Il Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici al V Colloquio di Roma
venerdì 29 gennaio 2010
Ryłko: "il 'nuovo stile di collaborazione' tra sacerdoti e laici nei movimenti ecclesiali e nelle nuove comunità"
Il Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici al V Colloquio di Roma
mercoledì 27 gennaio 2010
Lefebvriani/Di Segni: Su Concilio Chiesa decida, o noi o loro
"Cammino ebrei-cattolici tormentato, speriamo irreversibile"
"Se la pace con i lefebvriani significa rinunciare alle aperture del Concilio, la Chiesa dovrà decidere: o loro o noi!": così il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo di Segni, in un passaggio di un'intervista al mensile 'Il consulente Re' uscito il giorno prima della giornata della memoria.
Di Segni rievoca, al proposito, il discorso pronunciato in sinagoga in occasione della recente visita del Papa, quando, in riferimento alle "aperture" del Concilio vaticano II, ha affermato: "Se venissero messe in discussione, non ci sarebbe più possibilità di dialogo". Ora il rabbino spiega, in riferimento al discorso del giorno prima del Papa alla congregazione per la Dottrina della fede: "E' stata l'ultima aggiunta al discorso, dopo che venerdì mattina 15 gennaio c'è stata una strana apertura ai lefebvriani...".
Che il cammino tra ebrei e cattolici "sia tormentato - afferma più in generale Di Segni - è indubbio, che sia irreversibile è una speranza". Quanto alla definizione usata da Giovanni Paolo II per descrivere gli ebrei - "fratelli maggiori" - il rabbino spiega: "Questa definizione è molto ambigua dal punto di vista teologico, poiché i 'fratelli maggiori' nella Bibbia - ne ho parlato nel mio discorso - sono quelli cattivi, quelli che perdono la primogenitura... Parlare quindi di 'fratelli maggiori' dal punto di vista teologico significa dire: Voi c'eravate, adesso non contate più niente!". L'accenno fatto alle coppie di fratelli biblici nel discorso in sinagoga ha colpito il Papa, racconta poi Di Segni: "Dalla posizione ieratica in cui si era messo all'inizio della cerimonia, ha incominciato a mostrare grande interesse. Non solo: alla fine del mio discorso m'ha detto che l'argomento era molto importante, ciò che ha evidenziato ancora nel nostro colloquio privato".
Di Segni loda, infine, la Comunità di Sant'Egidio: "E' un bell'esempio di collaborazione, è stata fondamentale. Ha fatto di tutto per promuovere la visita, ha fatto molto per salvarla nel momento della crisi".
© Copyright Apcom, 26 gennaio 2010
"Il cristianesimo era quella forma di giudaismo ampliata fino ad attingere l’universalità, nella quale ora veniva pienamente donato quanto l’Antico Testamento fino ad allora non era stato in grado di dare. La fede di Israele presentata nella ‘Septuaginta’ mostrava l’accordo tra Dio e il mondo, tra ragione e mistero. Essa dava direttive morali, ma mancava di qualcosa: il Dio universale era comunque legato a un determinato popolo; la morale universale era legata a forme di vita molto particolari, che fuori di Israele non si potevano affatto praticare; il culto spirituale era pur sempre vincolato ai rituali del Tempio che certo si potevano interpretare simbolicamente, ma in fondo erano superati dalla critica profetica e non potevano essere fatti propri da parte di animi in ricerca. Un non ebreo poteva trovare posto soltanto ai margini di questa religione, rimanere ‘proselito’, poiché l’appartenenza piena era legata alla discendenza carnale da Abramo, a una etnia. Rimaneva il dilemma se era necessario, e in quale misura, l’elemento specifico giudaico per poter servire rettamente questo Dio e a chi spettasse tracciare il confine tra quanto era irrinunciabile e quanto invece era storicamente accidentale o superato. Una piena universalità non era possibile, poiché non era possibile un’appartenenza piena. A questo livello è stato il cristianesimo a praticare per primo una breccia, ad ‘abbattere il muro’ (Ef 2,14) in un triplice senso: i legami di sangue con il capostipite non sono più necessari, poiché è il legame con Gesù a determinare la piena appartenenza, la vera parentela. Ognuno può ora appartenere totalmente a questo Dio, tutti gli uomini sono in grado e sono autorizzati a divenire suo popolo. Gli ordinamenti giuridici e morali particolari non obbligano più, essi sono divenuti un precedente storico, poiché nella persona di Gesù Cristo tutto è ricapitolato e chi lo segue porta in sé e adempie l’intera essenza della legge. Il culto antico non è più in vigore, è stato abrogato con l’offerta di sé che Gesù ha fatto a Dio e agli uomini. E’ essa ora il vero sacrificio, il culto spirituale, in cui Dio e l’uomo si abbracciano e vengono riconciliati; e la Cena del Signore, l’Eucarestia, ne risulta la reale e certa garanzia sempre presente» "
Tutti dovremmo comunque ricordare innanzitutto che per avere un futuro bisogna guarire dal passato... e la memoria deve essere sana e responsabile consapevolezza che assimila gli eventi, se li assume e li porta con sé redenti e non il "sacrario dell'odio" dal quale tirar fuori ogni possibile ricatto morale nei confronti del resto del mondo chiamato a testimone.
Non può restare inoltre senza conseguenze asserire che “la shoah” segna “il vertice del cammino dell’odio”, che voleva “uccidere Dio”. Occorre invece respingere la tendenza odierna -che va generalizzandosi sempre di più- di conferire portata teologica e “neo-dogmatica” ad un fatto storico come la shoah quale “nuovo Olocausto”, che sembra addirittura aver rimpiazzato quello di Cristo. Infatti, per la Fede cattolica l’odio di satana ha mosso degli uomini (Sinedrio con il popolo ebraico a lui sottomesso con la connivenza de dominatori Romani) ad uccidere Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, nella sua natura umana. Questo è il vero vertice dell’odio contro Dio, che i veri cristiani, figli del perdono, non prendono a pretesto per demonizzare nessun uomo e nessun popolo nè di ieri né di oggi né di domani.
Da ultimo spero che non si faccia ideologia nel giorno della memoria (non è certo questo l'intento della legge del 2001 che lo istituisce; ma sono sempre possibili strumentalizzazioni di ogni genere, che sarebbero ciniche quant'altro mai) e che piuttosto si aiutino i giovani e in fondo tutti noi a comprendere che ricordare e riconoscere il male presente nella storia serve a cominciare a costruire, oggi, un mondo di pace in cui ogni persona umana ed i valori di cui essa è portatrice, siano il fulcro imprescindibile di ogni convivenza non soltanto formalmente civile, che voglia essere anche "umana" nel senso pieno del termine.
domenica 24 gennaio 2010
Papa Ratzinger benedice l'era dei «cyber-preti»
La Chiesa intera guardi a Internet con entusiasmo e audacia, e i sacerdoti diventino navigatori della Rete, partecipino ai social network e portino la parola di Dio nel grande continente digitale.
Benedetto XVI, nel messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, sul tema «Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola», apre ufficialmente l'era del cyber-prete, che dal web mostra «all'umanità smarrita di oggi, che Dio è vicino». Si tratta, scrive il Papa, di comprendere di essere all'inizio di una «storia nuova» in cui «la responsabilità dell'annuncio non solo aumenta, ma si fa più impellente e reclama un impegno più motivato ed efficace». È per questo che è necessario occuparsi delle nuove tecnologie della comunicazione «moltiplicando il proprio impegno, per porre i media al servizio della Parola». «Nessuna strada, infatti - sottolinea - può e deve essere preclusa a chi, nel nome del Cristo risorto, si impegna a farsi sempre più prossimo all'uomo». Non si tratta semplicemente di occupare il web - rischio da evitare - ma di «dare un'anima» al mondo digitale «nella costante fedeltà al messaggio evangelico» che chiede al sacerdote di attuare il suo compito primario «di annunciare Cristo». Da tempo, nella Chiesa, si discute delle nuove possibilità evangeliche aperte dal web: se ne era parlato al Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee del 2008, al Sinodo per la parola di Dio lo stesso l'argomento è ritornato più volte, la Cei ha lanciato il progetto «Chiesa 2.0». E poi, la presenza su FaceBook dei sacerdoti è sempre più diffusa; GodTube, portale di videosharing ispirato ai valori cristiani, è in crescita; così come cresce il sito Pope2You, lanciato dal Vaticano nel maggio del 2009 per favorire l'accesso dei giovani ad immagini, documenti e notizie sul Papa, due milioni di contatti. Nel suo messaggio, il Papa pensa ai giovani che vivono all'interno di «grandi cambiamenti culturali» e chiede ai sacerdoti «un'attenzione particolare a chi si trova nella condizione di ricerca», a «quanti non credono» o «sono sfiduciati ed hanno nel cuore desideri di assoluto e di verità non caduche». Ipotizza quindi che il web possa diventare «una casa di preghiera per tutti i popoli», una sorta di «cortile dei gentili» del Tempio di Gerusalemme, dove entrare in contatto con «coloro per i quali Dio è ancora uno sconosciuto».
giovedì 21 gennaio 2010
Agnoli parla di Lutero... ma che differenza c'è col cammino neocatecumenale e con l'iconoclastia modernista della riforma conciliare?
lunedì 18 gennaio 2010
Obbedienza e Discernimento degli Spiriti: una perla di Giovanni Paolo II
Catechesi del Santo Padre - Udienza Generale 24 Giugno 1992
1. “Lo Spirito Santo non solo per mezzo dei sacramenti e dei ministeri santifica il popolo di Dio e lo guida e adorna, ma “distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui” (1 Cor 12, 11) dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie opere e uffici, utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa” (LG 12). Questo è l’insegnamento del Concilio Vaticano II. La partecipazione alla missione messianica da parte del popolo di Dio non è dunque procurata soltanto dalla struttura ministeriale e dalla vita sacramentale della Chiesa. Proviene anche da un’altra via, quella dei doni spirituali o carismi. Questa dottrina, ricordata dal Concilio, è fondata nel Nuovo Testamento e contribuisce a mostrare che lo sviluppo della comunità ecclesiale non dipende unicamente dall’istituzione dei ministeri e dei sacramenti, ma è promosso anche da imprevedibili e liberi doni dello Spirito, che opera anche al di là di tutti i canali stabiliti. Per questa elargizione di grazie speciali si rende manifesto che il sacerdozio universale della comunità ecclesiale viene guidato dallo Spirito con una libertà sovrana (“come a lui piace”, dice San Paolo) (1 Cor 12, 11), che spesso stupisce.
2. San Paolo descrive la varietà e diversità dei carismi, che va attribuita all’azione dell’unico Spirito (1 Cor 12, 4). Ognuno di noi riceve da Dio doni molteplici, che convengono alla sua persona e alla sua missione. Secondo questa diversità, non c’è mai una via individuale di santità e di missione che sia identica alle altre. Lo Spirito Santo manifesta rispetto per ogni persona e vuole promuovere uno sviluppo originale per ognuno nella vita spirituale e nella testimonianza.
3. Ma va tenuto presente che i doni spirituali devono essere accolti non soltanto per un beneficio personale, ma prima di tutto per il bene della Chiesa: “Ciascuno, scrive San Pietro, viva secondo il dono ricevuto, mettendolo a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio” (1 Pt 4, 10). In forza di questi carismi la vita della comunità è piena di ricchezza spirituale e di servizi di ogni genere. E la diversità è necessaria per una ricchezza spirituale più ampia: ognuno dà un contributo personale che gli altri non danno. La comunità spirituale vive dell’apporto di tutti.
4. La diversità dei carismi è anche necessaria per un migliore ordinamento di tutta la vita del Corpo di Cristo. Lo sottolinea San Paolo quando illustra lo scopo e l’utilità dei doni spirituali: “Voi siete il corpo di Cristo e le sue membra, ognuno secondo la propria parte” (1 Cor 12, 27). Nell’unico Corpo ciascuno deve svolgere il proprio ruolo secondo il carisma ricevuto. Nessuno può pretendere di ricevere tutti i carismi, né permettersi di invidiare i carismi degli altri. Il carisma di ciascuno deve essere rispettato e valorizzato per il bene del Corpo.
5. Occorre notare che circa i carismi, soprattutto nel caso di carismi straordinari, è richiesto il discernimento. Questo discernimento viene dato dallo stesso Spirito Santo, che guida l’intelligenza sulla via della verità e della sapienza. Ma siccome tutta la comunità ecclesiale è stata posta da Cristo sotto la guida dell’autorità ecclesiastica, questa è competente a giudicare il valore e l’autenticità dei carismi. Scrive il Concilio: “I doni straordinari . . . non si devono chiedere imprudentemente, né con presunzione si devono da essi sperare i frutti dei lavori apostolici; ma il giudizio sulla loro genuinità e ordinato uso appartiene all’Autorità ecclesiastica, alla quale spetta soprattutto di non estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono (cf. 1 Ts 5, 12. 19-21)” (LG 12).
6. Si possono indicare alcuni criteri di discernimento generalmente seguiti sia dall’autorità ecclesiastica sia dai maestri e direttori spirituali:
a) l’accordo con la fede della Chiesa in Gesù Cristo (cf. 1 Cor 12, 3); un dono dello Spirito Santo non può essere contrario alla fede che lo stesso Spirito ispira a tutta la Chiesa. “Da questo, scrive San Giovanni, potete riconoscere lo Spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio” (1 Gv 4, 2);
b) la presenza del “frutto dello Spirito: carità, gioia, pace” (Gal 5, 22). Ogni dono dello Spirito favorisce il progresso dell’amore, sia nella persona stessa, sia nella comunità, e quindi produce gioia e pace. Se un carisma provoca turbamento e confusione, questo significa o che non è autentico o che non è adoperato nel modo giusto. Come dice San Paolo: “Dio non è un Dio di disordine, ma di pace” (1 Cor 14, 33). Senza la carità, anche i carismi più straordinari non hanno la minima utilità (cf. 1 Cor 13, 1-3; cf. Mt 7, 22-23);
c) l’armonia con l’autorità della Chiesa e l’accettazione dei suoi provvedimenti. Dopo aver fissato regole molto strette per l’uso dei carismi nella Chiesa di Corinto, San Paolo dice: “Chi ritiene di essere profeta o dotato di doni dello Spirito deve riconoscere che quanto scrivo è comando del Signore” (1 Cor 14, 37). L’autentico carismatico si riconosce dalla sua sincera docilità verso i pastori della Chiesa. Un carisma non può suscitare la ribellione né provocare la rottura dell’unità; d) l’uso dei carismi nella comunità ecclesiale è sottoposto a una regola semplice: “Tutto si faccia per l’edificazione” (1 Cor 14, 26), cioè i carismi vengono accolti nella misura in cui recano un contributo costruttivo alla vita della comunità, vita di unione con Dio e di comunione fraterna. San Paolo insiste molto su questa regola (1 Cor 14, 4-5. 12. 18-19. 26-32).
7. Tra i vari doni, San Paolo stimava molto quello della profezia, come già abbiamo notato, tanto da raccomandare: “Aspirate ai doni spirituali, ma specialmente a quello della profezia” (1 Cor 14, 1). Risulta dalla storia della Chiesa e particolarmente dalla vita dei Santi che non di rado lo Spirito Santo ispira delle parole profetiche destinate a promuovere lo sviluppo o la riforma della vita della comunità cristiana. A volte queste parole sono specialmente rivolte a coloro che esercitano l’autorità, come nel caso di Santa Caterina da Siena, intervenuta presso il Papa per ottenere il suo ritorno da Avignone a Roma. Sono molti i fedeli e soprattutto i Santi e le Sante che hanno portato ai Papi e agli altri Pastori della Chiesa la luce e il conforto necessari all’adempimento della loro missione, specialmente in momenti difficili per la Chiesa.
8. Questo fatto mostra la possibilità e l’utilità della libertà di parola nella Chiesa: libertà che può anche manifestarsi nella forma di una critica costruttiva. L’importante è che la parola esprima veramente un’ispirazione profetica, derivante dallo Spirito. Come dice San Paolo, “dove è lo Spirito del Signore, là è la libertà” (2 Cor 3, 17). Lo Spirito Santo sviluppa nei fedeli un comportamento di sincerità e di fiducia reciproca (cf. Ef 4, 25) e li rende “capaci di correggersi a vicenda” (Rm 15, 14; cf. Col 1, 16). La critica è utile nella comunità, che deve sempre essere riformata e tentare di correggere le proprie imperfezioni. In molti casi l’aiuta a fare un nuovo passo avanti. Ma se viene dallo Spirito Santo, la critica non può non essere animata dal desiderio di progresso nella verità e nella carità. Non può svolgersi con amarezza; non può tradursi in offese, in atti o giudizi lesivi dell’onore di persone e di gruppi. Deve essere compenetrata di rispetto e di affetto fraterno e filiale, evitando il ricorso a forme inopportune di pubblicità, ma attenendosi alle indicazioni date dal Signore per la correzione fraterna (cf. Mt 18, 15-16).
9. Se la linea della libertà di parola è questa, si può dire che non c’è opposizione fra carisma e istituzione, perché è l’unico Spirito che con diversi carismi anima la Chiesa. I doni spirituali servono anche all’esercizio dei ministeri. Essi vengono elargiti dallo Spirito, per contribuire all’avanzamento del Regno di Dio. In questo senso si può dire che la Chiesa è una comunità di carismi.
sabato 16 gennaio 2010
Obbedienti o disobbedienti? E obbedienti a chi?
Rispondo a Zufolo con un articolo perchè la questione che pone presenta implicazioni articolate e complesse. Dice Zufolo:
Temo di avere perso la bussola. Quindi bisogna essere obbedienti o disobbedienti? E obbedienti a chi? Non ai catechisti direte voi e non a Kiko, ma al Papa, giusto? Ma a quale Papa? Benedetto XVI o Paolo VI o (sperabilmente) tutti e due? Mic, per favore, vienitene fuori con uno dei tuoi tripli salti mortali dialettici per dimostrare che non importa quale sia la citazione, da chi e che cosa dica, il Cammino sta sempre dalla parte sbagliata! Altrimenti qua la confusione regna sovrana...
Si perde la bussola quando si assolutizzano i concetti smarrendo i punti essenziali di riferimento.
Premesso che la coscienza di ogni persona è frutto di un processo dinamico in costante divenire, essa risulta strutturata, orientata e in costante maturazione attraverso le conoscenze mutuate da fonti attendibili e attraverso le esperienze, gli incontri, le relazioni più o meno vitali che le varie situazioni, ambiti di coinvolgimento e momenti della vita consentono.
Ebbene, la fede ricevuta nutrita e vissuta nella Chiesa e la formazione permanente data dalla costante attenzione ed adesione (che comprendono vita sacramentale, studio, preghiera e messa in pratica dei conseguenti frutti nelle varie stagioni della vita), ci rende -nonostante i limiti di ognuno- uomini e donne sempre più autentici, secondo il cuore di Dio, veri cristiani, che sono portatori nel mondo di una Presenza, che li precede e li sorpassa, ma che non lascia infruttuoso il loro 'esserci', impegnato e appassionato e fecondo nella misura e nei modi che il Signore ad ognuno concede anche in base alla sua risposta. Naturalmente non è detto che i frutti siano sempre e tutti visibili, perchè davvero, se a volte riusciamo a cogliere ciò che il nostro 'esserci-col-Signore' provoca nell'immediato e nel quotidiano, non possiamo neppure immaginare cosa esso provochi negli orizzonti più ampi ed incommensurabili dello spazio e del tempo in cui siamo collocati, ma che il dono Soprannaturale della Grazia di Cristo ci consente di oltrepassare, trasferendoci ed immergendoci nell'orizzonte infinito e senza tempo della Sua Vita Divina, che comincia già qui...
Posto quindi l'essenziale per sommi capi, si pone -serio- il problema dell'obbedienza (che presuppone fiducia e riconoscimento di Autorità), perchè certamente è da essa che occorre partire per innescare e rendere vivo il processo che ho descritto sopra, che passa anche attraverso le nostre fonti ed i nostri formatori, comprese le persone con le quali ci confrontiamo in un dialogo autentico, che sia reale scambio di conoscenze ed esperienze, accoglibili nella misura in cui ci sono connaturali
La nostra prioritaria adesione e conseguente obbedienza (che si fa ascolto e dialogo e risposta costanti e sempre più profondi; fede è infatti adesione totale, sequela, di una Persona, che ha Nome Gesù Cristo) è innanzitutto per il Signore e, poi, ovviamente per chi Lo rappresenta nella misura in cui davvero costui obbedisce a Lui.
Quando si tratta dell'Autorità suprema, cioè il Papa, è ovvio che l'obbedienza è dovuta, ma resta libera -a detta dello stesso Papa in un suo libro recente- la priorità della coscienza (ovviamente illuminata dalla fede e nutrita dal Magistero perenne della Chiesa). Questo significa che anche al Papa obbedienza è dovuta quando e nella misura in cui egli esprime verità di fede e ne è riscontrabile la loro aderenza ad un principio basilare: gli Apostoli ci hanno lasciato quanto da Cristo avevano ricevuto ratione ecclesiae, non i "carismi personali" ma le verità riguardanti la Fede e la Chiesa. Successio et Traditio: al successor (l'uomo provato e sicuro cui è trasmessa la successione Apostolica attraverso l'unzione e l'imposizione delle mani, il quale a sua volta, per alcuni compiti non legati alla Liturgia 'manda' uomini e donne altrettanto provati, formati e sicuri, cioè fedelmente aderenti alla Verità) viene trasmesso un deposito di cui diventa custos et traditor, ossia custode e trasmettitore di quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditum est, non approssimativamente ma eodem sensu eademque sententia. Sostanzialmente si tratta di quel che il Papa chiama "continuità".
Da questo deriva che lo Statuto NC non è una verità di fede pronunciata ex cathedra alla quale tutti devono aderire per rimanere in comunione col Papa, tanto più che in coscienza, nutrita dal Magistero Perenne e dalla fede vissuta - possiamo affermare che le sue applicazioni non codificate nonchè le non-applicazioni codificate presentano serie difformità con gli insegnamenti e le prassi autenticamente ecclesiali.
Il cammino nc costituisce uno dei casi più eclatanti di germinazione di conio conciliare in cui si è determinata una vera e propria 'rottura' con la Tradizione, in parte col pretesto di un cosiddetto "ritorno alle origini" (che già Pio XII nella Mediator Dei qualificava "insano archeologisno liturgico" e tale è e resta), 'ritorno' tra l'altro praticamente impossibile e anche inutile perchè nella Chiesa sono confluite la storia e soprattutto la fede viva delle generazioni passate, oggi purtroppo custodite solo da un 'piccolo resto', perchè gran parte della Chiesa visibile le ha oltrepassate per inseguire "magnifiche sorti e prgressive" totalmente altre...
Nel Cammino esiste l'aggravante di elementi neoprotestanti e sincretistici di tipo pesantemente giudaizzante a tutto scapito della reale Opera ed Essenza del Signore Gesù... le numerose prove e idocumenti da noi prodotti al riguardo non vengono presi neppure in considerazione dalla maggior parte dei NC, perchè prevale l'Autoritarismo assoluto rigido e inconfutabile degli iniziatori e dei loro ripetitori-megafono: i catechisti. Questa è la ragione per cui nel cammino si obbedisce a Kiko e non al Papa... anche perchè in esso non esiste coscienza individuale, che viene delegata alla totalizzante autorità dei catechisti operante anche sui presbiteri (!), ma vi si forma, si consolida e si vive una vera e propria "identità di gruppo", totalizzante e massificante. Certo chi è totalmente invischiato o chi ne gestisce i meccanismi non sempre consapevolmente ma con modalità indotte, è difficile che lo riconosca; ma purtroppo così è e così troppi che hanno responsabilità lasciano continuare che sia
venerdì 15 gennaio 2010
Concilio dell'ecumenismo. Emblematica profezia di Prezzolini
giovedì 14 gennaio 2010
Proseguiamo il discorso sulla Liturgia
mercoledì 13 gennaio 2010
Una seconda finalità del Motu Proprio: La "riforma della riforma"

Lo scopo primario del Motu Proprio Summorum Pontificum è noto: fare in modo che la messa tradizionale possa essere celebrata in tutte le parrocchie nelle quali se ne faccia domanda. Il MP non si potrà considerare veramente applicato fin quando, nella cattedrale di Milano o di Bari, in quella di Cagliari o di Trieste, non si potrà assistere alla messa domenicale delle 10 celebrata nella forma ordinaria e a quella delle 11 nella forma straordinaria (o viceversa). Per dirla in breve: in materia di applicazione del MP oggi non siamo che agli inizi.
A – Il progetto della “riforma della riforma”
Un secondo intento all’origine del MP non è immediatamente esplicito ma non per questo è meno evidente sia in ragione di quanto scritto in passato dall’allora Cardinale Ratzinger in materia, sia per via dell’augurio formulato nel testo del 2007: quello di un “arricchimento reciproco” delle due forme che ormai coesistono ufficialmente.
Relativamente all'arricchimento, possiamo tutti capire che la forma più evidentemente “ricca” è quella che beneficia di una tradizione ininterrotta di dieci secoli (e di ben diciassette secoli per quanto riguarda la sua parte essenziale, il Canone), e il cui valore dottrinale e rituale è per lo meno paragonabile a quello delle altre grandi liturgie cattoliche. Così scrive Nicola Bux nella sua opera: “Gli studi comparativi dimostrano che la liturgia romana era molto più vicina a quella orientale nella forma preconciliare che in quella attuale. [...] Purtroppo, il messale di Paolo VI non contiene tutto quello di Pio V." Sarebbe quindi assurdo voler negare che la forma che deve essere arricchita/trasformata in primo luogo è proprio quella fabbricata frettolosamente quarant’anni fa.
Si è presa dunque l’abitudine di chiamare “riforma della riforma” questo progetto di arricchimento/trasformazione della riforma di Paolo VI allo scopo di renderla più tradizionale nei suoi contenuti e nella sua forma. Bisognerà però attendere ancora per vederne gli effetti perché, un po’ come il MP, va considerato che la “riforma della riforma” si trova solo al debutto.
Pensando ai futuri sviluppi di questo processo sono opportune due osservazioni preliminari :
- La “riforma della riforma”, come indicato dall’espressione stessa, non riguarda che la riforma di Paolo VI. Non suggerisce infatti in alcun modo che parallelemente si dia l'avvio a una trasformazione della forma tradizionale del rito. Le due forme infatti non sono assolutamente comparabili né dal punto di vista della loro relazione con la tradizione né dal punto di vista della loro struttura rituale. Una modifica del rito tradizionale oggi causerebbe un indebolimento del patrimonio liturgico della Chiesa, cosa che del resto Ratzinger, da Cardinale, aveva a suo tempo prudentemente e chiaramente escluso.[2]
- La “riforma della riforma” non ha lo scopo di introdurre, attraverso leggi e decreti, un terzo messale posto a metà strada fra il messale tridentino e quello nuovo - che d'altronde è piuttosto una raccolta di linee guida da interpretare con una certa libertà che un “messale” in senso tradizionale. Il Cardinale Ratzinger ieri, Papa Benedetto XVI oggi, è del tutto contrario all’idea di mettere in opera una serie di riforme autoritarie pari a quella – ma in senso inverso – che è stata la messa in pratica della riforma di Paolo VI. Si tratta piuttosto di intraprendere un progressivo riavvicinamento del messale di Paolo VI al messale tradizionale, cosa che peraltro è facilitata proprio dall'elasticità della liturgia nuova: il suo carattere a-normativo la rende paradossalmente accogliente proprio per un ritorno della norma tradizionale. Ci si può d’altro canto chiedere se, alla fine di questo processo, essa conserverà un’altra ragion d’essere che quella di essere propedeutica alla liturgia tradizionale.
L’importanza della pubblicazione di questo libro è collegata anche alla dimensione intellettuale del suo autore. Monsignor Nicola Bux, professore di liturgia e di teologia dei sacramenti presso l’Istituto superiore di Teologia San Nicola di Bari, è consulente della Congregazione per la Dottrina della fede e della Congregazione per le Cause dei Santi e inoltre dell’Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sovrano Pontefice, è consigliere della rivista Communio, nonché autore di numerosi libri (fra i quali "Il Signore dei Misteri. Eucaristia e relativismo", Cantagalli, 2005) e di molteplici articoli (“A sessant’anni dall’Enciclica Mediator Dei di Pio XII, dibattere serenamente sulla liturgia”, L’Osservatore Romano, 18 novembre 2007). E’ inoltre uno dei più influenti sostenitori della riforma della riforma di Paolo VI.
L’opera di Nicola Bux si inserisce nel nuovo movimento liturgico che coinvolge altri noti sostenitori dell’azione del Papa, tra i quali: Padre Alcuin Reid (The Organic Development of the Liturgy, Saint Michael’s Abbey Press, Londra, 2004), Padre Michael Lang (Rivolti al Signore - L'orientamento nella preghiera liturgica, Cantagalli, 2008), Monsignor Nicola Giampietro (Il Card. Ferdinando Antonelli e gli sviluppi della riforma liturgica dal 1948 al 1970, Studia Anselmiana, Roma, 1998), Monsignor Athanasius Schneider (Dominus Est - Riflessioni di un Vescovo dell'Asia Centrale sulla sacra Comunione, Libreria Editrice Vaticana, 2008), Padre Aidan Nichols (Looking at the Liturgy: A Critical View of Its Contemporary Form, Ignatius Press, 1996) e ancora Don Mauro Gagliardi (Liturgia, Fonte di Vita, Fede&Cultura, 2009). Vanno ricordate ancora le iniziative promosse da Padre Manelli e i Francescani dell’Immacolata, né, beninteso, l’azione quotidiana di importanti prelati come Monsignor Ranjith, Monsignor Burke, il Cardinale Cañizares, ecc.
Il libro di Monsignor Bux ha inoltre beneficiato di tre prestigiose prefazioni: quella di Vittorio Messori per l’edizione italiana, quella di Monsignor Marc Aillet, Vescovo di Bayonne, per l’edizione francese, e quella del Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, il Cardinale Cañizares, per l’edizione spagnola.
Secondo Nicola Bux, la crisi che ha colpito la liturgia romana è dovuta al fatto che essa non è più incentrata su Dio e sulla Sua adorazione, ma sugli uomini e la comunità. “All'inizio sta l'adorazione. E quindi Dio. [...] La Chiesa si lascia guidare dalla preghiera, dalla missione di glorificare Dio” aveva scritto in proposito Joseph Ratzinger (L'Osservatore Romano, 4 marzo 2000).
La crisi della liturgia comincia nel momento in cui cessa di essere un’adorazione o si riduce alla celebrazione di una comunità particolare nella quale preti e vescovi, invece di essere dei ministri, dunque dei servitori, divengono dei leader. E’ perché, indica Mons. Bux, oggi “la gente chiede sempre più rispetto per lo spazio personale del silenzio, della partecipazione intima della fede ai sacrosanti misteri e alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa".
Bisogna dunque aiutare un clero confuso nella pratica e nella propria coscienza cultuale a comprendere che la liturgia "è sacra e divina, discende dall’alto come la Gerusalemme celeste". Mons. Bux invita perciò a "ritrovare il coraggio del sacro". Un senso del sacro che rinvia al mistero. A questo proposito sarebbe opportuno fermarsi un attimo su una sua osservazione relativa alla lingua liturgica: "Malgrado la messa in lingua parlata, il numero dei fedeli nelle chiese è molto diminuito: forse anche perché, dicono alcuni, ciò che hanno compreso non è affatto piaciuto"...
E’ il caso che la Chiesa educhi nuovamente il sacerdote al compimento dei Santi Misteri “in persona Christi” come suo ministro e non come animatore di un’assemblea ormai del tutto ripiegata su se stessa.
C – Il progetto della “riforma della riforma”: procedere con l'esempio più che con le norme.Nonostante il peso delle dichiarazioni di Monsignor Bux in particolare e degli "uomini del Papa” in generale, in linea con il pensiero del Santo Padre, in realtà nessuno immagina leggi o decreti per operare una trasformazione radicale autoritaria come invece venne fatto all'epoca Bugnini. Anche se liturgicamente parlando, la Chiesa è oggi molto malata, si preferisce agire con la medicina dolce dell'esempio: l'esempio dato dal Sommo Pontefice in primis, e poi dei vescovi che saranno disposti a fare come lui.
In questo senso si può osservare che Benedetto XVI favorisce un insieme di azioni correttive che ad un occhio disattento possono non sembrare che dei dettagli. La liturgia non è però che una serie di dettagli: celebrazioni pontificali molto degne, bellezza degli ornamenti della sacrestia di San Pietro riutilizzati dal Cerimoniere Pontificio Monsignor Guido Marini, disposizione del crocefisso centrale e di grandi candelieri sull'altare che attenuano il faccia a faccia teatrale tra il celebrante e i fedeli e, soprattutto, distribuzione della Comunione in ginocchio e sulla lingua.
A questo punto sta ai vescovi fare altrettanto nelle loro celebrazioni pubbliche. Sappiamo già che il Cardinale Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna, uno dei teologi più importanti fra i Vescovi italiani, ha emesso il 27 aprile 2009 delle disposizioni con le quali "considerata anche la frequenza in cui sono stati segnalati casi di comportamenti irriverenti nell’atto di ricevere l’Eucaristia" si è deciso che “da oggi nella Chiesa Metropolitana di S. Pietro, nella Basilica di S. Petronio e nel Santuario della B.V. di San Luca in Bologna i fedeli ricevano il Pane consacrato solamente dalle mani del ministro direttamente sulla lingua."
Da parte loro il Vescovo Schneider e Don Mauro Gagliardi [3] ci ricordano con un certo vigore che la modalità "normale" è quella di ricevere la comunione in bocca, e che la comunione nella mano è una modalità “tollerata” seppure da tempo sia la più diffusa. Questo incoraggiamento è molto importante per la rinascita della fede nella presenza reale di Cristo nell'Ostia consacrata. Lo stesso Monsignor Bux insiste sul fatto che il rispetto del divino e del sacro si esprime attraverso segni di venerazione.
Ma ci sono altre proposte immaginate dai sostenitori della "riforma della riforma", e fra queste:
- Stimolare la riduzione del numero dei concelebranti e anche delle concelebrazioni stesse perchè quando esse diventano troppo frequenti la funzione mediatrice fra Dio e gli uomini di ogni singolo sacerdote viene offuscata.
- Fare in modo di ridurre gradualmente la proliferazione delle parti opzionali della Messa (in particolare si fa riferimento alle preghiere eucaristiche, alcune delle quali risultano per lo meno problematiche da un punto di vista dottrinale).
- Reintrodurre elementi della forma straordinaria che promuovono il senso del sacro e l'adorazione perchè, spiega Mons. Bux: "L'ars celebrandi consiste nel servire con amore e timore il Signore: per ciò si esprime con baci alla mensa e ai libri liturgici, inchini e genuflessioni, segni di croce e incensazioni di persone e oggetti, gesti di offerta e di supplica, ostensioni dell'evangelario e della santa eucaristia."
- E molte altre cose ancora: ricordare che il bacio della pace è un'azione sacra e non un segno di civiltà borghese, reintrodurre l'uso massiccio della lingua liturgica latina, ecc.
D – Il punto più rilevante della “riforma della riforma”
Nel suo libro, Nicola Bux afferma che la chiave della liturgia nuova, come prodotto delle officine Bugnini - l'autore della riforma liturgica - sta nel suo adattamento al mondo. E' qui che, in sintonia con i sostenitori della “riforma della riforma”, la sua riflessione si fa più radicale: l'essenza della liturgia cattolica è di essere "una critica permanente al mondo, a quel mondo che penetra nella Chiesa spingendola ad appartenergli”. Considerando che " la riforma non può essere intesa nel senso di una ricostruzione secondo i gusti del tempo", occorre "distinguere la riforma dalle deformazioni".
E' per questo che Monsignor Bux cita e commenta il “Breve esame critico”, pubblicato alla fine del Concilio dai Cardinali Ottaviani e Bacci nel quale questi ultimi: "ritenevano [...] che fosse scomparsa la finalità ultima della messa, essere sacrificio di lode alla Santissima Trinità. Così pure la finalità ordinaria, d'essere il sacrificio propiziatorio”. Si dovrebbe infatti essere ciechi per non notare che il nuovo rito della Messa si è ridotto di fatto ad una immanentizzazione del messaggio cristiano: la dottrina del sacrificio propiziatorio, l'adorazione della presenza reale di Cristo, la specificità del sacerdozio gerarchico e, in generale, la sacralità della celebrazione eucaristica vengono espressi in un modo molto meno evidente rispetto al rito tradizionale. Proprio per questo hanno ripreso vigore i tentativi di inserire nuovamente nelle preghiere del messale di Paolo VI quelle che esprimono al meglio il significato sacrificale, vale a dire quelle dell'Offertorio.[4] [Offertorio che, nel cammino nc Carmen Hernandz insegna essere un retaggio pagano]
Se quindi c'è un punto sul quale possiamo aspettarci un qualche provvedimento in sostegno della “riforma della riforma”, è sicuramente questo: la possibilità di introdurre nella celebrazione ordinaria le preghiere d'offertorio della tradizione romana.
Nel complesso, se questo disegno prendesse davvero corpo, ci si troverebbe alla fine in una situazione inversa rispetto a quella verificatasi tra il 1965 e il 1969: a quell'epoca di cambiamenti bruschi, in cui tutto mutava nella direzione progressista, potrebbe rispondere un periodo di evoluzione dolce in cui tutto cambierebbe in un senso generale di “risacralizzazione”. [senza quel 'clima', la liturgia introdotta arbitrariamente da un laico, che ha avuto la sua legittimazione -guarda caso- da una "nota laudatoria" di Bugnini del 1974, non avrebbe mai potuto aver posto nella Chiesa]
Tale attuazione della “riforma della riforma” per una volta sarebbe davvero “riformista” nel senso tradizionale del termine. Procederebbe per "contaminazione", per usare un termine familiare agli storici della religione quando vogliono parlare dell'influenza di una liturgia su un'altra: in questo caso, si tratterebbe della contaminazione della liturgia tradizionale su quella nuova.
In effetti, si potrebbe addirittura sostenere che la forma straordinaria è forse l'unica possibilità a lungo termine di salvare la forma ordinaria facendo in modo che essa divenga sempre meno ordinaria. La forma moderna potrebbe quindi diventare una sorta di base di partenza per arrivare alla liturgia straordinaria. Si può aggiungere in fine che essa non si troverebbe in concorrenza con la forma straordinaria, ma al contrario potrebbe diventare un mezzo molto favorevole per la sua diffusione e affermazione come forma ufficiale di riferimento.
[1]. "La riforma di Benedetto XVI. La liturgia tra innovazione e tradizione", Piemme, 12 €. Uscito nel 2008, il libro di Mons. Nicola Bux è già stato tradotto in spagnolo e in francese.
[2]. Nel 2001, durante le giornate liturgiche di Fontgombault, il Cardinale Ratzinger aveva detto che non c'era alcuna intenzione di modificare il messale tridentino, senza alcun dubbio per molto tempo ancora, soprattutto perché la sua presenza e il suo uso attuale potrebbero servire come stimolo per un'evoluzione del messale nuovo. Questa è ormai chiaramente la linea seguita dalla Congregazione per il Culto Divino e dalla Commissione "Ecclesia Dei" che considerano per esempio che l'introduzione del nuovo l@ezionario è impossibile nel rito tradizionale. L'unico sviluppo possibile del rito tradizionale, secondo i liturgisti romani, sarebbe l'introduzione di alcuni nuovi prefazi.
[3]. Intervista concessa a zenit.org il 21 dicembre 2009.
[4]. Si veda, ad esempio, il manifesto che è stato il libro di Padre Paul Tirot, osb: Histoire des prières d'offertoire dans la liturgie romaine du VIIe au XVIe siècle, CLV, 1985.
lunedì 11 gennaio 2010
"Per la situazione religiosa e culturale in cui viviamo e per la stessa priorità che corrisponde alla liturgia nella vita della chiesa, credo che la missione principale che ho ricevuto è promuovere con dedizione totale e impegno, ravvivare e sviluppare lo spirito e il senso vero della liturgia nella coscienza e nella vita dei fedeli; che la liturgia sia il centro e il cuore della vita delle comunità; che tutti, sacerdoti e fedeli, la consideriamo come sostanziale e imprescindibile nella nostra vita; che viviamo la liturgia in piena verità, e che viviamo di essa; che sia in tutta la sua ampiezza, come dice il Concilio Vaticano II, ‘fonte e culmine’ della vita cristiana. Dopo un anno alla guida di questa congregazione, ogni giorno sperimento e sento con forza maggiore la necessità di promuovere nella chiesa, in tutti i continenti, un impulso liturgico forte e rigoroso che faccia rivivere la ricchissima eredità del Concilio e di quel gran movimento liturgico del diciannovesimo secolo e della prima metà del ventesimo – con uomini come Guardini, Jungmann e tanti altri – che rese feconda la chiesa nel Concilio Vaticano II. Lì, senza alcun dubbio, sta il nostro futuro e il futuro stesso del mondo. Dico questo perché il futuro della chiesa e dell’umanità intera è riposto in Dio, nel vivere di Dio e di quanto viene da Lui; e questo accade nella liturgia e attraverso essa. Soltanto una chiesa che viva della verità della liturgia sarà in grado di dare l’unica cosa che può rinnovare, trasformare e ricreare il mondo: Dio e soltanto Dio e la Sua grazia. La liturgia, nella sua più pura indole, è presenza di Dio, opera salvifica e rigeneratrice di Dio, comunicazione e partecipazione del Suo amore misericordioso, adorazione, riconoscimento di Dio. E’ l’unica cosa che può salvarci”. [....]
“Non solleviamo la questione dell’orientamento ‘versus Orientem’, né della comunione per bocca, né di altri aspetti che a volte vengono fuori come accuse di ‘passi indietro’, di conservatorismo o d’involuzione. ....corrispondono (e anche favoriscono) di più la verità della celebrazione così come la partecipazione attiva, nel senso in cui ne parla il Concilio e non in altri sensi."
Il testo integrale dell'intervista è leggibile anche qui
http://blog.messainlatino.it/2010/01/il-card-canizares-su-motu-proprio-e.html#comments
giovedì 7 gennaio 2010
INTRODUZIONE ALLO SPIRITO DELLA LITURGIA
Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie