«Ieri mattina io sono andato alla Sistina a votare tranquillamente. Mai avrei immaginato quello che stava per succedere… Io non ho né la sapientia cordis di Papa Giovanni, né la preparazione e la cultura di Papa Paolo, però sono al loro posto, devo cercare di servire la Chiesa. Spero che mi aiuterete con le vostre preghiere».
Era il 26 agosto del 1978 quando il Patriarca di Venezia, il cardinale Albino Luciani, veniva eletto sul Soglio di Pietro dai cardinali riuniti in Conclave. Con queste parole si presentava ai fedeli di tutto il mondo il giorno successivo. Prese il nome di Giovanni Paolo I: un doppio nome, per la prima volta nella storia bimillenaria della Chiesa, in ossequio ai suoi diretti predecessori: Giovanni XXIII che lo aveva consacrato vescovo, e Paolo VI che gli aveva concesso la porpora.
Trentatré giorni, tanto durò il suo pontificato fino alla notte del 28 settembre 1978, quando il corpo del Pontefice fu ritrovato senza vita nell'appartamento privato.
Un pontificato troppo breve, sufficiente tuttavia a far «progredire la Chiesa lungo la dorsale di quelle che sono le strade maestre indicate dal Concilio: la risalita alle fonti del Vangelo e una rinnovata missionarietà, la collegialità, il servizio nella povertà ecclesiale, il dialogo con la contemporaneità, la ricerca dell’unità con i fratelli ortodossi, il dialogo interreligioso, la ricerca della pace», come ricorda il cardinale Beniamino Stella, prefetto emerito della Congregazione per il Clero e postulatore della Causa di canonizzazione. «Papa Giovanni Paolo I è stato e rimane un punto di riferimento nella storia della Chiesa universale, la cui importanza è inversamente proporzionale alla durata del suo brevissimo pontificato», ricorda il cardinale su L’Osservatore Romano.
A distanza di 44 anni dall’elezione e dalla morte, il 4 settembre 2022 il "papa del sorriso" verrà beatificato, secondo il desiderio manifestato da decenni da migliaia di fedeli.
Benedetto XVI non aveva dubbi. «Personalmente sono convintissimo che fosse un santo. Per la sua grande bontà, semplicità, umiltà. E per il suo grande coraggio. Perché aveva anche il coraggio di dire le cose con grande chiarezza, anche andando contro le opinioni correnti. Sì, sono convintissimo che sia un santo!» disse Josef Ratzinger.
I neocatecumenali naturalmente, sempre a caccia di approvazioni pontificie, da tempo hanno provveduto a fregiarsi anche della sponsorizzazione di questo Papa, nonostante le sue poche settimane di pontificato non gli avessero consentito di occuparsi del Cammino neocatecumenale; hanno sempre vantato infatti il suo appoggio in qualità di Patriarca a Venezia e fatto opportunamente circolare una sua foto vicino a Carmen Hernandez.
Ma, per loro sfortuna, nel 2018 è stata pubblicata una biografia di papa Luciani "ex documentis" - tutt'altra cosa rispetto alla biografia lacunosa e fantasiosa stilata per la canonizzazione di Carmen Hernàndez - dalla quale abbiamo tratto alcuni elementi che fanno comprendere la posizione per nulla entusiasta del prossimo beato nei confronti del Cammino neocatecumenale e, in generale, nei confronti di improvvisati «liturghi creanti e inventanti» e di chi pretendeva di asservire la gerarchia della Chiesa ad un proprio supposto carisma.
La restante parte di questo articolo è tratta direttamente da quella biografia, un volume bellissimo dalle dimensioni impegnative, molto interessante per chi volesse approfondire la figura del papa Luciani.
Albino Luciani partecipò, in quanto vescovo di Vittorio Veneto
(1958-1970) ai lavori del Concilio Vaticano II, di cui fu entusiasta
sostenitore. Nel periodo immediatamente successivo al Concilio, in cui
non mancavano i fermenti di nuove forme di annuncio, di istituzioni per
la preparazione dei laici, di rinnovamento della catechesi, «seguiva con
attenzione le novità che coglieva dalla stampa, per captare errori
dottrinali e tendenze pericolose, sulle quali poi interveniva con
prontezza e chiarezza, precisando dove stava il pericolo, sia nella fede
che nella morale, in particolare per la famiglia. Questa sua
preoccupazione per l'integrità della fede risultava chiaramente dagli
scritti» (dal racconto del segretario don Carrer).
Non che non avesse stima dei laici.
Scriveva
infatti al cardinale Urbani «la gerarchia ha veramente stima del
laicato e, pur rimanendo Chiesa docente, essa sa farsi, in un certo
senso, discente, consultando I laici nel settore in cui hanno
competenza».
Nel contempo segnalava i pericoli derivanti dai proclami
di chi esagerava l'importanza dei carismi a scapito della gerarchia,
con interpretazioni fallaci del Concilio stesso.
Non tralasciò di
intervenire, con una relazione, su "Alcuni errori teologici moderni",
che divenne, da lettera ai sacerdoti, opuscolo per tutti i fedeli,
chiamato "Piccolo sillabo" (il
Sillabo era un elenco di proposizioni allegate dell'enciclica "Quanta cura" con cui Pio IX
condannava i principali errori dei tempi moderni).
Dopo un Concilio che non aveva
condannato nessuno, Luciani elencava una serie di errori moderni in
materia di fede; dichiarava di non avere paura del nuovo e di preferire
il dialogo alla condanna, ma anche di non poter transigere di fronte ad
interpretazioni del Concilio che mettevano in discussione la fede e il
magistero.
Di questo opuscolo diceva, infatti, rivolgendosi ai
sacerdoti: «non un sillabo dunque che vi metta in corpo la passione
dell'eresiologo, che cerca l errore per poi scagliare l'anatema oppure
del crociato in guerra contro gli infedeli, dell'esorcista alla caccia
delle streghe! Un sillabo che, mettendovi in faccia all'errore, talora
esistente, vi innamori della verità e della verità vi porti a fare
propaganda in modo più adatto e suasivo».
Richiamando l'ingiustizia
di chi attribuiva al Concilio i problemi sorti successivamente, invocava
prudenza e cominciava a porre limiti ai suoi carismatici «liturghi
creanti e inventanti, invasi da misterioso e strano staffilococco
liturgico».
Mantenne questa posizione anche quando, nel 1970,
divenne Patriarca a Venezia. Dalle sue note in visita ad una parrocchia
leggiamo:
«Pratica religiosa. Il parroco la giustifica abbastanza
buona ma 'tradizionalista'. Ahimè! Per rinnovarla, egli butta giù novene
e pratiche (la chiesa è un santuario mariano) introduce innovazioni
arbitrarie nella Messa (niente "credo" e preghiera dei fedeli; riprova
si dica: Signore non son degno prima della comunione) dissuade dalla
confessione frequente, non vuole la prima comunione comunitaria (e
quindi non vi prepara i fanciulli), i fedeli rimangono sconcertati...»
Nonostante
le sue molte riserve, nei confronti del laicato organizzato la
posizione di Luciani è molto aperta e disponibile, tesa a favorire il
dialogo e lo dimostra chiaramente, mentre è Patriarca di Venezia,
con Comunione e Liberazione, con i Focolarini e l'Opus Dei.
Più "riservata"
appare invece la sua posizione sul movimento dei neo-catecumenali sul quale già
nel 1974 Luciani aveva riferito alla conferenza triveneta affermando:
«è un fenomeno da controllare, in linea proprio con le preoccupazioni manifestate da Paolo VI nel suo discorso al Sinodo e in un altro discorso del maggio 1974».
Nell'aprile
1976 viene interpellato dalla Congregazione per la dottrina della fede,
della quale era consultore, proprio sulla questione dei
neo-catecumenali, sui quali «esistono valutazioni discordi». A Luciani è
richiesto di riferire delle attività del movimento a Venezia ma anche
di inviare un «parere» articolato.
Riportiamo di seguito il testo della lettera Luciani-Seper in cui il Patriarca di Venezia cardinale Albino Luciani risponde alla
consultazione promossa dalla Congregazione per la dottrina della fede
sul tema dei gruppi neo-catecumenali.
L'evidenziazione di alcune frasi con i caratteri in grassetto è nostra. A fianco, sono consultabili le pagine della biografia di Papa Giovanni Paolo I in cui la lettera viene riportata.
Venezia 8 maggio 1976
Signor Cardinale
In risposta alla Ven. Sua del 29.4.1976 (n.36/75), ecco qualche nota:
1.
A Venezia le Comunità neo-catecumenali sono nate nel modo seguente. Il
Parroco di Santa Maria Formosa mi comunicò nel novembre 1971 che
desiderava fosse tenuta in parrocchia una missione. Lodai l'iniziativa,
pensando si trattasse di una “missione” tradizionale sia pure aggiornata
nei metodi. Invece, quando mi presentò i“missionari" mi trovai di
fronte due sacerdoti barbuti uno siciliano uno romano che mi parlarono
di “annuncio” della parola e di altre cose per me nuove. Ormai erano sul
posto, il parroco che li aveva chiamati è buono e prudente, permisi che
la “missione" continuasse. Nel gennaio 1972, il parroco mi disse che
dalla missione stava sorgendo una “comunità” e mi pregò volessi una sera
andare a consegnare agli aderenti la Bibbia. Lo feci. Richiesto in
seguito di approvare la “comunità” diedi una approvazione verbale ad
experimentum.
2. Da questa prima Comunità ne spuntarono altre a
Venezia e a Mestre. Richiesto da qualche parroco di permetterle, ogni
volta manifestai perplessità, invitando a riflettere bene prima di
cominciare; chi insisté a voler provare ebbe un permesso ad
experimentum.Qualche parroco cominciò, poi desisté, deluso. Oggi una o
più “comunità” esistono in sette parrocchie della Diocesi Veneziana.
3.Confesso
che non ho ancora ben capito che cosa precisamente intendano e vogliano
i promotori. I parroci che hanno qui le “comunità”, in genere, sono
persone serie e si dicono contenti di qualche buon frutto che
riscontrano. Fa su di essi buona impressione che il Papa abbia
l'8.5.1974 rivolto un breve saluto a un gruppo di neo-catecumenali
presenti a una udienza generale. Le parole del Papa - riportate anche da
“L'Osservatore Romano" - vengono, con esagerazione, propagandate come un
riconoscimento esplicito. Un decreto del 7.2.1976 del Card.Tarancon,
fotocopiato e mostrato, serve pure di appoggio. Per il passato si citava
l'approvazione di mons. Morcillo, arcivescovo di Madrid e del Card.
Dell'Acqua.
4. Perplessità in me sorte sono le seguenti:
a) alcuni
dei neo-catecumenali mi sembrano un po' fanatici: sentono di avere lo
“Spirito”: chi, invitato, rifiuta di associarsi ad essi, resiste allo
Spirito! Molti altri, però, sono equilibrati:a mio giudizio, è troppo
scarsa la preparazione per autochiamarsi “missionari” e predicare.
b)
In qualche luogo ci si prende delle “libertà” in liturgia: la “pace"
(gran abbracci e baci anche tra uomini e giovani signorine e suore) si
dà e si riceve prima dell'offertorio; niente“Credo" perché si è
catecumeni; niente particole, ma un unico grosso pane comune consacrato,
poi spezzato e distribuito (i frammenti!); “Cristo è risorto”, gran
slogan e si ha fiducia che, “annunciato” e accettato questo, il resto
non abbia poi molta importanza; preghiere improvvisate con frammiste
ingenuità (un prete: “grazie,Signore, stasera, finalmente, ho scoperto e
sento cos'è la Chiesa!”).
c) Non di domenica, ma la notte tra sabato e
domenica andrebbe ricordata la Resurrezione. Qualche parroco si dichiara
sfiancato: “vegliare gran parte della notte con il gruppo
neo-catecumenale e poi presiedere a tutte le liturgie domenicali della
Parrocchia!".
d) i "catechisti" o "missionari" sono inviati nelle
parrocchie, che ne fanno richiesta, dalla "comunità": il vescovo né
controlla se hanno la preparazione necessaria né viene interpellato. In
qualche caso è successo che si trattava di persone ben intenzionate,
piene di spirito di sacrificio, ma che in buona fede insegnavano cose
non certe o solo alcuni punti, sempre quelli, della dottrina cristiana.
e)
Mi sembra un po' artificiale e macchinosa l'architettazione:
precatecumenato di due anni; primo scrutinio e passaggio provvisorio al
catecumenato; secondo scrutinio e passaggio definitivo al catecumenato;
elezione o rinnovazione delle promesse battesimali ed entrata nella
Chiesa. Tutto ciò viene chiamato cammino ecclesiale, fare esperienza
dell'essere Chiesa. Induce, come tentazione sottile, che chi non fa
questo cammino è Chiesa di serie B.
5. Tali catechisti - anche
sposati - chiedono adesso il Diaconato.Vedo la cosa molto delicata.
Primo, non c'è garanzia di preparazione competente (siamo anche in
contrasto con quanto stabilito dalla S. Sede e dalla CEI circa la
preparazione). Secondo, e le donne “catechiste"? Diaconesse anch'esse?
Terzo, i diaconi fanno parte del clero: la diocesi si accolla l'onere
del mantenimento, della pensione, eccetera? Sinora, qui, i catechisti
sono aiutati economicamente dalle “comunità”. Ma poi? C'è ad esempio,
qui, una coppia: il marito, laureato anche in teologia, ha rinunciato
all'insegnamento universitario e s'è dato generosamente - d'accordo con
la sposa - alla catechesi sia in Italia che in Austria. Ma quando i
figli saranno grandi? Non c'è assicurazione né pensione prevista.
6. Queste
sono le perplessità. Per giustizia, devo riconoscere che ci sono anche -
nei risultati - dati molto positivi. I parroci poi, che hanno
perseverato nell'iniziativa, mi dicono: con questo metodo abbiamo delle
ottime persone, anche giovani, che aiutano nella pastorale, ne
recuperiamo altri che erano lontani, mentre non ci riesce di
rivitalizzare l'Azione Cattolica.
Chiedo venia del poco che ho potuto esporre, mentre, con sensi di venerazione, mi confermo
Albino Card.Luciani Patriarca di Venezia
A S.Eminenza Rev.ma Card. Franjo Seper
Prefetto della S.Congregazione Per la dottrina della fede
ROMA
In estrema sintesi, il cardinal Luciani, nella sua lettera alla Cdf, dice di aver approvato ad experimentum le esperienze di Cammino nella sua diocesi esclusivamente sulla fiducia nei confronti dei "buoni" parroci che gliele avevano richieste e sulla loro assicurazione (noi sappiamo non corrispondente al vero) che il Cammino avesse apportato qualche buon frutto e collaborazione in parrocchia. Forse anche i parroci credevano nelle promesse allora fatte dagli iniziatori che le comunità si sarebbero ben presto sciolte nella parrocchia e le hanno riferite al Patriarca come fossero già realizzate.
Le valutazioni personali di Albino Luciani sono comunque tutte negative: dalla pessima impressione fatta dai due sacerdoti barbuti ai quali permette di fare la prima catechesi a santa Maria Formosa solo perché ormai "erano sul posto" (dov'erano Kiko e Carmen o i soliti super catechisti laici?), alla delusione di molti parroci; dalla poca chiarezza negli obbiettivi del movimento ("non ho ancora ben capito che cosa precisamente intendano e vogliano i promotori") alla esagerazione nel presentare come approvazioni un discorso di Paolo VI, il decreto di un cardinale o l'appoggio di Morcillo; dal fanatismo di alcuni con la pretesa di detenere lo Spirito, all'accusa di resistere allo Spirito verso chi non dà loro credito; dalla scarsa preparazione e l'inadeguatezza alla predicazione, alle "libertà liturgiche", l'omissione del Credo, il "grosso pane", i frammenti! (con punto esclamativo che dice molto!); dagli slogan improvvisati alle dichiarazioni considerate benevolmente ingenue di sacerdoti come "grazie,Signore, stasera, finalmente, ho scoperto e sento cos'è la Chiesa" (questa il cardinale Luciani deve averla sentita personalmente, magari alla consegna della Bibbia a cui era stato invitato); dall'impegno stressante dei sacerdoti per seguire le comunità in ore notturne, all'artificialità del percorso e la tentazione di ritenere chi non frequenta il Cammino Chiesa di serie B; dalla perplessità per le richieste di diaconato, anche femminile, alle preoccupazione sulla sostenibilità finanziaria del mantenimento delle famiglie itineranti e sul futuro dei figli.
Insomma, com'era nello stile del prossimo beato, con semplicità e nitidezza, e scusandosi del "poco" che ha saputo dire, il cardinale Albino Luciani, Patriarca di Venezia, in procinto di salire al soglio pontificio, aveva già inquadrato assai bene il Cammino neocatecumenale e manifestato preoccupazioni non solo per i sacerdoti, per le problematiche nelle parrocchie, per gli abusi liturgici, per i concetti trasmessi da persone fanatiche, impreparate, ripetitive, ma anche per le famiglie e i figli di chi si prestava a partire in missione.
D'altronde, la sua personalità e il suo profilo di pastore ma prima di tutto di credente, differiva e confliggeva frontalmente con i progetti e la "spiritualità" neocatecumenale. E non poteva essere altrimenti!
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Papa Giovanni Paolo I riceve con grande affetto e semplicità i suoi fedeli della diocesi di Belluno-Feltre all'indomani dell'elezione a pontefice |
Basta pensare alla differenza fra la pretesa santità di categoria superiore accampata per l'iniziatrice del Cammino, la ricca e viziata Carmen Hernàndez e la santità popolare, pulita e semplice come un ruscello delle sue montagne di Albino Luciani.
Scrive infatti nell'introduzione alla sua biografia il cardinale
Beniamino Stella, postulatore della causa di beatificazione:
«Credo
nella santità di vita cristiana di Giovanni Paolo I, quella che si vive
nell'umiltà e nella dedizione quotidiana alla Chiesa e al prossimo in
necessità, ispirate dalle virtù teologali, praticate con fervore
interiore, e dove la croce e il sacrificio, e talvolta l'umiliazione,
contribuiscono a rendere il discepolo di Gesù più vicino al suo
Signore.»