fanno parte della «rete» o non ne accettano le linee direttive.

All'interno di imprese formate da persone dello stesso gruppo o movimento è quindi importante verificare non solo il rispetto di tutte le leggi e della deontologia professionale - che potrebbero essere violate come in ogni altra impresa - ma anche la capacità di collaborare con persone non appartenenti al gruppo o movimento.


 

4. Una doppia morale?

Da quanto si è detto finora, può nascere la domanda se anche nei movimenti e delle comunità cattoliche, non meno che nelle sette, si possa instaurare una sorta di «doppia morale»; i rapporti tra i membri, all'interno, sarebbero improntati a valori di trasparenza, dedizione reciproca, altruismo... mentre i rapporti all’esterno sarebbero governati da standard morali molto differenti.

Coerentemente con la sua impostazione, Singer accusa le sette - a differenza delle religioni - di avere un doppio standard morale:
i membri vengono spronati ad essere onesti all'interno del gruppo, e a confessare tutto al leader, contemporaneamente vengono incoraggiati a imbrogliare e manipolare i non membri. Le religioni istituzionali e morali, al contrario, insegnano ad essere onesti e sinceri con tutti, e a rifarsi ad un solo standard morale. Nelle sette la filosofia più importante è che il fine giustifica i mezzi, un punto di vista che permette alla setta di istituire il suo particolare tipo di moralità, al di fuori dei normali obblighi sociali.

Questo giudizio appare però eccessivamente semplificato. L'analisi di Maniscalco è più articolata e sembra più rispettosa della realtà: riconosce che la setta è «una unione  prevalentemente basata su affinità elettive ed inserita in un più ampio contesto con il quale deve sempre misurarsi ed è spesso in contrasto», Per questo i singoli non hanno in essa alcuna autonomia rispetto ai comportamenti prescritti una volta accettati e interiorizzati i valori della collettività se ne considerano parte intercambiabile e sono sempre pronti a sacrificarsi per il gruppo.

Si riconoscono quindi un'articolazione e una contrapposizione interno-esterno, dove il comportamento interno è caratterizzato dalla lealtà e dalla disponibilità al sacrificio, tuttavia definire  morale settaria solamente e unicamente nei termini di una morale della dedizione e del sacrificio significa considerare un solo aspetto delle sua molteplici valenze: al contrario è possibile osservarne ulteriori altri tratti significativi. 

Così, per esempio, la tipica esasperazione della separatezza e il profondo senso della distanza che ne deriva [...] fanno sì che il gruppo tenda a formulare sistemi ideologici, normativi e culturali «puri», cioè concepiti ed elaborati in assenza di mediazioni provenienti dall'esterno. Le reazioni tendono allora a concatenarsi senza alcun meccanismo di mediazione e di moderazione; razionalità e ragionevolezza vengono meno con esiti che distorcono pesantemente la sensibilita empirica e morale dei membri”. 

Per quanto riguarda la gerarchia dei valori, essa tende a porre un’enfasi eccessivamente selettiva solo su alcuni elementi a discapito di altri: i singoli per esempio sono portati (anche per far fronte al più volte sottolineato inevitabile senso di sacrificio e di rinuncia che l'entrata in unioni così esigenti determina) a spingere all'eccesso il processo di idealizzazione e di sacralizzazione del gruppo (talvolta rappresentato dalla figura del capo) ed a formulare una stima eccessiva delle relative potenzialità. Emerge così una sorta di «egoismo di gruppo» che, alimentando una serie di comportamenti ad esso coerenti, tende ulteriormente ad irrigidire la struttura della configurazione setteria. Quest'ultima non può essere mutata, né può scendere a compromessi con il mondo esterno; al contrario i processi interni tendono ad intensificarsi lungo tutte le direzioni già esaminate: l'egoismo di gruppo mira a ripetere l’esistente, con sempre maggiore incisività e fanatismo fino alle estreme conseguenze.

Non si tratta quindi - come sembra suggerire Singer - di una sorta di associazione a delinquere che però osserva un rigido codice di comportamento al proprio interno: rispetto a un’organizzazione criminale, i membri di una setta hanno un diverso rapporto con gli «esterni» perché la loro associazione non nasce necessariamente con l’intento di ricavare profitto ai danni degli altri membri della società, anche se non è escluso che ciò possa accadere. È possibile infatti che i membri di una setta possano compiere azioni immorali e delinquenziali rispondenti a logiche interne di un gruppo che non vuole rendere conto di sé alla società «esterna».

Per quanto riguarda gruppi, comunità e movimenti in ambito cattolico, si dovrà porre attenzione a quei comportamenti devianti - anche solo di lieve entità - tollerati o addirittura incoraggiati dall'autorità con varie motivazioni.

Come si è detto in precedenza, si deve fare attenzione ai normali aspetti della vita morale cristiana: la veracità nella comunicazione, l'uso del denaro, la sessualità, il rispetto delle leggi, ecc.

 

Il 5° vangelo: quello secondo Kiko?

(*) Don Giorgio RONZONI è parroco di Santa Sofia in Padova e insegna teologia pastorale alla Facoltà Teologica del Triveneto. Con le Edizioni Messaggero Padova ha pubblicato: Una pietra scartata (2014); Via crucis secondo Marco (2015); Il dono perfetto (2017); La storia di Marco e Barnaba (2019); Il Padre Nostro è tradotto bene? (2019); «Prendi e leggi», anzi: no! (2020); I miei occhi hanno visto la salvezza (2021); Testimoni del Natale (2021). Per la collana Sophia in coedizione con la Facoltà Teologica del Triveneto ha curato una ricerca sul burnout tra i presbiteri, Ardere, non bruciarsi (2011) e scritto Le sètte «sorelle». Modalità settarie di appartenenza a gruppi, comunità e movimenti ecclesiali? (2016), tradotto anche in francese; l'ultimo libro pubblicato è "L'abuso spirituale" (2023).