domenica 31 marzo 2013

Risurrezione della carne (2° parte)

Per evitare che le parole "Cristo è risorto" si riducano ad un ripetitivo slogan aziendale, continuiamo con padre Zoffoli la riflessione sulla risurrezione della carne, verità di fede che abbiamo professato durante la liturgia della Pasqua. Il rischio che tanti cristiani corrono oggi, infatti, è il ridurre la liturgia ad un cerimoniale, cioè a qualcosa che "si fa perché si deve fare", un dovere piuttosto che una convenienza, una recita di un copione (se non addirittura una pagliacciata), di cui si farebbe volentieri a meno perché si percepisce che è molto meno "vitale" delle partite di calcio, di una buona mangiata con gli amici, del giocare coi modellini del treno, del seguire un episodio dello sceneggiato televisivo, che in fondo in fondo sono "cerimoniali" più interessanti.


Risurrezione e vita soprannaturale

Padre Enrico Zoffoli (1915-1996)
a) Essa è un prodigio, un dono, un privilegio per l'uomo, sottratto a quella legge della morte e della corruzione comune al mondo della materia. Non occorre altro per convincersi che il dogma esprime un fatto razionalmente indimostrabile.

Se all'uomo non è dovuta l'immortalità, assai meno gli spetta la risurrezione: la sua costituzione ontologica non esige né l'una né l'altra...

b) Ora, il privilegio ha un senso solo a condizione di considerare l'uomo in un contesto che lo supera: appunto quello del Cristo, unica, suprema e incomparabile sintesi nella quale e per la quale tutto - sia nell'uomo che nell'universo - ha la sua spiegazione, avendo in Lui il proprio Modello e Fine prossimo secondo l'attuale piano della Provvidenza...

c) Questa la ragione delle ragioni che, allo sguardo della fede, consentono di spingersi oltre tutto il creato, il naturale, l'umano, «il dovuto»... Se infatti tutto deve irradiare dal Verbo Incarnato (= Tipo Ideale), tutto è subordinato alla pienezza della sua affermazione (= Scopo ultimo), nulla può sottrarsi ad una partecipazione della sua gloria, implicante il superamento dei «limiti» propri d'ogni livello del reale. Insomma, l'unione ipostatica non può non avere le sue risonanze dal fondo della materia ai vertici dello spirito, restandone privilegiato - nell'Uomo-Cristo-Gesù - soprattutto l'Uomo, composto di materia e spirito.

d) Ed ecco - nel primo momento - l'elevazione e l'immortalità...; e - nel secondo - la redenzione e la risurrezione... Tutto dunque per grazia, al di là d'ogni facoltà naturale, d'ogni diritto, d'ogni merito... Precisamente in tale contesto acquistano senso e si rivelano attendibili ragioni come le seguenti:
1° l'uomo, concepito e creato immortale, perché membro del Cristo, non solo avverte l'orrore della morte, ma anche l'anelito di una risurrezione che lo restituisca alla sua condizione originaria, reinserendolo nel Cristo, sua unica «matrice»...; 
2° l'unione anima-corpo, modellata secondo il tipo dell'Umanità assunta dal Verbo, ha acquistato un'indissolubilità superiore alle naturali esigenze di entrambi, spiegando l'immortalità di ieri, l'istintiva ripugnanza alla morte di oggi, la risurrezione di domani che ristabilirà l'armonia turbata dal peccato...; 
3° risurrezione che, essendo essenzialmente relativa a quella del Salvatore, deve coronare una passione espiatrice accettata con tutto-l'essere-umano, come quella del Cristo... Da ciò la giustizia secondo cui alla partecipazione del corpo ad una vita di sofferenza nel tempo risponde una partecipazione del medesimo ad una vita di gloria nell'eternità... Come tutto l'uomo è morto col Cristo al peccato, così tutto l'uomo deve risorgere con Lui nella santità (Catec., 1002-1004).
Perché dunque la risurrezione? Per la massima esaltazione del Verbo-Incarnato-Crocifisso-Risorto-Capo-Riepilogo della creazione a tutti i livelli della materia e dello spirito, sotto tutti gli aspetti della rivelazione di Dio: infinitamente buono nella misericordia avuta coi giusti, e non meno buono nella giustizia usata coi malvagi... (Cf. Summa th., III, q. 56, a. 1; Suppl. q. 75, a. 3; q. 76, a. 1; S.c.G., IV, cc. 79, 81, 6um; Comp. th., cc. 154, 230; in Rm 11, lect. 3, 910; 1Cor 15, lect. 2 intera; in 1Ts 4, lect. 2 intera).

Risurrezione e corso della natura

Ci chiediamo se la risurrezione sia credibile per una persona equilibrata, prudente e, insieme, aperta ad un ordine di verità che trascende la sua intelligenza. Pensiamo di sì:

a) per il «credente», secondo il quale il dogma si concilia bene con quello riguardante il Cristo, Capo dell'Umanità redenta, destinata a partecipare alla gloria della sua risurrezione: tra Capo e membra la comunione di vita deve essere perfetta...

b) per il non-credente, capace d'intuire:
- che tornare a vivere, per l'uomo risponde ad uno dei suoi desideri fondamentali, insopprimibili: la morte, pur essendo un fatto naturale, resta sempre un limite della vitalità umana, che oggi le scienze biologiche tentano di superare ad ogni costo...; 
- supposta la sopravvivenza dell'anima e quindi una sanzione ultraterrena, non disdice, ma conviene ed è comprensibile che anche il corpo partecipi alla felicità dell'anima, come aveva contribuito a maturarla attraverso le esperienze della vita temporale...; 
- se non abbiamo nessuna ragione di prevedere una distruzione (sia pur remota) del mondo fisico, è ragionevolissimo che questo continui ad avere nell'uomo la sua sintesi più degna, la sua «coscienza» più ampia, la sua celebrazione eterna... Cosa sarebbe la «natura» senza qualcuno che la capisse, la possedesse, la godesse?...
c) Per il credente e il miscredente non è difficile ritenere che:

1° Dio, come è autore dell'uomo in quanto ne ha creato l'anima, ne ha organizzato il corpo, ha disposto che l'una fosse il principio vitale dell'altro...; così per Lui è semplicissimo ricomporre la sintesi-umana, valendosi di un'anima già esistente, sempre capace di vivificare il corpo;

2° l'anima, una volta separata dal corpo, naturalmente (= da sé e per sé) non può più vivificarlo...; e il corpo, una volta corrotto, naturalmente (= da sé e per sé) non può più disporsi ad essere vivificato dall'anima: la morte è un processo irreversibile...

Ma ciò ch'è impossibile alle «cause-seconde» (= agenti creati) è possibilissimo alla causa prima, che ha creato l'anima e ha disposto il corpo alla sua azione vivificante (= informatrice).

3° La possibilità che il corpo risorto sia identico a quello precedente (in modo da potersi parlare di una vera risurrezione) si fonda sul fatto che l'anima, già «individuata» in virtù della sua anteriore unione sostanziale con un determinato corpo, è capace di ricostituire questo medesimo quale suo principio umanizzante, sì da conferirgli l'identica struttura, l'identico tipo e imprimergli l'identica fisionomia sotto ogni riguardo, differenziandolo perciò non solo da tutti gli altri non-umani, ma anche da quelli della medesima specie.

Ne risulta perciò un corpo-risorto identico a quello di un tempo, come oggi resta identico col passare degli anni nonostante il totale mutamento delle particelle di materia dovuto al metabolismo a cui soggiace ogni organismo: nel corpo umano muoiono ogni giorno circa 300 miliardi di cellule dei 60.000 miliardi che compongono il corpo di un uomo adulto...

4° Il prodigio pertanto consiste nell'intervento con cui Dio pone l'anima nelle condizioni di poter esercitare la sua virtù informativa, ossia d'influire nella materia e trarne il proprio-corpo. Ora, tutto ciò, ammessa l'esistenza di Dio, per sé, non sembra affatto impossibile...


CONDIZIONE DEI RISORTI

a) se per le membra la risurrezione ha un senso e uno scopo, Principalmente se riferita a quella del Cristo-Capo, non disponiamo di altri criteri per prevedere quale debba essere la condizione dei giusti: sarà quella medesima di Lui, «Salvatore del suo Corpo». In ciò il magistero paolino è inequivocabile: il Cristo «trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose» (Fil 3, 3, 20s).

b) Indubbiamente il corpo di domani risponderà alla vita di oggi; per cui la condizione dei corpi sarà analoga a quella delle anime, riflettendo la fisionomia spirituale di ciascuno... (1Cor 15, 4-27).

c) È di fede che tutti, buoni e cattivi, risorgeranno col medesimo corpo di un tempo, il quale però sarà incorruttibile: ciascuno secondo il sesso e i connotati che lo caratterizzano, per cui tutti saranno perfettamente riconoscibili, quale che sia la loro condizione, felice o infelice.

d) S'intuisce che la condizione d'incorruttibilità annulla i processi biologici che presiedono all'equilibrio, allo sviluppo, alla difesa e alla riproduzione della vita... Non avranno più ragione, dunque, le funzioni degli organi a ciò necessari: «I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi! Ma Dio distruggerà questo e quelli...» (1Cor 6,13). «Alla risurrezione non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo...» (Mt 22,30).

e) Quanto ai beati, la risurrezione comporterà le stesse doti del Cristo glorioso:

1° dunque, bisogna parlare di quella bellezza fisica che è sviluppo del corpo, integrità e proporzione delle membra: tutto secondo un'età che possa riflettere il grado di maturità interiore raggiunta... Perciò, eliminati tutti i difetti e le anomalie d'ordine fisico e psichico, non si comprende come, nell'immensa famiglia umana risorta, non debbano figurare anche i bambini, molto più che proprio a questi Gesù ha riservato il regno dei cieli... Forse, sarebbe insopportabile la vista di una moltitudine di adulti... Però, l'essere e sembrare «bambini» può avere dei sensi a noi occulti...

2° Per gli eletti, l'incorruttibilità equivarrà alla impassibilità per la quale non potranno più temere alcuna offesa dal mondo esterno; per cui saranno loro risparmiate le molestie, le privazioni e le sofferenze che, nel tempo, preludono e dispongono alla morte... (Ap 7,16s; 1Cor 15,42-49).

3° Si parla anche di splendore: «I giusti risplenderanno come il sole nel regno del Padre loro» (Mt 13, 43). È una luminosità che varia da un beato all'altro, secondo il grado di gloria proprio di ciascuno (1Cor 15, 50s), sempre riflesso della luce emanata dalla persona del Cristo e contemplata sul Tabor da alcuni Apostoli (Lc 9, 29. Cf. Fil 3, 21; Gv 12, 41; 17, 24; Sap 3, 7; Dan 12, 3).

Non è facile giudicare se sia necessario pensare alla nostra luce corporea... Forse basterà parlare semplicemente di quella visibilità quale elemento della bellezza fisica dei corpi risorti: visibilità del tutto propria, indipendente da qualsiasi fonte esterna di luce...

4° La teologia, infine, parla anche di sottigliezza e di agilità, ma sulla base di conoscenze scientifiche superate da secoli. Non è possibile trarre dalla S. Scrittura dati certi al riguardo... Neppure i Padri, quindi, hanno potuto trasmetterci qualcosa di fondato e credibile... Tutto potrebbe riassumersi affermando che il corpo dei beati, sublimato dallo spirito, è sottratto a tutte quelle leggi del mondo fisico che oggi costituiscono per noi un ostacolo per la più incondizionata libertà della «persona» nel contesto di questo universo della materia, dello spazio e del tempo. In ogni caso possiamo riferirci:
- ad una piena dipendenza del corpo dall'anima, conseguendone una spiritualizzazione del medesimo, a cui conferirebbe proprietà ed energie nettamente superiori a quelle comprese nell'attuale sistema della natura...; 
- alla piena dipendenza dell'anima (e, per essa, del corpo e di tutto l'essere umano) dal Cristo Risorto, supremo Tipo di ogni possibile glorificazione della materia...

f) Dei «dannati» non possiamo dire altro che i loro corpi saranno incorruttibili e parteciperanno alla pena meritata dall'intera persona umana, ostinata nel suo rifiuto di Dio...

Non possiamo aggiungere altro: gli stessi Padri e teologi hanno lasciato insoluto ogni quesito. Ma non è arbitrario attribuire ad essi proprietà del tutto opposte alle prerogative dei beati... (cf. Atenagora, Legatio pro christ.; Tertulliano, Adv. Marcionem, III, 24; Ippolito, Adv. Graec., 2; Origene, Principi, III, 6, 6; Ilario, Tr. in Ps 1 18; 2, 41; Cirillo Ger., Catech. XVIII, 18; Agostino, De Civit. Dei, XIII, 18; XXII, 16, 19s; iv. 30; Enchir., 89, 91; De Gen. ad litt. VI, 24, 35; Serm. 241s, 8; 242, 3, 5; S. Girolamo, Ep. 108, 24; Contra Joann. Hierosol., 253; Fulgenzio, De fide ad Petrum 3, 35; Gregorio M., Moral. XVIII, 77; Eadmerus, De S. Anselmi simil.,, 51; S. Bonaventura, in Sent. IV, d. 49, p. 2, a. 1, s. 3, q. 1; iv. d. 44, p. 1, a. 3, q. 2; Brevil., 7, 5. - S. th. Suppl. qq. 80-86; S.c.G. IV, cc. 82-89; Comp. th., cc. 155-161, 167-168).


(citato da: Enrico Zoffoli, Cristianesimo. Corso di teologia cattolica, edizioni Segno, 1994, codice ISBN 88-7282-105-3, pagg. 937-942; la prima parte era a questo [link])

Surrexit Dominus vere!





 
BUONA SANTA PASQUA A TUTTI!

venerdì 29 marzo 2013

Risurrezione della carne (1° parte)

Per capire cosa c'entra la liturgia del Triduo pasquale con la nostra vita (terrena ed eterna), e per capire che morte e resurrezione di Gesù Cristo ci riguardano sul serio, si potrebbe anche meditare con calma il tema della risurrezione della carne.


Risurrezione della carne

Alla fine dei tempi, con la seconda venuta del Cristo, tutti i morti torneranno a vivere come Lui: le anime dei defunti riavranno i propri corpi coi quali formeranno nuovamente le identiche persone umane vissute su questa terra.

Si tratta del maggiore di tutti i prodigi d'ordine fisico possibili in natura, ove ogni cosa comincia e finisce, secondo un processo rettilineo, irreversibile: nella morte abbiamo come il simbolo della radicale inconsistenza del mondo corporeo...

La cultura classica non poteva rifiutare la «risurrezione» per la sua analogia con l'apokatastasi, nota anche a Virgilio (Egloga IV) e Ovidio (Metamorfosi)... Il neoplatonico Porfirio parla persino di plagio della dottrina stoica, ignorando le implicazioni di quella cristiana quale definitiva rivelazione della potenza del Cristo-Capo, che, nella finale rianimazione delle sue membra, determina e guida l'universale ritorno delle cose al loro Principio.

Realtà del prodigio

Rivelazione biblica

Il dogma della risurrezione è uno di quelli più esplicitamente formulati, più concordemente professati e difesi.

a) la Chiesa, fedele in ciò anche all'antica fede ebraica, ha dovuto sostenerlo contro i Pagani e alcuni credenti dell'età apostolica. Hanno negato la risurrezione Sadducei, Gnostici, Manichei, Albigesi, Sociniani, Avventisti, Razionalisti, Materialisti... Il Cristianesimo, per questo, sembra abbia sfidato le ire e i sarcasmi di moltitudini di miscredenti...

b) Abbiamo un primo e oscuro cenno alla risurrezione in Giobbe (19, 23-26). Ne parlano sempre più chiaramente Isaia (26, 19), Ezechiele (37, 1-14), Daniele (12,2); finché la fede ebraica non si rivela nella sua più inequivocabile chiarezza al tempo dei Maccabei, sotto la persecuzione di Antioco.

Uno dei sette fratelli uccisi per difendere il culto nazionale, non esitò a rivolgere al tiranno il rimprovero: «Tu, scellerato, ci elimini dalla vita presente; ma il Re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna...». Anche la madre dei sette Eroi, per incoraggiarli, assicurava loro: «Senza dubbio, il Creatore del mondo (...) vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita, come ora voi, per le sue leggi, non vi curate di voi stessi...». E così lo storico delle gesta dei Maccabei, commentando la sollecitudine di Giuda per i suffragi dei soldati morti in battaglia, osserva: «Se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti...» (2Mc 7, 1-13; 12, 39-46).

c) Secondo il Nuovo Testamento la risurrezione sarà universale, perché comune agli eletti e ai reprobi: tutti udranno la voce del Figlio di Dio (Gv 5, 25), che dichiara di essere «la Risurrezione e la Vita» (Gv 11, 25). E tale sarà specialmente per coloro che si nutriranno della sua carne e del suo sangue (Gv 6, 53-58).

Ai tempi di Gesù tutti i buoni Israeliti erano convinti del grande evento: Marta professa la propria fede a proposito del fratello defunto (Gv 11, 24). Pietro e Giovanni, subito dopo la Pentecoste, annunziano che in Gesù è la «risurrezione dai morti» (At 4, 2). Paolo, nel Sinedrio, «fu chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti...» (At 23, 6). Davanti al governatore Felice, ribadisce la propria fede - condivisa anche dai suoi accusatori - che ci sarà risurrezione dei giusti e degl'ingiusti» (At 24, 15). Gesù è stato «il primo tra i risorti da morte», dichiara al re Agrippa (At 26, 23).

«Se lo Spirito di Colui che ha risuscitato Gesù dai morti - spiega scrivendo ai Romani - abita in voi, Colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi...» (Rm 8, 11).

Per l'Apostolo, la risurrezione è tutto, al punto che se essa fondasse una speranza del tutto illusoria, il Cristianesimo sarebbe un'impostura... (1Cor 15, 12-19). Essa, come prova della risurrezione di Cristo, dimostra la perenne vitalità del suo messaggio (iv.).

Dunque, «Noi crediamo che Gesù è morto e risuscitato; e anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con Lui. Questo vi diciamo sulla parola del Signore...» (1Ts 4, 14s).

Catechesi dei Padri

Le istanze di Gnostici, Neoplatonici e Manichei obbligarono i Padri della Chiesa a difendere il dogma della risurrezione in base ai testi biblici citati. Gli Apologisti furono instancabili: la cultura platonizzante, col suo ostinato rifiuto della materia, diede filo da torcere fino a tutto il Medioevo... Il pubblico dei dotti poté leggere lucide e convincenti monografie di alcuni impegnati nella lotta (Giustino, De resurrectione, Atenagora, De resurrectione mortuorum, Tertulliano, De carnis resurrectione, S. Metodio, De resurrectione, Gregorio Nisseno, De anima et resurrectione, G. Crisostomo, De resurrectione homilia, Agostino, De cura pro mortuis gerenda...)

Al riguardo, la professione di fede nel dogma era tanto più vigorosa ed intrepida quanto più gli assalti della cultura pagana tentavano di screditarlo, come ricorda anche Tertulliano: «Noi ridemmo di queste cose...» (Apolog., 18, PL 1, 378). «È più difficile credere nella risurrezione che nell'unità di Dio» (De resurrect., 2, PL 2, 797). Per essa, i cristiani erano ritenuti «impostori e ciarlatani» (Taziano, Adv. Graec. oratio, 6, PG 6, 817).

S. Agostino riconosce che la fede era bersagliata soprattutto a causa della risurrezione (Enarr. in Ps 88, 5, PL 37, 1134). Ai tempi di S. Gregorio M., alcuni dubitavano, come lui stesso: «...sicut et nos aliquando fuimus» (Hom. in Evang., II, 26, 12, PL 76, 1203).

Gli attacchi più duri erano dei Neoplatonici, tra i quali si distinguevano Celso e Porfirio. Sembra che ad essi Atenagora risponda, dimostrando la possibilità della risurrezione: le ragioni addotte sono ancora convincentissime... Taziano, a sua volta, argomenta: «Se il fuoco annienta la mia povera carne, il mondo contiene ancora questa materia che è andata in fumo; e se andrò a disperdermi in fiumi o in mari o sarò fatto a brani dalle fiere, io sarò come riposto nei magazzini di un ricco Signore» (Adv. Graec. orat., 6, PG, 6, 819).

«...I cadaveri dei martiri - si legge negli Atti dei Martiri di Lione - rimasero completamente esposti a cielo scoperto per sei giorni; indi furono bruciati e le ceneri furono da quegli empi gettate nel fiume Rodano che scorre qui vicino, affinché nessun resto ne rimanesse sulla terra. Ciò fecero credendo di poter vincere Dio e privare i morti di una novella nascita, e affinché, come essi andavano dicendo, "non avessero neppure la speranza di risurrezione, nella quale confidando, hanno introdotto tra noi un culto straniero e nuovo e, sprezzando ogni tormento, vanno volenterosi ed esultanti incontro alla morte. Vedremo ora se essi risorgeranno, e se il loro Dio potrà venire in loro soccorso e liberarli dalle nostre mani"» (iv., nn. 62-63, in Eusebio, Hist. eccl., V, 1, 1-63).

Già legato sul rogo, il martire Pionio spiegava ai circostanti la ragione del suo coraggio che era appunto la speranza della risurrezione (Ruinart, Acta Martyrum, p. 70).

Speranza fondata, afferma Tertulliano, secondo il quale - se così possiamo esprimerci - per Dio è più facile «risuscitare» i morti che produrre le cose dal nulla: «...Idoneus est reficere qui fecit: quanto plus est fecisse, quam refecisse, initium dedisse quam reddidisse, ita restitutionem carnis faciliorem credas institutione» (De resurrect., 11, PL 2, 809s. - Cf. Giustino, Apol., I, 19, PG 6, 356s; Taziano, Adv. Graec. orat., 6, PG 6, 817-20).

S. Gregorio M. lo conferma valendosi già del linguaggio tecnico della teologia (Hom. in Evang., II, 26, n. 12, PL 76, 1203).

Colui che ha sedato la tempesta, che moltiplica il seme che buore ed ha risuscitato Lazzaro, farà risorgere anche Damaso, il Papa che scrisse l'epitaffio per il suo sepolcro: «...post cineres Damasum faciet (...) surgere credo» (A. Ferrua, Epigrammata Damasiana, C.d.Vatic., 1942, p. 112).

La natura, d'altra parte, offriva splendide immagini della futura risurrezione... Anche S. Paolo aveva osservato che il seme non germoglia, se prima non muore (1Cor 15, 36. Cf. Gv 12, 24). «...A nostro conforto - nota Minucio Felice - tutta la natura simboleggia la nostra futura risurrezione: il Sole scompare e risorge...» (Octavius, 34, PL 3, 347. - Cf. Tertulliano, De resurrect., 12, PL 2, 810s).

L'archeologia cristiana ha conservato le tracce di tanta fede nelle scene bibliche che richiamano la risurrezione: da Giobbe seduto sul letamaio a Lazzaro, dai simboli (la fenice, ecc.) alle iscrizioni (H. Leclercq, Monumenta Eccl. liturgica 1, Parisiis, 1902, nn. 2776s-2882, 3064, 4347s; S. Bour, Epigraphie chrétienne, DTC V, 341s).

Il Magistero

La Chiesa, in tutti i Simboli, dai più antichi ai più recenti, nelle dichiarazioni pontificie e conciliari, non ha mai esitato a professare e confermare la propria fede nella risurrezione, sfidando gli attacchi della miscredenza in generale e particolarmente del materialismo e del positivismo di questi ultimi secoli...

«La fede cristiana - dichiara il Vaticano II - insegna che la morte corporale, dalla quale l'uomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato, sarà vinta quando l'uomo sarà restituito allo stato perduto per il peccato dall'onnipotenza e dalla misericordia del Salvatore. Dio infatti ha chiamato e chiama l'uomo a stringersi a Lui con tutta intera la sua natura in comunione perpetua con l'incorruttibile vita divina...» (GS 18).

Il dogma è accettato anche da teologi - specie protestanti - che negano la sopravvivenza personale delle anime.

Riepilogando:

- la risurrezione del «corpo» (e quindi la ricostituzione dell'intera «persona umana») sottende la sopravvivenza delle rispettive anime, che subito dopo la morte sono state premiate o punite. Una risurrezione delle anime (essendo queste immateriali) equivarrebbe ad una loro ri-creazione, che non può sostenersi...;

- la risurrezione della carne è realmente universale, ossia comune a buoni e cattivi, anche se quella degli uni sarà diversa da quella degli altri (1Cor 15, 35-53);

- l'evento dovrebbe interessare anche i bambini non battezzati, essendo anch'essi elevati all'ordine soprannaturale e redenti dal Cristo, pur se membri non visibili della Chiesa. Questa l'opinione più probabile, una volta esclusa l'esistenza del Limbo, mai definita dal Magistero... L'unica eccezione riguarda Maria SS.ma;

- il tempo della risurrezione coincide con quello della seconda venuta del Cristo...

- «il "come" supera le possibilità della nostra immaginazione e del nostro intelletto; è accessibile solo nella fede. Ma la nostra partecipazione all'Eucaristia ci fa già pregustare la trasfigurazione del nostro corpo per opera di Cristo: «Come il pane che è frutto della terra, dopo che è stata invocata su di esso la benedizione divina, non è più pane comune, ma Eucaristia, composta di due realtà, una terrena, l'altra celeste, così i nostri corpi che ricevono l'Eucaristia non sono più corruttibili, dal momento che portano in sé il germe della risurrezione» (Cat., 1000; S. Ireneo, Adv. haer., IV, 18, 4-5).

- il corpo risorto sarà specificamente «umano» e identico a quello proprio di ogni persona vissuta.
Cf. Simboli antichi, D-S 2-150; Tomus Damasi, iv., 72; I Conc. di Toledo, iv. 190s; XI Conc. di Toledo, iv. 540; XVI Conc. di Toledo, iv. 574; Leone IV, iv. 684; Innocenzo III, iv. 797; II Conc. di Lione, iv. 854; Benedetto XII, iv. 1002; Conc. Later. IV, iv. 801; Conc. Vatic. II, GS 18.

(citato da: Enrico Zoffoli, Cristianesimo. Corso di teologia cattolica, edizioni Segno, 1994, pagg. 933-937)

martedì 26 marzo 2013

«Al parroco gli si contorcevano le budella»

Testimonianza di una tranquilla Domenica delle Palme in una parrocchia infestata dal Cammino Neocatecumenale: ecco come i seguaci di Kiko Argüello e Carmen Hernàndez mettono in pratica "l'unità" con la Chiesa e gli insegnamenti dei due spagnoli fondatori...


...Un canto cacofonico e urlato...
(e la faccia sbigottita del dipinto)
Da noi i neocatecumenali hanno partecipato alla processione della Domenica delle Palme, stando davanti al Sacerdote con le palme in mano e a seguire il popolo di Dio (ma non devono stare davanti i presbiteri? E i neocat non sono parte del popolo di Dio?).

Una volta arrivati in chiesa la funzione è stata celebrata dal sacerdote non neocat, una bellissima funzione. Poi prima del Credo un cantore neocat imbracciando la chitarra ha detto : "Questo è un canto corale, quindi non fate cantare solo me" (peccato che nessuno lo conoscesse in quanto non si sono mai visti in chiesa e grazie al Signore è meglio così, visto quanto è cacofonico e urlato, tanto che la gente si guardava in faccia sbigottita.)

Poi ci ha tenuto a dire che i Fratelli Neocatecumenali che avevano raggiunto dopo tanti anni di cammino la tappa del Credo (ma il Credo non è il fondamento? Ora bisogna arrivarci dopo anni?? E nel frattempo che si fa?) potevano dire il Credo, potevano affermare che credevano (noi poveri cattolici senza fede, non possiamo dire che crediamo?? Non abbiamo il patentino?) e per questo avevano ricevuto anni prima le palme, che appendono fuori dalle case per testimoniare che loro sono cristiani, che lì c'è una famiglia che (sic!) cerca di essere cristiana (e pensare che credevo che si testimoniasse con le opere e l'amore reciproco , e addirittura credevo che per essere cristiani bastasse seguire Gesù Cristo, professarlo e credere in Lui! Adesso scopro che non solo non sono cristiana, ma non sto nemmeno provando ad esserlo!)

Kiko con crocifero e candelieri
Guardando il parroco si vedeva che gli si contorcevano le budella perchè vedeva i propri fedeli, noi umili poveretti , schiacciati da tanta arroganza. Comunque ho pregato per loro, perchè mi sono resa conto che non sanno veramente, non si rendono conto davvero di quello che dicono perchè dopo tanto isolamento non fanno più i conti con la realtà.

ele

Aggiornamento: testimonianza da chisolm:
Almeno per me, questa è la cosa più fastidiosa, figlia di travisazioni dottrinali che respingono il senso più ecclesiologico della comunità, a favore di un elitarismo che rischia di crescere come un alieno per poi alienare quella “parte” di comunità sempre più confusa nella domanda: ma non siamo “Chiesa”?

Il primo danno, dunque, è nel confronto: due messe, liturgie distanti, differenti percezioni del “silenzio”, della “parola” e del “canto” come un qualcosa che si può sfrondare a piacimento dalla secolare tradizione con cui, silenzio, parola e canto si sono sempre interconnesse e alternate.

Ecco, la danza secolare della parola, del canto, del silenzio viene smantellata da nuove interpretazioni per nulla mistiche.

"...cacofonico strimpellatore..."
Prima di riflettere sul “silenzio”, almeno quello frantumato dal “cacofonico strimpellatore”, vorrei meditare su quella “differenza” antropologica che tali celebrazioni possono marcare.
Il fedele frastornato, si chiede quindi se la liturgia a cui è abituato e in cui è cresciuto sia destinata ad essere sorpassata da qualcosa di più “rumoroso”, di più “visivo”, di meno “silenzioso.

Fino a che punto Cristo si è impregnato di umano? Fino a che punto la sua opera di salvezza si estende su tutti, indistintamente?

Mi piace pensare alla dialettica “parola-silenzio” nell’istituzione dell’Eucaristia: beninteso, conosciamo tutti il meraviglioso reportage giovanneo, per cui mi servo delle parole di L. Santucci, scrittore amato e misterioso.

“questo è il mio corpo… lo mangino, poco fa si è contaminato con la loro corporeità fangosa, lavando loro i piedi,… adesso vuole fare di più: scenderà nelle loro gole, si mescolerà, sino a trasformarsi, con le loro mucose, si scioglierà a poco a poco in tutte le loro fibre… occorre che egli rimanga con l’unica cosa di noi che veramente conosciamo e cui attacchiamo il cuore e la memoria: il corpo…”

Ecco le parole, seppur non canoniche, che ci ricordano “letterariamente” come nostro dovere sia “attaccare cuore e memoria” (fate questo in memoria di Me) alla persona di Cristo, unico punto di riferimento per ciascuno. Cristo usa le parole per comunicare e il suo corpo per comunicar-si all’uomo, infischiandosene di scendere attraverso mucose più o meno degne.

Dopo la parola/e, c’è il luogo del silenzio: il Getsemani. Gesù chiede ai suoi qualcosa di simile a quanto chiede lo “strimpellatore” al suo auditorio: "Questo è un canto corale, quindi non fate cantare solo me" . Ma lo fa con stile altro: non fate pregare solo me… E qui, cala il silenzio. Morfeo che ninna i discepoli e il silenzio di Dio che interrompe le frequenze col Figlio. Possiamo dire che Gesù attraversa a nuoto lo stretto tra due silenzi: quello del Padre e quello degli uomini, incapaci di vegliare e pregare, forse per digerire abbondanti porzioni di agnelli pasquali.

Parole e silenzio, dunque… Colme di significato.
E il canto? Dove collocarlo?
Nell’esultanza della corsa pasquale verso il Sepolcro, nel gioire – cantando – al Padre nello Spirito, la parola “grazie” che da quella Domenica, si compone e scompone in parole, silenzio e canto.
Ma quello vero… Quelle vere…
Buona Pasqua a tutti,
Chisolm

domenica 24 marzo 2013

Settimana Santa neocatecumenale

Riproponiamo alcune brevi riflessioni per quei fratelli NC che seguono queste pagine per cercare una risposta alle loro perplessità.

Mi rivolgo, in particolare, a quelli che si accingono a vivere le celebrazioni della Settimana Santa, che in molti casi si svolgeranno in luogo non consacrato e senza la presenza di un sacerdote. È noto che 'pro forma' i responsabili delle comunità invitano tutti a partecipare anche alle celebrazioni in parrocchia, ma nel caso in cui si rendesse necessaria una scelta danno la chiara indicazione di preferire le celebrazioni in comunità. A questo riguardo mi limito ad osservare che chi lavora e/o ha famiglia difficilmente riesce ad essere presente a due celebrazioni nello stesso giorno e poi non si vede il perché si debba essere costretti a scegliere tra due celebrazioni diverse... dov'è la comunione ecclesiale richiamata da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ? Perché, soprattutto questi giorni definiti "Santi" devono essere occasione dell'ennesima lacerazione del tessuto ecclesiale?

Una ragione c'è e risiede nel fatto che nel cammino NC si consumano riti che hanno caratteristiche e significati esclusivamente comunitari, senza nessun legame con i riti della Chiesa: giovedì e venerdì santo, mentre ancora i fedeli sono in chiesa e defluiscono lentamente da essa e mentre molti altri sostano per l'adorazione del santissimo sacramento o per l'adorazione della croce, gli aderenti al cammino NC si mobilitano per preparare le loro sale per fare delle celebrazioni parallele della lavanda dei piedi e del venerdì santo. Cose simili accadono anche il giorno delle ceneri: mai partecipano all'imposizione delle ceneri fatta in chiesa, ma nel corso di una penitenziale, inseriscono questo rito. Per non parlare delle comunità che si riuniscono a celebrare per tutto il tempo di pasqua in veste bianca, alla sera, di nascosto...

La lavanda dei piedi neocatecumenale

Nelle comunità la lavanda dei piedi è eseguita dal responsabile assieme all'ostiario che li asciuga. Ogni comunità la celebra per conto suo (una delle tante cose de facto e non de iure rispetto allo statuto). Dopo che il responsabile ha lavato i piedi a tutti i fratelli della sua comunità, chiunque abbia un giudizio verso un fratello gli lava i piedi per chiedere perdono!

Essa non è inserita in una celebrazione eucaristica, perciò il sacerdote non c'è, o comunque non è strettamente necessario. Deve essere il capo responsabile a lavare i piedi ai fratelli, proprio per il servizio che svolge in comunità, che lo porta ad essere servo degli altri. È un segno che in apparenza è simile a quanto fatto da Gesù, in realtà è una scimmiottatura grottesca, a cui viene anche dato il significato di riconciliazione tra i fratelli. Dopo che il responsabile ha lavato i piedi a tutti, i fratelli liberamente lavano i piedi prima al coniuge e poi alle persone con cui c'è stato qualche contrasto. Una testimonianza che ci è pervenuta ricorda quei grotteschi momenti di imbarazzo: "E qui inizia il grottesco: quando qualcuno ti viene a lavare i piedi cominci a chiederti 'ma che cosa gli avrò fatto, o forse avrò detto qualcosa che l'ha offeso'; oppure succedeva che si andava a lavare i piedi e si diceva: 'scusa sai, non ce l'ho con te, ma non so a chi lavare i piedi."

E poi c'è l'aspetto, anche questo tenuto un po' nascosto e quindi pericoloso, della riconciliazione tra le persone che non è solo semplicemente un segno simbolico (come nella messa lo scambio della pace col vicino), ma diventa quasi un sacramentale, perchè il gesto viene ripetuto nella sua completezza (ci si lava veramente i piedi), e quindi si tende a ritenere che sia quello il gesto che mi riconcilia veramente con il fratello, rendendo quindi la confessione personale, e l'eventuale penitenza, qualcosa di secondario rispetto al 'segno forte' celebrato in comunità.

I NC obietteranno che si legge il vangelo di Giovanni, il che è vero, e che ci si attiene a quanto sta scritto lì. Ma in realtà è una autocelebrazione della comunità (quasi sempre senza sacerdote, e quando possibile nelle case private), per mettere in evidenza il peccato e il fango dell'uomo, e poi autoassolversi l'un l'altro con un gesto di apparente umiltà. Si fa quello che ha fatto Gesù per dire che in fondo non abbiamo più bisogno di Lui, che possiamo perdonarci da soli. Vuoi mettere l'ebbrezza di ripetere, da laici, quello che ha fatto Gesù e che nella Chiesa lo può fare solo il sacerdote durante la celebrazione eucaristica, che oltretutto rievoca l'istituzione dell'Eucaristia?

Che senso ha fare una celebrazione privata del genere, senza il sacerdote, e con significati propri che abbiamo analizzato, proprio mentre tutti gli altri cristiani sono in Chiesa a celebrare l’istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio? Vogliamo rispolverare per chi non l'avesse ancora letta una nostra riflessione, riportata di seguito.

Dietro la Lavanda dei piedi neocatecumenale, c'è l'interpretazione letterale, ma non ecclesiale, di Giovanni 13. È con tale interpretazione che si "giustifica" il rito della Lavanda ripetuto in celebrazione assolutamente privata da ogni comunità dopo un paio di anni di cammino.

Ma, a prescindere dalla celebrazione privata (un'altra ritualità anomala dei NC, perché la Chiesa la fa il giovedì Santo, nelle Chiese consacrate, ricordando l'istituzione dell'Eucaristia), è evidente che nel "venne a servirli" citato da Kiko Arguello anche nella lettera al Papa c'è il senso della "lavanda dei piedi" che lui enfatizza nell'Eucaristia e se ne può intuire il perché: perché è l'unico accenno ad un'azione di Gesù nella Cena del Vangelo di Giovanni, mentre la formula della Consacrazione del Pane e del vino [a cui peraltro Kiko dà una diversa interpretazione: "Nelle comunità portiamo avanti infatti una catechesi basata sulla Pasqua ebrea, con il pane azzimo a significare la schiavitù e l’uscita dall’Egitto e la coppa del vino a significare la Terra promessa" (!?)] è contenuta solo nei sinottici e nella lettera ai Corinzi (in Giustino ecc.)... Eccoci dunque ancora una volta al malinteso ritorno alle origini e sempre nell'interpretazione letterale di una parte di un vangelo trascurandone altre nonché altri elementi essenziali della stessa:
  1. lo stesso Giovanni non fa altro che parlare del "pane vivo disceso dal cielo" e "chi non mangia di questo pane e non beve di questo sangue...", mentre il Signore ci ha consegnato la formula Consacratoria: "questo è il mio corpo...", "questo è il mio sangue..." con la quale ci ha consegnato Sé stesso, Vivo e Vero, fino alla fine dei tempi...
  2. Il vangelo di Giovanni è stato l'ultimo vangelo redatto, quando nelle comunità la fractio panis era già consolidata e non c'era bisogno di parlarne esplicitamente, tanto più che del Corpo del Signore come pane e del Sangue come bevanda della nuova alleanza (formula della Consacrazione) ne parla a iosa... “Perciò Gesù disse loro: In verità, in verità io vi dico che se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi.” (Gv 6)
  3. La Chiesa la celebra il Giovedì Santo, giorno del Triduo Pasquale dedicato all'istituzione dell'Eucaristia e, per la Chiesa, la "lavanda dei piedi" oltre ad introdurre al discepolato, simboleggia il 'lavacro' operato dal Sacramento della Riconciliazione, ma soprattutto l’istituzione del Sacerdozio Ministeriale. Cos'è che "giustifica " il rito della Lavanda ripetuto in celebrazione assolutamente privata da ogni comunità neocatecumenale dopo un paio di anni di cammino e per di più celebrato DA LAICI? Soltanto la rivalutazione tutta protestante del sacerdozio battesimale rispetto a quello ordinato, la celebrazione di un rito di “iniziazione” al discepolato, un rito di assoluzione intracomunitaria!
  4. La verità non detta esplicitamente ma da noi più volte ribadita è che Kiko e Carmen si sono fermati alla "lavanda dei piedi", che è appunto un rito di iniziazione, detto "di inversione" che introduce al discepolato. Questo è il vero significato della ritualità anomala operata a due anni d'inizio del cammino ed è anche il vero senso dello "stare seduti" a mensa durante l'Eucaristia - detto anche nella lettera al Papa - mentre Cristo passa a "servirli"!!!! Attualmente, dopo lunghe 'trattative' precedenti l'approvazione degli statuti (come se la liturgia potesse essere oggetto di trattative), si alzano in piedi al momento della comunione; ma non è cambiata l'interpretazione di quelle che per il cattolicesimo sono le Sacre Specie.. Sappiamo da numerose testimonianze e dalla vanità dello stesso Kiko, che ancor oggi si continua a fare la "comunione seduti".
    Kiko sostiene che nel Cammino l’Eucarestia sia il punto fondamentale, tanto da porlo come primo elemento del tripode del cristiano. Inoltre viene fatta all’inizio del Cammino una monumentale catechesi (creduta cattolica da chi la ascolta) sull’Eucarestia e sulla storia dell’evoluzione liturgica (o forse sarebbe meglio dire che secondo Kiko trattasi di “involuzione della Messa cattolica”). Ma quello a cui non si fa sovente caso è che la prima parte di questa catechesi, trattata da Carmen, è tutta rivolta a tentare di identificare il Santo Sacrificio eucaristico con il Seder pasquale ebraico: se la si legge con pazienza si vede come Carmen ripercorra tutte le fasi del Seder pasquale ebraico, tentando di metterle in parallelo con le varie parti della Messa Cattolica, pretendendo di concludere affermando che Cristo non fece niente altro che la cena ebraica, nella quale inserì il Suo Corpo e il Suo Sangue. Semplifico molto per ragioni di lunghezza.
  5. Le recenti parole di Kiko: "Nelle comunità portiamo avanti infatti una catechesi basata sulla Pasqua ebrea, con il pane azzimo a significare la schiavitù e l’uscita dall’Egitto e la coppa del vino a significare la Terra promessa" (!?) – confermano quanto appena detto.
    E qui si spiega una cosa incredibile: come mai proprio nella sera dell’istituzione dell’Eucarestia, il Cammino Neocatecumenale NON FA MEMORIALE dell’istituzione eucaristica, che Kiko considera una parte irrinunciabile per una “iniziazione cristiana”?
    Come mai, più che in ogni altro giorno dell’anno, il Cammino non celebra nel Giovedì Santo una grande Eucarestia, in pompa magna, come fanno loro, piena di luci, di canti, di balli, per rendere grazie al Signore per la liturgia che ha donato alla Chiesa? Non certamente per non intaccare la comunione ecclesiale (inesistente) con i riti pasquali della parrocchia! Non certamente per farsi scrupolo di distaccarsi dalla pastorale universale!
    Tutti i sabati che ha fatto Dio i neocatecumenali non si fanno scrupolo di celebrare la loro Eucarestia separatamente dal resto della parrocchia, men che meno fa eccezione la Veglia pasquale! Perché allora il Giovedì Santo no? La risposta la da Kiko: "portiamo avanti infatti una catechesi basata sulla Pasqua ebrea…"
    A Kiko non interessa nulla della Santa Eucarestia cattolica, istituita da nostro Signore, né di celebrarne l’istituzione, perché lui predica e fa celebrare niente altro che il Seder ebraico! L’eucarestia del Cammino Neocatecumenale non è la Santa Messa della Chiesa, ma solo la caricatura di una Pasqua ebrea (un Novus Ordo brutalmente rivisitato), in cui le sacre specie vengono cabalisticamente sfruttate per intraprendere il viaggio “divinizzante” che si fa lasciandosi trasportare dal “Carro di fuoco(non è così che Kiko definisce l’Eucarestia? Il “Carro di fuoco”?)
    Inoltre: il fatto di rimanere seduti, senza andare in processione per ricevere l’Eucarestia, non si riferisce solo alla parola escatologica in cui “il Signore li farà sedere e passerà a servirli”, ma riguarda appunto l’atteggiamento cabalista di vivere l’evento pasquale: chi conosce l’opera del cabalista Nadav Crivelli sa che costui scrive che per sperimentare il Mà Ase’Merkavà, cioè per intraprendere il viaggio sul “Carro di fuoco” occorre farlo DA SEDUTI. Inquietante, no?
  6. Resta assodato che il fatto che le comunità celebrano la ritualità separatamente dalla parrocchia e ognuna per proprio conto è strumentale per cementare la comunità, Ricordiamo ancora una volta come anche in questo caso si tratta di un cemento solo orizzontale, che non è vera comunione (che si fonda nel Signore ed è fatta unicamente da Lui) ma risponde a leggi psicologiche e non spirituali. Se c'è però qualcosa che affonda le sue radici nell'ordine spirituale, ricordo che non si tratta di una spiritualità cattolica e questo basterebbe per mettere in allarme non solo teologi e liturgisti, ma anche persone credenti che hanno assimilato e vivono la Rivelazione Apostolica che è di natura Soprannaturale e non è "fatta da mano d'uomo"...
La conclusione di tutto ciò è quella di fondo, già richiamata nel titolo: al di là delle ineludibili implicazioni teologiche e spirituali, che fine fa in tutto questo la comunione ecclesiale?

Infine, i riti del Giovedì e del Venerdì Santo, nel cammino vengono giudicati (ed ecco il prevalere della sensazione personale, sul significato serio e profondo della solenne liturgia cattolica) "più suggestivi ed intimi": ovvio, sono fatti separatamente per ogni comunità, proprio per cementare lo spirito comunitario e stringere sempre più i vincoli e gli afflati comunitari, ma non corrispondono ai significati della liturgia cattolica e soprattutto mancano totalmente di cattolicesimo, proprio nel senso di 'universalità', a prescindere appunto dalle altre considerazione teologiche e liturgiche che non non sono certo elementi secondari... e rappresentano comunque momenti di vita ecclesiale rigorosamente 'separati' e quindi fuori dalla comunione ecclesiale, anche durante un tempo liturgico 'forte' come quello della Settimana Santa...

L'Ultima Cena

Nell'Ultima Cena, della quale nel cammino neocatecumenale si enfatizzano i connotati ebraici insieme all’orizzontalità del banchetto fraterno, riporta all'istituzione dell'Eucaristia e alla prefigurazione del Calvario e della Resurrezione: per che cosa dunque si chiama Eucaristia, cioè rendimento di grazie, lode, se non per tutti i doni ricevuti, soprattutto per quelli, escatologici, che non scaturiscono se non dal Sacrificio del Signore? È questo il vero significato cattolico, non solo l'iniziazione al discepolato o la cena fraterna o l’attesa dell’”allegria”! E il Signore non viene “a servire i commensali”, ma ri-presenta al Padre il Suo Sacrificio a beneficio di tutti i partecipanti ai quali è strettamente unita tutta la Chiesa terrestre e celeste, di ogni luogo e di ogni tempo. E TUTTA la celebrazione – opera di Cristo: il Sacerdote agisce “in persona Christi” – è un rendimento di grazie (non solo il momento del ringraziamento finale come subdolamente predica Kiko criticando la Chiesa nelle sue catechesi (OR, p. 330). Essa è la riattualizzazione del 'mistero pasquale', ma non per vivere solo il momento della 'Risurrezione' - come insegna Arguello con altri distinguo addirittura giudaici -, ma il mistero nella sua interezza: 'Passione, Morte e Risurrezione' del Signore Gesù... il suo Sacrificio di espiazione per i nostri peccati ri-presentato al Padre per inserirci nella Sua offerta e riceverne i beni escatologici che è Lui a donarci, non l’Assemblea, la Comunità che celebra... È solo per il Sacrificio di Cristo, poi Risorto che la Santa e Divina Liturgia è fonte di riconciliazione e rigenerazione e che ci introduce sempre più, in Gesù Risorto, nel Mondo della Resurrezione, nella Creazione Nuova!

È solo di una delle molte prassi avulse dal loro significato ecclesiale, presenti nel cammino neocatecumenale e che hanno valenza esclusiva in esso, strumentale all’edificazione progressiva di una entità comunitaria che non è integrata nella vita della Chiesa, anche se ne fa parte nominalmente e tende piuttosto a sostituirsi ad essa. Dovremo successivamente parlare della veglia...

giovedì 21 marzo 2013

Clamoroso due anni fa. E oggi?

Breve inciso di Magister:
« ...Clamoroso fu due inverni fa il colpo di mano quasi riuscito ai neocatecumenali di strappare l'approvazione di Joseph Ratzinger alle loro bizzarre liturgie. Il papa scoprì e sventò tutto in extremis. Fu addolorato al vedere che tra gli autori della manovra c'era un cardinale nel quale aveva riposto grande fiducia, il prefetto della congregazione per il culto divino Antonio Cañizares Llovera. Ordinò alla congregazione per la dottrina della fede di mettere sotto esame le liturgie dei neocatecumenali. La pratica ora dorme in un cassetto ».

Aggiornamento: un commento di oggi, a firma di Neocat Pentito:
Credo che ormai sia chiaro che Kiko abbia architettato un inganno nei confronti di Benetto XVI, lo attestano documenti scritti,ma questo non è neanche preso in considerazione all'interno del Cammino Neocatecumenale. Tutte le comunità hanno fatto un pellegrinaggio a un santuario Mariano per ringraziare dell'avvenuta approvazione della liturgia. Quando all'interno della mia comunità sollevai il dubbio parlando della lettera del card Burke, tutti parlarono di montura della stampa contro il CN, badate bene in buona fede,ma nessuno che si sia documentato su quanto accaduto, io invece sono passato come un rompiscatole che critica sempre tutto. Purtroppo questo è l'atteggiamento che si respira dentro il CN. Se le cose continuano in questo modo puoi portare qualsiasi prova, ma verrà considerata come opera del demonio contro il CN. Spero che il Signore ci aiuti

martedì 19 marzo 2013

Liturgia e crisi ecclesiale


In questi giorni così importanti per la vita della Chiesa, nel momento in cui viene eletto un nuovo Papa, può essere utile ricordare qualcosa di questi ultimi otto anni vissuti accanto a Benedetto XVI.
Questo perchè – è stato lo stesso Benedetto XVI a insegnarcelo – il rinnovamento, la riforma, deve avvenire nella continuità, perciò, per evitare che il gran chiasso mediatico di questi giorni lo faccia dimenticare, è interessante riflettere su alcuni passaggi del magistero del predecessore di Papa Francesco.

Certamente uno dei più importanti insegnamenti di Benedetto XVI riguarda la necessità di un maggiore senso del sacro, sviluppato attraverso una forte coscienza liturgica. Questo insegnamento risale già ai tempi dell’allora Cardinale Ratzinger quando, nel volume “La mia vita”, scriveva queste parole che adesso, chissà perchè, rischiano di cadere nel dimenticatoio:
“quando la liturgia è qualcosa che ciascuno si fa da sé, allora non ci dona più quella che è la sua vera qualità: l’incontro con il mistero, che non è un nostro prodotto, ma la nostra origine e la sorgente della nostra vita. Per la vita della Chiesa è drammaticamente urgente un rinnovamento della coscienza liturgica (…) Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia”.
A partire da questa forte considerazione abbiamo visto crescere in questi anni una certa attenzione alla liturgia che, senza scomodare la “messa di S.Pio V”, ha indubbiamente interessato molti sacerdoti e fedeli nella loro pratica di fede. Credo di poter dire che un traguardo è stato raggiunto: gli abusi liturgici sono intollerabili, non tanto e soltanto per questioni estetiche, o preferenze da addetti ai lavori, quanto piuttosto perchè il culto pubblico che dobbiamo a Dio, e la forma corretta con cui rendiamo questo culto, sono un fatto sostanziale per la vita dell’uomo.

Nella sua opera “Introduzione allo spirito della liturgia” il Cardinale Ratizinger scriveva, con parole inequivocabili, che “il diritto e la morale non stanno insieme se non sono ancorati nel centro litugico e non traggono da esso ispirazione”. Solo se il rapporto con Dio è giusto anche tutte le altre relazioni dell’uomo possono funzionare: “la giusta modalità del culto è costitutiva per la giusta esistenza umana nel mondo”. In altre parole dobbiamo dire che anche la riforma morale della Chiesa passa attraverso i diritti riconosciuti a Dio, ossia la giusta adorazione a Lui dovuta.

La liturgia – il giusto modo di adorare Dio – aggiungeva Ratzinger “implica una qualche forma di istituzione”, la liturgia “non può trarre origine nella nostra fantasia, dalla nostra creatività, altrimenti rimarrebbe un grido nel buio o una semplice autoconferma”. Egli inoltre richiamava il pericolo di liturgie in cui tutto “è apparentemente in ordine e presumibilmente anche il rituale procede secondo le prescrizioni”, ma si assiste ad un “abbassamento di Dio alle nostre dimensioni”, arrivando di fatto a servirsi di Dio secondo il proprio bisogno e così ci “si pone sopra di Lui”.

Da qui la denuncia di culti sciatti, pauperistici, con danze e canti fuori luogo, carnevalate di ogni genere, prive di quel senso del sacro che è fondamentale per il giusto culto a Dio. Per questo il Santo Padre Benedetto XVI aveva introdotto nella sua prassi liturgica alcuni accorgimenti importanti per educare ad un autentico senso del sacro: il ritorno del Crocifisso e delle sette candele sull’altare, il situarsi nelle Sue celebrazioni verso il Crocifisso, il reimpiego dei paramenti liturgici antichi romani, l’abbandono quasi totale delle danze e delle attività non liturgiche nelle celebrazioni, l’uso frequente e più intenso del latino e del canto gregoriano e, cosa assai significativa, il ricevere la Santa Comunione sulla lingua e in ginocchio.

Se resta vera l’analisi che fece l’allora Card. Ratzinger – “sono convinto che la crisi ecclesiale dipende in gran parte dal crollo della liturgia” – c’è da augurarsi che Papa Francesco sappia attingere a piene mani all’insegnamento di Benedetto XVI, attuando così quella riforma nella continuità più volte richiamata dal suo predecessore. Questo, come abbiamo visto, porterà frutti anche per quella riforma morale della Chiesa che tutti si attendono e che altrimenti rischia di rimanere semplice moralismo.

lunedì 18 marzo 2013

San Francesco d'Assisi: Lettera a tutti i chierici sulla riverenza del Corpo del Signore

«Facciamo attenzione, noi tutti chierici, al grande peccato e all'ignoranza che certuni hanno riguardo al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo e ai santissimi nomi e alle sue parole scritte che santificano il corpo.

Sappiamo che non ci può essere il corpo se prima non è santificato dalla parola.
Niente infatti possediamo e vediamo corporalmente in questo mondo dello stesso Altissimo, se non il corpo e il sangue, i nomi e le parole mediante le quali siamo stati creati e redenti "da morte a vita" (1Gv 3,14).

Tutti coloro, poi, che amministrano così santi misteri, considerino tra sé, soprattutto chi li amministra illecitamente, quanto siano miserandi i calici, i corporali e le tovaglie sulle quali si compie il sacrificio del corpo e del sangue di lui. E da molti viene collocato e lasciato in luoghi indecorosi, viene trasportato senza nessun onore e ricevuto senza le dovute disposizioni e amministrato agli altri senza discrezione.

Che modo pacchiano e teatrale di
trattare il Santissimo Sacramento!
Anche i nomi e le parole di lui scritte talvolta vengono calpestate, poiché "l'uomo carnale non comprende le cose di Dio" (1Cor 2,14).

Non dovremmo sentirci mossi a pietà per tutto questo, dal momento che lo stesso pio Signore si consegna nelle nostre mani e noi l'abbiamo a nostra disposizione e ce ne comunichiamo ogni giorno? Ignoriamo forse che dobbiamo venire nelle sue mani?
Orsù, di tutte queste cose e delle altre, subito e con fermezza emendiamoci; e ovunque troveremo il santissimo corpo del Signore nostro Gesù Cristo collocato e lasciato in modo illecito, sia rimosso di là e posto e custodito in un luogo prezioso.
Ugualmente, ovunque siano trovati i nomi e le parole scritte del Signore in luoghi sconvenienti, siano raccolte e debbano essere collocate in luogo decoroso.

Nelle vostre mani, come se fosse
la distribuzione di uno snack...
Queste cose sono tenuti ad osservarle fino alla fine, più di qualsiasi altra cosa, tutti i chierici. E quelli che non faranno questo, sappiano che dovranno rendere "ragione" davanti al Signore nostro Gesù Cristo "nel giorno del giudizio" (Cfr. Mt 12,36).

E coloro che faranno ricopiare questo scritto, perché esso sia meglio osservato, sappiano che saranno benedetti dal Signore Iddio.

San Francesco d'Assisi»

(citazione reperita dal blog Bregwin)

sabato 16 marzo 2013

«Il tempo delle carnevalate è finito»

Indipendentemente dal fatto che sia stata davvero pronunciata o semplicemente inventata, l'espressione «Sono finite le carnevalate!» sta diventando troppo rapidamente l'etichetta da appioppare alla liturgia cattolica tradizionale.

Proviamo dunque a sentire cosa ne pensa padre Stefano Maria Manelli, fondatore dei Frati Francescani dell'Immacolata, quando si rivolge ad alcuni giovani frati:
Papa Pio XI celebra nella Cappella Sistina
«La Messa di san Pio V mi fa avvertire con intensità il mio essere sacerdote “in Persona Christi” nella celebrazione del santo Sacrificio».

«Nella Messa antica si può essere facilmente coinvolti nell’evento della Passione e Morte di Cristo…»

«Nella messa di san Pio V si sperimenta il lavoro anche fisico (genuflessioni, inchini, segni di croce, sguardi verso l’alto, spostamenti…) con cui il sacerdote conficit Sacramentum”»

«E' facile capire che nella messa di san Pio V, immersi nel silenzio e nel raccoglimento, si può arrivare molto meglio all’esperienza delle estasi e dei rapimenti, come si legge nelle biografie di parecchi santi».


In un'altra occasione padre Manelli dice:
Marzo 2013: Cappella Sistina
con "contraltare" e seggiole
La vita religiosa ancora più ha subito l’incidenza negativa del Novus Ordo, poiché la vita religiosa è una vita anzitutto liturgica.
[...]
Una liturgia ben fondata, salda e compatta viene dimostrata e garantita come tale soprattutto dalla vitalità e fecondità della vita monastica e religiosa; e, a sua volta, una vita monastica e religiosa che sia salda e in crescita feconda dimostra e garantisce nella maniera più sicura la genuinità della litugia del corpo Mistico di Cristo; mentre una vita monastica e religiosa in rovinosa retromarcia -come è oggi- non può che essere testimonianza di una liturgia in deficit di consistenza e di forza vitale.
[...]
È un dato triste ma reale che nella confusione postconciliare, i religiosi (salvo rare eccezioni) non solo hanno risentito ma hanno anche propagato tra i fedeli le deformazioni liturgiche che nell’ultimo quarantennio sono andate estendendosi in modo esponenziale. E con tali deformazioni hanno propagato anche errori dottrinali.

Santità! Queste carnevalate qui,
quando finiranno?
A questo punto chiediamo ai nostri cari fratelli neocatecumenali: le cose che padre Manelli dice della Messa "tridentina", si possono forse dire delle liturgie neocatecumenali?

Il "coinvolgimento" che si sperimenta nella liturgia kikista-carmenista (che, secondo Kiko, porta i fratelli «dalla tristezza all'allegria»), riuscirebbe mai a dare altrettanta vitalità e fecondità nella vita monastica, religiosa, laicale? E come ha fatto la Chiesa Cattolica a sopravvivere per venti secoli senza il metodo kikiano-carmeniano?

Oggi è sabato: questa sera continuerete a disubbidire alle norme che Benedetto XVI vi ha dato? farete il balletto col girotondo? utilizzerete la bislacca menorà a nove fuochi? farete la "comunione seduti"? Norme che Benedetto XVI non si è mai rimangiato (e avete fatto una figuraccia barbina quando avete tentato di auto-approvarvi a sua insaputa), norme che non sono certo scadute con le sue "dimissioni". Tanto più che sono presenti nel vostro stesso Statuto...

venerdì 15 marzo 2013

«Un vento conciliarista che vi dovrebbe far riflettere, o forse allarmare»

Ieri sera abbiamo ricevuto questo esultante commento firmato da NC che guarda la diretta della Santa Messa del Papa:
Celebrazione Versum Populo.
Altare mobile in Cappella Sistina. Ancora qualche problema con le tovaglie (si vede tutta la parte in legno dietro...): gliele presteremo sicuramente.
Niente panche con inginocchiatoi per i Cardinali, ma comunissime sedie.
Chierichetti a sinistra e a destra, dietro alla Mensa Eucaristica.
Mega Concelebrazione (mi sono perso la Consacrazione, non so se è stata fatta da tutti vicino all'altare, ma certamente vanno tutti in processione a servirsi del Corpo e Sangue di Cristo, senza che il Santo Padre li distribuisca loro, e quindi sicuramente è una concelebrazione).
Vescovo fra Vescovi.
Questo Papa non si metterebbe la Tiara neppure sotto tortura.
certo c'è un vento conciliarista che vi dovrebbe far riflettere, o forse allarmare.
Vergognosa e intollerabile arretratezza liturgica:
padre Pio celebra la Messa "tridentina" ed
amministra la Comunione in ginocchio e alla bocca!
Siccome siamo particolarmente allergici all'ipocrisia, diciamoci le cose senza giri di parole, dando a Cesare quel ch'è di Cesare, e a Dio quel ch'è di Dio.

E dando al Papa ciò che il Papa, in quanto tale, deve avere da tutti i cattolici: dopotutto il Signore vede benissimo nel segreto dei cuori. E ci permette di vedere segnali di speranza, oltre a farci capire che un pontificato non si giudica dalle prime 24 ore.

Certo, in neanche 24 ore di pontificato abbiamo tutti potuto assaggiare la vittoria della "discontinuità", quel «vento conciliarista» che senza dubbio ci fa «riflettere» e ancor più ci fa «allarmare».

Non ci vuole troppa intelligenza per capire che tutti gli indiavolati fautori della "discontinuità" e del variopinto "conciliarismo" - a cominciare dai neocatecumenali - cercheranno di trasformare la sopradescritta sensibilità del Papa in legge ferrea ineludibile e retroattiva (a loro favore, s'intende). Il che è l'esatto contrario di ciò che hanno fatto nei confronti di Benedetto XVI e spiega benissimo (se mai ce ne fosse ancora bisogno) su cosa si basi il carisma di tutti costoro (a cominciare dal Cammino): sulla menzogna.

Neocatecumenalismo e
"vento conciliarista": ecco per
esempio la prima Comunione
ridotta a distribuzione di snack
A tutti quelli che stanno cantando vittoria sarà inutile ricordare che lo Spirito Santo non è una bacchetta magica, non è il telecomando di un robot, non è un tappabuchi automatico, e nemmeno è lo slogan da utilizzare per dare una parvenza di eleganza e prestigio alle proprie bislacche invenzioni.

Sarà inutile ricordare loro che papa Francesco non è un robot, e che senza dubbio deluderà moltissimi di coloro che oggi plaudono forsennatamente, semplicemente perché costoro propugnano idee diversissime, mutevoli, contrastanti (cosa ne sarà di tanta cagnara qualora prendesse decisioni contro il Cammino?).

Sarà fatica sprecata ricordare loro che qui difendiamo non delle idee ma una vita già vissuta: la vita, l'insegnamento, l'esempio di innumerevoli santi, il bimillenario, solido, chiaro, coerente Magistero, la meravigliosa e ricchissima Tradizione.

Perciò domandiamo serenamente ai neocatecumenali: che cos'è la Tradizione? nel Cammino cosa vi viene insegnato in merito? E la "Tradizione vivente" può permettersi di contraddire la Tradizione della Chiesa, oppure il Papa è semplicemente il custode del deposito della fede?

Seconda domandina: alla luce della Tradizione, cosa hanno in comune le tre foto presentate in questa pagina? Se il vento "conciliarista" è così santo e intoccabile, come mai padre Pio ne era profondamente allergico e ferocemente critico?

mercoledì 13 marzo 2013

Franciscus



Pur non essendo legati all'Opus Dei, facciamo nostre le parole del prelato Echevarría:

Per i cattolici di tutto il mondo è un momento di grande gioia: il nostro nuovo Papa Francesco è il 266° successore di Pietro. Dal momento in cui abbiamo visto la fumata bianca lo abbiamo accolto con profonda gratitudine ed ora, seguendo l'esempio di Benedetto XVI, gli manifestiamo una incondizionata venerazione ed obbedienza. E anche il nostro affetto e le nostre preghiere, in continuità con quelle che abbiamo elevato insieme al Papa nella sua prima apparizione dalla Loggia delle Benedizioni della Basilica di San Pietro.

In questo momento di emozione, nel quale si tocca con mano l'universalità della Chiesa, rinnovo al nuovo Romano Pontefice un'adesione completa alla sua persona e al suo ministero,  certo di esprimere in tal modo i sentimenti dei fedeli - laici e sacerdoti - della Prelatura dell'Opus Dei. Tutti ci affidiamo alle preghiere di Sua Santità per contribuire efficacemente, con gioiosa disponibilità, al compito dell'evangelizzazione che il Papa ha menzionato nel suo primo saluto alla Chiesa.

In queste settimane di serena attesa, si è parlato molto del peso che sta sulle spalle del Santo Padre. Ma non dimentichiamo che il Papa conta sull'aiuto di Dio, sull'assistenza dello Spirito Santo e sull'affetto e la preghiera dei cattolici, e di milioni di persone di buona volontà.

Come ha sempre consigliato San  Josemaría Escrivá, chiedo oggi al Signore in modo   molto speciale che tutti noi cristiani abbiamo "una sola volontà, un solo cuore, un solo spirito: perché «omnes cum Petro ad Iesum per Mariam!» — tutti, ben uniti al Papa, andiamo a Gesù, per mezzo di Maria" (Forgia, 647).

             + Javier Echevarría
             Prelato dell'Opus Dei


lunedì 11 marzo 2013

Un "papa amico" che "celebri Kiko"?

Leggo sul blog Opportune Importune:
Nel loro delirio di onnipotenza, ratificato peraltro da decenni di appoggi autorevolissimi e di non meno eloquenti silenzi dinanzi alle eresie, ai sacrilegi ed agli abusi di cui si sono resi responsabili, i gerarchi del movimento neocatecumenale vanno gonfiandosi di inane soddisfazione - tristi rane nel putrido stagno conciliare - per i nefasti pronostici che qualche curiale ha loro rivelato.

D'altra parte, che nella Curia Romana e nello stesso Sacro Collegio si possano annoverare non pochi sostenitori della setta di Kiko Arguello è cosa ahimè nota. Meno noto è che si vociferi insistentemente tra gli adepti che il prossimo Papa sara uno dei loro, e che entro tre mesi dall'elezione al Soglio costui celebrerà nel loro sacrilego rito.

Non si capisce se la loro certezza derivi da locuzioni interiori col Principe delle Tenebre o da trame indegne in seno al Conclave.
Una liturgia kikista-carmenista
C'è da rispondere che quella assurda evenienza è da criticare con forza proprio perché amiamo il successore di Pietro.

E c'è da aggiungere che benché sia "mediaticamente" forte, agli occhi di Dio non cambia nulla, e pertanto non può cambiare nulla nemmeno ai nostri occhi: gli strafalcioni restano strafalcioni anche se li celebrasse il Papa. Non si tratta di un fatto giuridico umano: la liturgia riguarda i "diritti di Dio".

Quanto segue qui sotto è un tentativo di dare qualche spunto di riflessione per verificarlo senza aver bisogno di banalizzazioni e riduzionismi come: «io sto sempre dalla parte del Papa».

Che nel Cammino si "vociferi" è abbastanza normale. Gli iniziatori stessi, a costo di fare figuracce planetarie, fanno annunci roboanti e giganteschi fino a rendersi totalmente ridicoli.

Che nel Cammino si "canti vittoria" qualunque sarà il prossimo Papa, è assolutamente ovvio. Ricordate? Quando Benedetto XVI proibì gli strafalcioni liturgici neocatecumenali, gli iniziatori risposero ipocritamente per iscritto: siamo contentissimi! e il loro ineffabile Gennarini si faceva intervistare per proclamare: è la prima volta che la Santa Sede accetta delle variazioni liturgiche... E da allora nulla è cambiato: nel Cammino si è sempre disubbidito al Papa, sempre facendo tutto a sua insaputa, e addirittura millantando che Benedetto XVI andrebbe contro i vescovi pur di accontentare Kiko...

Significativa anche la scadenza dei "tre mesi", come vendetta contro Benedetto XVI. Che nei suoi primi mesi di pontificato convocò il Tripode neocat per comunicare le decisioni contro la liturkikia e nel giro di poche settimane le fece mettere per iscritto e le confermò personalmente ai neocatecumenali auto-invitatisi da lui. Evidentemente questo smacco brucia ancora parecchio, ai vertici del Cammino. Non bisogna mai sottovalutare «l'orgoglio e l'arroganza» di Kiko.

Alla luce di tutto questo, proviamo a fare l'ipotesi che un futuro Papa accetti di celebrare gli strafalcioni inventati da Carmen e Kiko. Persino con la "comunione seduti" e col bislacco menorà a nove fuochi e che magari partecipi pure al "trenino-balletto-girotondo" finale (come ha fatto qualche augusto cardinale a Roma).

Che significato assumerebbe questo gesto?

Eh, sì, perché non tutti i gesti del Papa hanno uguale valore.

Ripeto, perché sono sicuro che qualcuno farà finta di non capire: non tutti i gesti del Papa hanno uguale valore.

Prendiamo per esempio Benedetto XVI in due particolari momenti del suo pontificato: nel momento in pregava insieme al gran muftì islamico turco, e nel momento in cui promulgava il Summorum Pontificum.

In quale dei due momenti "pasceva" meglio il gregge affidatogli dal Signore? Quando compiva quel discutibile gesto "politico" di pacificazione, oppure quando restituiva dignità alla liturgia?

Non tutti i gesti del Papa hanno uguale valore. Chi pensasse il contrario, o è stupido, o è in malafede. Come lo sono quelli che -a seconda della convenienza o di continuo- si atteggiano a "più papisti del Papa".

Può capitare, durante il Pontificato, di non essere docile allo Spirito Santo. Essere il Pontefice non significa essere un Robot pre-programmato dallo Spirito.

Lo stesso apostolo Pietro commise almeno un errore, che san Paolo apostolo dovette condannargli in pubblico (cfr. Gal 2,11-21). Era -guarda caso- un errore di politically correctness, era cioè un gesto che Pietro considerava di pacificazione, utile, necessario, non dannoso... e che invece generava scandalo nei fedeli.

Ora, il chiamare "errore" l'errore, non è mai stato considerato un "giudizio temerario", non è mai stato considerato fonte di "critiche" o di "mancanza di rispetto" nei confronti del primo Papa della Chiesa. E senza l'intervento pubblico di san Paolo lo scandalo non poteva che crescere.

Tutto questo lo si può affermare indipendentemente dal fatto che Pietro avesse commesso quell'errore in buona fede, per vigliaccheria, o per forza maggiore.

Riassumiamo quanto detto finora:
  • premesso che per i neocatecumenali conta più Kiko che il Papa,
  • premesso che un Papa non è un robot telecomandato dallo Spirito,
  • chiediamo: un Papa che promuova gli strafalcioni fabbricati da Kiko e Carmen, come va considerato?
Facciamo un altro passo avanti e chiediamoci: se invece di celebrare gli strafalcioni di Kiko, celebrasse la liturgia "tridentina", il livello di autorevolezza dei due gesti sarebbe uguale?

Un futuro Papa è più evidentemente "successore di Pietro" se celebra il rito "tridentino" (quello in cui si sono santificati padre Kolbe, don Bosco, Edith Stein, Pio X, padre Pio...) oppure se celebra il rito "kikiano" (quello fabbricato da Carmen Hernàndez e Kiko Argüello)?

Vedete, qui non conta il fatto che i neocatecumenali sono lo 0,1% del gregge affidato al successore di Pietro.

Conta invece il fatto che il primo gesto è basato sulla Tradizione (sulla vita di tantissimi santi attraverso tantissimi secoli), e l'altro gesto è un favore fatto ad una fazione con "potenti appoggi", utile per il prestigio di quest'ultima e per "validare" un rito che i suoi stessi inventori dichiarano inventato: per esempio quando vanno elucubrando che «Gesù disse “Questo è il mio Corpo” (a significare la rottura della schiavitù dell’uomo all’egoismo e al demonio) e “Questo è il mio Sangue” (a significare la realizzazione di un nuovo esodo per tutta l’umanità)...»

Vedete, perfino il più progressista dei liturgisti finirebbe per commentare che nel caso "tridentino" il Papa celebra qualcosa che fa parte della vita della Chiesa, mentre nel caso "kikiano" celebra nel migliore dei casi un'operazione politically correct.

Non c'è nulla da meravigliarsi che ogni ecclesiastico, fino all'ultimo dei diaconi, è quotidianamente tentato di operazioni "mondane" a scapito della Verità di fede. Specialmente in quest'epoca dove regnano i mezzi di comunicazione, e dove qualsiasi concessione al banale e al falso, qualsiasi gesto di debolezza, guadagna immediatamente fiumi di applausi dal mondo.

Chi vive normalmente la fede cattolica si addolora quando il Papa è bersagliato dai nemici della Chiesa, ma si addolora ancora di più quando il Papa mette da parte il suo triplice munus (guidare, insegnare, santificare) per "concedere" qualcosa al mondo (poiché ci è stato insegnato che noi non siamo del mondo). E si addolora ancora di più quando il gesto del Papa, da qualsiasi cosa sia dettato, rema contro la Chiesa che già sta attraversando una terribile tempesta.

L'eventuale e malaugurata celebrazione del rito kikiano-carmeniano avrebbe come unico risultato lo scandalo e la confusione per i fedeli ("dunque uno può inventarsi una liturgia e farsela «approvare»? dunque, più che la Tradizione e il Magistero, contano i «potenti appoggi»?") grazie ovviamente al tam-tam mediatico e alla trionfante propaganda dei vertici del Cammino.

Il Papa resta Papa, così come Pietro restò Pietro dopo che Paolo gli fece notare l'errore. Nessuno si è mai sognato di criticare Paolo perché ha osato chiamare "errore" l'errore opponendosi «a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto». Nessuno onesto e sano di mente si è mai sognato di difendere l'errore di Pietro, con la scusa che solo così si difende Pietro.

I neocatecumenali urleranno "il Papa celebra la liturgia di Kiko, dunque è buona".
Ma faranno finta di non sentire quando gli parlerete, per esempio, di come il Papa amministrava la Comunione, gesto che loro hanno (erroneamente!) considerato come privo di valore.

I neocatecumenali urleranno che "il Papa celebra la liturgia di Kiko, e voi la criticate".
Ma faranno finta di non sentire quando ricorderete loro che il Papa è il custode, non un ufficio di certificazioni di invenzioni altrui, e che la critica non è né al Papa né al papato, ma allo scandalizzare il 99,9% dei restanti cattolici piuttosto che confermarli nella fede.

Queste cose vanno dette e ripetute: specialmente alla vigilia del Conclave, dove legioni intere di diavoli sono freneticamente al lavoro per sconquassare la Chiesa e danneggiarla il più possibile, pur sapendo che le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.

Affido la conclusione all'ultimo editoriale di Radicati nella fede:
In tutto questo disastro chi ama veramente il Papa? Ama il Papa chi è preoccupato della fede. Il successore di Pietro c'è nella Chiesa come custode della fede e dell'unità disciplinare che da essa discende. Allora amare il successore di Pietro, amare il Papa, vuol dire amare il suo compito, cioè il custodire il deposito e il confermare nella fede i fratelli.
Amare il Papa fino alle lacrime, vuol dire amare la fede cattolica fino a morire per essa, come i martiri.