"Si può dire in breve che nel pensiero di Kiko e Carmen errori teologici antichi e nuovi confluiscono in un vulcano tale di contraddizioni, che non è possibile non solo dedurne una logica di verità , ma neppure un sistema coerente di errori.Nessuna originalità, ma ripetizioni critiche di aberrazioni teologiche antiche e nuove senza alcun riferimento a quanto la Scrittura e il Magistero della Chiesa hanno da sempre professato o rigettato".
Città (...), 11.12.91 Rev.mo Don Enrico Zoffoli, Piazza S. Giovanni in Laterano
Dopo diciotto anni di matrimonio con un uomo stupendo nel rapporto con il quale ho avuto un assaggio dell'amore infinito di Dio, il 20 novembre del 1985 il Signore volle mio marito accanto a Sé.
Nei tre brevissimi mesi della malattia non ebbi il tempo di prepararmi ad un distacco così repentino e restai quasi inebetita di fronte alla mia nuova realtà sebbene aiutata dalla Fede che il Signore ha voluto donarmi e dalla presenza di due meravigliosi figli che allora avevano 12 e 17 anni, io ne avevo 40.
La condizione delle vedove nel Cammino neocatecumenale |
Ai primi del mese di febbraio 1986 iniziò la catechesi dei neocatecumenali nella nostra parrocchia, quella della B.V. del Carmelo a [...], ed io con i miei figli iniziai a partecipare alla riunione regolarmente due volte alla settimana. Alla sera si faceva abbastanza tardi, ma io ero molto attratta dall'approccio alla Parola di Dio che, a onor del vero, era la prima volta che mi veniva spiegata in maniera così viva e dai canti eseguiti con molta fede e spirito di unità.
Alla fine di questo primo corso della durata di circa un mese seguì una prima “convivenza” presso il monastero di [...]. Vi partecipai con entrambi i miei figli. Ci furono alcune cerimonie molto belle, ma quello che mi colpì fu il fatto che alla fine del terzo giorno quando si doveva pagare il conto alle suore ci fu la circolazione tra di noi, tutti raccolti in preghiera, di un sacco della spazzatura nel quale ognuno depose “quello che poteva, generosamente, pensando anche ai fratelli che non potevano pagare”.
Nel primo giro non fu raccolta la somma necessaria. Fu fatto un altro giro e la nostra catechista con parole molto sentite fece capire che c’era stato qualcosa di grandioso...: la somma non solo era stata raggiunta ma superata! La cosa aveva un sapore magico, rimasi tanto impressionata di come in mezzo a noi la gente avesse potuto essere così generosa! Poi tornerò su questo episodio.
Superato quindi il primo passaggio, si formò la nostra comunità detta "seconda Comunità”, poiché una prima esisteva già di 3 o 4 anni. La nostra comunità fu organizzata con quattro responsabili di cui uno ero io (sono una insegnante), una mia collega, due studenti universitari. Ci riunivamo regolarmente durante la settimana: una volta per preparare le letture relative alla “parola” che ci era stata assegnata, una volta per la celebrazione della liturgia della parola alla quale presenziava anche il nostro parroco, una volta per la celebrazione Eucaristica il sabato notte.
Tutto questo era molto coinvolgente, ma estremamente stancante perché si terminava in orari vicini e oltre la mezzanotte. Dopo ho capito che anche questo serviva a stancare le persone e renderle abbastanza prive di volontà.
Io in qualità di responsabile ho partecipato ad alcune convivenze per soli responsabili, sia presso l'hotel “Ergife” di Roma sia ad Arcinazzo. La partecipazione a queste convivenze era per me assai gravosa poiché dovevo lasciare da soli i miei due ragazzi (portarmeli, come sostenevano loro, sarebbe stato per me un po’ gravoso finanziariamente) e in più due anziani suoceri di cui ero l’unica nuora.
Questo signore però era il catechista della prima comunità quindi non avrebbe dovuto aver niente a che fare con noi della seconda. lo sono di indole un po’ribelle e non accetto facilmente imposizioni per cui non volli mai imparare la fraseologia sempre uguale che tutti ripetevano durante le celebrazioni; mi esprimevo sempre secondo la mia preparazione, confidando sempre nella Misericordia di Dio e guardandolo solo e sempre con Amore.
E mai che qualcuno dei miei confratelli si fosse preoccupato che io ero una donna vedova con regole e abitudini di una educazione per così dire all'antica! Ma le cose si complicano alla fine dell'anno del mio Cammino neocatecumenale.
Infatti la prassi prevede che dopo due anni ci sia un effettivo “passaggio” a non so che cosa. Era la fine di gennaio, mio suocero affetto da un male alla gola, aveva 82 anni, doveva essere assistito poiché dopo qualche giorno lo avrebbero operato e chi si doveva occupare di questo ero io. Fra anche la fine del quadrimestre ed ero impegnata con la scuola, e proprio in quei giorni bisognava andare a [...] per la convivenza del suddetto passaggio, Dato che [...] dista da [...] pochi chilometri, feci presente ai miei catechisti la mia situazione, proponendo loro che io avrei partecipato alla convivenza rimanendo a [...] durante il giorno, ma che la sera io sentivo il dovere morale e civile di essere a casa. Mi fu detto che dovevo esporlo a Giovanni.
Ebbi occasione di incontrarlo il 17 gennaio giorno di S. Antonio festeggiato qui da noi. Mi ascoltò con aria di sufficienza e mi disse che se non dormivo anche a [...] il Signore per me non sarebbe passato e che comunque potevo fare la “pendolare” se volevo, lasciandomi intendere che il passaggio lo avrei fatto lo stesso. Insieme ad altre 3 persone andai e tornai da [...] il venerdì, il sabato e la domenica.
Proprio la domenica c'era la cerimonia del “passaggio”. Portai i fiori per la mensa, ma siccome erano di mandorlo furono gettati via, portai un flacone di profumo “Opium” che fu in parte usato per profumare l’olio e molti dolci per l'agape che doveva seguire la cerimonia. Mi era stato detto di essere su a [...] per le 15. Quando arrivammo tutto era quasi pronto nella grande sala del refettorio delle Clarisse, una cinquantina di persone sedute in cerchio attorno all’ambone e ai fiori sul tappeto.
Kairos, un dio da afferrare per il ciuffo |
Umiliate e maltrattate lasciammo quell’assemblea per andare a [...] dal nostro parroco malato che ci confortò moltissimo riportandoci alla razionalità. Dopo una settimana passata in modo piuttosto traumatico, ci ritrovammo, io e le altre due signore mie amiche, di nuovo insieme ai fratelli di comunità che avevano fatto il famoso passaggio per celebrare l’Eucarestia del sabato notte. Un fratello, una persona che io conosco bene, prese la parola per “l'ammonizione ambientale” che precede la funzione. Con toni deliranti parlò di una presenza in seno alla comunità, quella del demonio, ripeté più volte il concetto con un parafrasare che ci mise francamente a disagio, ci sentivamo additate come “quelle che non hanno fatto il passaggio”.
Rimanemmo per tutta la Celebrazione e vi partecipammo ancora per altri sabati come anche ad alcune liturgie della parola. Fu durante una di queste liturgie che uno dei responsabili e precisamente quello che aveva parlato della presenza del demonio, ci chiamò da parte pregando di radunare, quanto prima, dei soldi, perché c'era una comunità, forse di [...], che si accingeva a fare un passaggio e perciò, cito le sue parole: “Dobbiamo fare come al solito, cioè tenere a loro disposizione una generosa cifra, caso mai non bastassero loro i soldi del primo giro di raccolte”.
Fu per me peggio di una pugnalata!!! Compresi che per noi, la prima volta era stato lo stesso. C'era stata altra gente che in qualche modo ci aveva aiutati! Era stato sempre un aiuto della Provvidenza, ma perché non dirlo chiaramente, perché celare quel senso di mistero e di magia per impressionarci!
Ne parlai col sacerdote responsabile e mi rispose che... non dovevo giudicare (?!). Non andai più in comunità.
Passato qualche tempo una mia amica mi disse che se volevo rientrare in comunità potevo andare a fare quel famoso secondo passaggio, nel quale dovevo palesare a tutti la mia “Croce”, potevo associarmi ad un'altra comunità di Roma e andare ad Arcinazzo. Risposi di no. Un anno dopo le persone con le quali ero stata in comunità per 3 anni si recavano ad Arcinazzo per lo “Shemà”. Chiesi se vi potevo partecipare come “esterna”: mi sarebbe piaciuto trascorrere qualche giorno in preghiera e raccoglimento. Mi fu risposto che dovevo parlare con il catechista capo: Giovanni.
L'idea non mi piacque per niente e risposi subito di no. Qualche giorno prima della festa annuale dedicata a S. Antonio, il sacerdote che suppliva il postro parroco sempre malato, mi chiamò dicendomi che Giovanni mi voleva parlare; risposi che non avevo niente da dirgli e non volevo vederlo, lui mi rispose di fare un gesto di obbedienza... e io, sebbene a malincuore, accettai l'invito.
Fui convocata presso la parrocchia di [...] per le ore 20.30 del 17 gennaio 1989. Pensavo di essere la sola con la quale l'équipe catechistica che veniva dalla comunità dei Martiri Canadesi di Roma, capeggiata da Giovanni, volesse parlare. Mi accorsi invece che era stato allestito una specie di tribunale per me ed altri 5 (mi pare) fratelli. Noi eravamo seduti gomito a gomito appoggati ad una parete e dalla parte opposta, di fronte a noi, gli inquisitori: Giovanni, sua moglie, |...], una signorina su 40 anni di cui non ho mai saputo il nome, il parroco di [...] e un neocatecumenale che aveva passato molti anni in India ed aveva l’aspetto di un vero indiano.
Cominciò l'interrogatorio di coloro che mi precedevano e io, mentre li sentivo articolare pietose risposte e giustificazioni, mi sentivo sempre più sgomenta e smarrita, non mi sarei mai aspettata una cosa del genere. Presa dall'impazienza chiesi che mi parlassero subito altrimenti sarei andata via!
Giovanni, allora, con fare di sopportazione ed autorità offesa cominciò a chiedermi se avevo fatto il passaggio, risposi di no e che sicuramente il Signore avrebbe deciso Lui quando sarebbe stato il momento. Non poté rispondermi. Mi chiese se volevo qualcosa, risposi che mi sarebbe piaciuto andare (a mie spese) ad Arcinazzo e unirmi alla comunità per le preghiere. Rispose che non lo potevo assolutamente fare se prima non facevo il famoso passaggio. Risposi se per caso c'era qualche passo del Vangelo in cui, a chi volesse unirsi agli altri per pregare, ciò era vietato.
Inoltre ripetei che spesso e dovunque il Papa ripeteva “aprite le porte a Cristo!”, nel senso di accogliere Gesù e i fratelli e aiutarli quando si trovavano in difficoltà...
Mi rispose Giovanni: “Devi obbedire e basta! Perché, che tu lo voglia o no, noi siamo Dio!”.
Mi sembrava di sognare, nessuno intervenne e lui aggiunse “se non proprio Dio siamo i suoi angeli!”.
Di nuovo nessuno rispose, mi aspettavo una parola dal sacerdote, da qualcuno dei presenti... nulla! Di scatto raccolsi la borsa mi alzai e me ne andai per sempre!
Io pensavo di fondare con alcune amiche un'associazione nuova, un movimento. Ma ho sentito dalla Madonna: 'No, è la Chiesa. Benedetta tu fra le donne sarà la Chiesa.' (Carmen) |
Nessuno dei così detti fratelli mi ha più cercata, fatta eccezione per una mia cara amica e parente che uscì con me insieme ad altre persone dalla comunità. Questa mia amica però dopo assidue pressioni e insistenti inviti è rientrata in comunità, è una insegnante come me, ma non si è sposata, quindi è più disponibile nel senso del tempo e denaro verso la comunità. Ormai le comunità neocatecumenali non ci sono più nella nostra parrocchia, si sono trasferite altrove.
È stata un’esperienza anche questa! Io ho sofferto, ma con l’aiuto del Signore e delle persone che mi vogliono bene ne sono venuta fuori. Devo dire però che per quello che riguarda i primi due anni di cammino neocatecumenale, esso è buono, è l’unica comunità che insegna ad accostarsi alle Scritture anche se prende troppo alla lettera l’antico testamento, e che, se guidata da sacerdoti intelligenti e capaci, catechizza veramente gli adulti. Deve restare però una scuola, un mezzo libero che aiuta la gente a conoscere e amare Dio accettando il Suo grande mistero. Se le comunità neocatecumenali devono diventare ordini religiosi allora è bene che i responsabili ne scrivano la “regola” e le persone che intendono farne parte devono sapere con chiarezza a che cosa vanno incontro.