Riportiamo una testimonianza reperita in un gruppo di Facebook.
La vicenda raccontata, non più triste e deprecabile di altre storie di abusi perpetrati nell'ambito dei luoghi cosiddetti 'sicuri' frequentati dai ragazzi (scuola, gruppi sportivi, parrocchia, famiglia), è per noi interessante in quanto conferma come, all'interno delle comunità neocatecumenali, non solo non sembra siano attivabili meccanismi di protezione e di tutela nei confronti di giovani e minorenni, soprattutto quando sono coinvolti, come in questo caso, "catechisti" neocatecumenali di un certo livello, ma anzi, la vittima viene lasciata sola, isolata, colpevolizzata anche da chi, in questo caso i responsabili della comunità neocatecumenale e i sacerdoti, dovrebbero aiutarla e allontanare il 'lupo' dal gregge...
Sono "nata in comunità" (così come usano definirsi nel gergo catecumeno i ragazzi nati da genitori frequentanti il cammino da prima della loro nascita).
A 13 anni entrai in cammino come mi era stato imposto dai responsabili della prima comunità.
Ad un certo punto della mia adolescenza, avevo 17 anni, a causa di un piccolo problema - ai miei occhi enorme ma in realtà, col senno di poi, di normale routine per una ragazza - il responsabile della mia comunità decidette di farmi confidare con il catechista di regione.
Un grandissimo onore, per come era impostata la vita comunitaria, parlare con il catechista significava essere una piccola eletta.
Comunque, al di là di ciò, iniziò a chiamarmi insistentemente. Non capivo, ero confusa, ma non maliziosa. In fondo si trattava del catechista, quasi un Dio (QUASI, PERCHÉ IL VERO DIO PORTAVA IL NOME DI KIKO ARGÜELLO).
In fondo, pensavo a questo catechista apparentemente carismatico, sposato con un numero elevato di figli, cosa mai potevano significare quelle telefonate insistenti se non un aiuto, un sostegno?
Passa un mese e mezzo, forse due, non ricordo bene... per l'ennesima volta mi squilla il telefono, un po' esaltata e un po' stressata risposi alla chiamata; era lui, voleva lo raggiungessi alla rotatoria, quella sera aveva un incontro in chiesa con la prima comunità.
Mi fidai. Mi diressi a quel maledetto incontro.
Mi fece salire in macchina, ancora pensavo, sotterrata dalla mia ingenuità catecumena, di possedere una specie di onore e che, nonostante quello strano e improvviso incontro, volesse ancora darmi un sostegno. Le prime avvisaglie che il mio corpo e la mia psiche mi diedero fu un insieme di brividi e confusione che mi percorsero, quando mi strinse le mani. Erano gelate, ricordo alla perfezione quel gelo che emanavano le mie mani poggiate con disagio sulle mie stesse gambe.
"Hai le mani gelate" mi disse. Lo guardai di traverso, penso di aver capito solo in quel momento che qualcosa non quadrava, che gli schemi stabiliti erano saltati.
Il disagio mi assillava ma nonostante tutto ancora una piccola fiammella di incauta speranza mi animava.
Mi stringeva la mano. Percorse una stradina sterrata, dietro di noi si imponeva freddo e solitario il carcere. Spense la macchina. Mi guardai intorno... solo vegetazione e nulla più. Non un' anima viva .....qui risulta un po' difficile continuare, il cuore mi batte all'impazzata.
Allora... Mi girai e notai i suoi pantaloni abbassati alle caviglie. Doveva averlo fatto in un nano secondo, non mi ero accorta di nulla, o forse dipendeva dal fatto che la mia percezione del tempo era svanita. Si, perché non riesco a quantificare quel maledetto tempo passato in quell'autovettura. Con la sua forte mano mi abbassò la testa (Non farmi raccontare i particolari perché provo un grandissimo disagio) provavo schifo e impotenza. Cercava di baciarmi, non so come ma con la forza ci riuscì, cercò di toccarmi... mi abbassò di nuovo la testa e lì si concluse il mio incubo... almeno così credevo.
Non parlavo, mi riportava a casa. Mi diceva che il Signore si serviva di mezzi ai nostri occhi subdoli per poi arrivare ad essere felici; diceva che avrebbe fatto avverare qualsiasi mio desiderio e che qualsiasi cosa usciva dalla sua bocca e qualsiasi azione lui perpetrava era ispirata da Dio.
Si, in effetti questo mi era stato insegnato nel cammino.
I catechisti erano esseri superiori... ispirati da Dio e Kiko.
Purtroppo però il mio incubo si sarebbe ulteriormente incupito.
Raccontai l'accaduto al mio responsabile, mi guardava in strano modo, guardava fuori dalla finestra finché, con mio estremo stupore, fiorì sulla sua bocca un flebile sorriso.
"Guarda" mi disse "secondo me Marco [nome di fantasia]" ha agito in questo modo perché un fine per la tua anima c'è. Un fine di salvezza".
Onestamente questo fine di salvezza non l'ho mai capito, nonostante l'avessi sentito 1000 volte nel corso delle eucarestie e convivenze in quell'evento non mi tornava granché.
Comunque mi sentivo male e quasi in colpa, in colpa per i miei sentimenti di tristezza e angoscia verso un evento che a detta di Marco era un progetto di Dio per la mia vita.
Cercai di distrarmi, di pensare ad altro...
Avevo ormai compiuto 18 anni; erano passati forse due o tre mesi da quell'evento ma le telefonate non cessavano così come non cessava il mio sentimento di sottomissione che mi portava a rispondere... sempre e comunque.
La comunità del nostro paese e altre comunità di altre parrocchie organizzarono una convivenza a […..] vari pullman erano colmi di catecumeni, per lo più giovani, pronti ad affrontare questa esperienza. Ogni pullman avrebbe avuto un capogruppo. Scoprii che il nostro capogruppo era proprio Marco... Alloggiavamo in un hotel, cercavo di non pensare al mio imbarazzo e al mio disagio; alla mia angoscia e alla mia tristezza.
Cercavo di essere la ragazza di sempre che si fotografava qua e là con i suoi amici... cercavo di afferrare quel poco di normalità che mi era stata strappata via finché quella sera, mentre noi tutti ragazzi ci eravamo riuniti in un'unica stanza per parlottare e stare in compagnia il mio telefono squilla.
Mi sentii quasi mancare a leggere il suo nome.
Ebbi come un nefasto presentimento. Rispondo dirigendomi in bagno (mi era stato proibito dal supremo catechista di fare intendere ad alcuni che ci sentivamo, a detta sua Dio agisce nel silenzio non nel caos).
Mi chiese di dirigermi nella sua stanza. Di farlo perché era giusto così e… moralmente in quel contesto gli credetti.
Salutai i miei amici e uscìi da quella stanza così sicura per me, per poi inoltrarmi nei freddi e isolati corridoi dell'hotel. Scesi le scale, quasi speravo volesse solo parlarmi, dirmi qualcosa di concreto e rassicurante... non era così.
Col senno di poi non era poi così normale dirigermi a notte fonda verso la stanza di un uomo… si, oggi è un uomo, anzi no! Una bestia infame! Allora, invece, era il mio
catechista ispirato da Dio.
Lo trovai ad aspettarmi fuori, si comportava come se stesse controllando i corridoi come un responsabile e adulto catechista che controlla i suoi ragazzi. Maschera meschina che ha sempre indossato. Mi fece entrare nella sua camera... […]
Non so neanche gestire la mia testimonianza per colpa del male impostomi da una persona che diceva di essere ispirato da Dio. Per colpa di una mxxxx! Mi fu imposto un rapporto, fui violentata... non ricordo come mai mi ritrovai a terra, sono caduta? Cercai di fuggire?
Non ricordo il momento esatto in cui ho preso quella botta che mi lasciò un livido nero e grande per almeno 20 giorni.
Non ricordo tante cose ma, purtroppo, ne ricordo tante altre.
Ricordo che finalmente mi ribellai, ma lui era più forte di me, ricordo che lo maledissi e che Dio non era questo! Che Dio non era sporcizia e che Dio non ispirava di certo una bestia a fare atti deplorevoli. Finalmente aprii occhi e mente, ma era troppo tardi. Ero in una situazione di sottomissione fisica che purtroppo non mi permise di salvarmi. Al solo pensiero di quel momento così doloroso, sia fisicamente che mentalmente, provo dispiacere per me e per l'aiuto da me richiesto al mio responsabile e non concesso. Marco era nervoso, io ero triste e malconcia.
Non avevo il coraggio di parlarne con nessuno.
Mi confessai ad […] ed il prete mi diede un Rosario invitandomi a recitarlo. Bhe, mi aspettavano altri dolori morali da parte dei kikiani.
Non lasciai il cammino ma ancora frastornata e triste partecipavo...
La notizia che qualcosa di particolare era successo con Marco e che io centrassi si diffuse, peccato che pur di difendere il cammino e il proprio amato catechista li portasse a non parlarmi. Si, perché successe un qualcosa di estremamente sconvolgente per loro.
Kiko in persona diede l'ordine al catechista e la sua famiglia di lasciare la nostra regione e trasferirsi nella loro città di origine.
Per la mia comunità fu uno shock e a qualcuno dovevano pur addossare la colpa, cioè a me (anche se il buon senso avrebbe dovuto indurli a riflettere sul fatto che Marco avrebbe potuto aver fatto qualcosa di grave per esser stato allontanato con tanta urgenza. Non erano neanche passati 15 gg da quel tragico evento).
Una sera vi fu un incontro con un prete di rilievo nella Regione, che fra tanti spesso e volentieri accompagnava anche Marco e famiglia alle convivenze. Partecipava anche il nostro prete estremamente catecumeno. Ognuno a turno parlava delle proprie esperienze o problemi che affrontavano in comunità.
Arrivò il mio turno, espressi il mio disagio riguardo al fatto che nessuno mi rivolgeva più la parola, che mi sentivo estraniata da un mondo al quale facevo parte sin dalla mia nascita e che "fratelli" che mi sono stati "amici" o che mi hanno vista crescere mi avevano abbandonata. Oggi direi che si trattava di vero e proprio bullismo.
Mi sentii rispondere da questo prete eletto e saccente che era colpa mia, che se le cose accadono è perché io non avevo saputo gestire situazioni ed eventi e quindi tutto ciò accadde perché io ne avevo colpa.
Mi arrabbiai intensamente, piansi come una bambina, stavo per dire ciò che realmente era accaduto. Il prete se ne accorse e improvvisamente mi bloccò e alzandosi e benedicendo mi stoppò categoricamente. Non una parola di sostegno, non un abbraccio... solo, dopo tutto ciò che avevo passato, indifferenza.
Finì il tutto e la nuova responsabile mi accompagnò dal prete della nostra parrocchia che in un batter d'occhio si era rifugiato nel suo studio. Stavo troppo male.
Entrai e iniziai a parlare con lui.
La responsabile con il marito si trovavano dietro la porta. Era quasi mezzanotte.
Dissi al prete, in preda alla rabbia, disperazione e umiliazione che volevo denunciare l' accaduto. Ricordo che lui spalancò gli occhi e mi intimò di non farlo. Che se la storia fosse venuta alla luce tanti credenti avrebbero smesso di frequentare non solo il cammino ma anche la parrocchia.
Stremata, stanca umiliata e senza via d'uscita mi diresse verso la porta. Non vedevo l'ora che i responsabili mi riportassero a casa. Guardai fuori, non c'erano nè loro nè la macchina... erano andati via. Ero da sola, ancora una volta il peso del peccato altrui annientava me.
Ripiombai nella mia tristezza. Stavo malissimo....
Iniziai ad incamminarmi verso casa, in lontananza vidi, seduti ad un bar di proprietà di altri catecumeni parenti dei responsabili proprio loro, i miei responsabili, il vecchio responsabile con il quale all'inizio mi ero confidata e altri.
Parlavano di me, parlavano dell'accaduto e di tutto ciò che io avevo vissuto in prima persona e che mi aveva segnato profondamente.
Io ero devastata loro spettegolavano... mi ritrovai sola al buio e so per certo che in quella strada semideserta mi avevano notata.
So per certo che volutamente mi avevano lasciata da sola.
So per certo che in quel momento Dio era con me, mentre da loro serpeggiava Satana ma tutto ciò lo so ora mentre allora sola e desolata percorrevo le vie del mio paese profondamente umiliata...
Lasciai il cammino.
Un prete di un'altra città lontana [.....] che sapeva tutto partecipò ad un incontro a Roma al quale partecipavano preti e catechisti di un certo livello (secondo il loro metro di considerazione) riportò ciò che era successo e riferì un particolare di rilievo che successe:
Kiko disse a Marco con rimprovero e rabbia che per sua colpa il cammino neocatecumenale aveva seriamente rischiato di chiudere i battenti!
Ci fu un grande sfogo da parte di Kiko, non in difesa della vittima o dell'innocente ma in difesa della sua setta.
Ma cosa potevo mai immaginare da lui se non questo? In fondo proprio lui ha innescato questo maledetto meccanismo.