Dalla predicazione di Kiko e dei catechisti del Cammino Neocatecumenale:
«Ci sono vescovi e sacerdoti che ci accusano di essere una chiesa parallela. Siamo noi la "vera Chiesa" perchè prendiamo il Vangelo sul serio. Se c'è una chiesa parallela è la loro, non la nostra»
Così esordisce Antonio Lombardi, uomo di legge e docente di Diritto, ex neocatecumenale, catechista per più di vent’anni, nel suo libro sul Cammino Neocatecumenale.
Il titolo del libro (Edizioni Segno, settembre 2018) è il seguente: “Quando Mosè diventa Faraone”, e il sottotitolo: “ovvero neocatecumenali protetti a vita nell’utero di massima sicurezza di una chiesa parallela fondata da Kiko Argüello”.
In pratica, con questo titolo, corredato dalla suggestiva immagine di un prigioniero aggrappato alle sbarre della propria cella, l’autore ha voluto assicurarsi del fatto che solo gettando uno sguardo fugace alla copertina del libro, prima ancora di leggere una delle sue 240 pagine, chiunque possa avere le notizie fondamentali sul movimento neocatecumenale, del fatto cioè che esso si presenta come Mosè, liberatore e salvatore, e finisce per essere un carceriere, un tiranno, che trattiene al proprio interno, come fosse un carcere di massima sicurezza, l’incauto che vi aderisce, il quale finisce per appartenere non più alla Chiesa cattolica, ma ad una chiesa parallela.
Nelle note biografiche dell’autore leggiamo:
«Antonio Lombardi per circa 22 anni è stato catechista del Movimento Neocatecumenale. Egli, pur non rinnegando questi anni di fede, in coscienza e con spirito di servizio ecclesiale, conviene con le tante critiche piovute in questi anni sui metodi e sulla dottrina kikiana, che non siano consoni all’insegnamento della Chiesa Cattolica.
Si può ancora porre rimedio a questo gigantesco problema o la chiesa parallela neocatecumenale è destinata a scomparire o a divenire una delle innumerevoli sette che costellano il panorama religioso?
L’intento dell’Autore, un uomo di legge, è teso al risanamento di questa grave piaga, che marcisce lentamente, come un cavallo di Troja, all’interno della stessa madre Chiesa cattolica, apostolica e romana!»
Siamo venuti a conoscenza per pura casualità dell'esistenza di questo libro; certi di fare cosa gradita all'Autore e ai nostri lettori, riportiamo alcuni brani tratti da esso, la cui lettura consigliamo a chi fosse interessato ad una conoscenza “dall’interno” del Cammino Neocatecumenale.
Dal Capitolo: “Nascita e struttura del Cammino neocatecumenale”
STRUTTURA GERARCHICA DEL CAMMINO NEOCATECUMENALE
Il Cammino Neocatecumenale è una struttura rigidamente verticistica che fa capo a Kiko Argüello e alla sua èquipe. Seguono le èquipe dei catechisti itineranti, dei catechisti responsabili nazionali, regionali, zonali, delle Comunità parrocchiali.
Ogni Comunità ha poi un “responsabile”, che assume anche il ruolo di capo- èquipe dei catechisti di quella Comunità.
Ogni èquipe è composta da laici (una o due coppie) e da un Presbitero. Uno di questi laici ha il compito di “responsabile capo- èquipe” con poteri assoluti, superiori a quelli del presbitero.
Le catechesi, gli incontri, gli scrutini eccetera sono condotti dal capo- èquipe e dagli altri laici; uno spazio marginale viene concesso al sacerdote, il quale, se di carattere debole e remissivo, viene piegato a tutte le decisioni del capo- èquipe e degli altri catechisti.
Per essere catechisti, non occorre nessuna preparazione culturale o teologica, per cui anche un ex ateo, una persona di scarsa cultura, che mai prima abbia frequentato la Chiesa, può essere nominato di punto in bianco “catechista”, con poteri che nessun laico ha nella Chiesa!
La scelta non ricade su chi abbia dimostrato maggior adesione di vita alla Parola di Dio, ma su coloro che offrono maggiori garanzie di obbedienza cieca ai catechisti delle gerarchie superiori.
Si viene a creare così un sistema verticistico di potere assoluto e sicuro che fa capo a Kiko.
Chi nel Cammino tenta un dialogo o chiede spiegazioni su quanto dicono i catechisti è guardato con sospetto ed è tenuto sotto osservazione dal responsabile, il quale tiene i contatti con i catechisti che seguono quella comunità ed ha il dovere di informarli periodicamente sul comportamento di ogni singolo aderente (se frequenta regolarmente il Cammino, se è ubbidiente alle disposizioni dei catechisti, se mette “la sua vita in comune”, cioè se parla dei suoi problemi e peccati in comunità, se si sottomette docilmente oppure ”mormora” ecc.
Quando la persona più affidabile viene nominata responsabile di una Comunità, i catechisti le dicono alla presenza di tutti e in un linguaggio specifico e consueto:
“Da questo momento tu sei nella Comunità l’occhio e l’orecchio dei catechisti”.
Ai catechisti non viene richiesta nessuna preparazione teologica, che, anzi, è motivo di ironia ed indice di mancanza di fede nella “forza della Parola”.
Dal Capitolo: “Quando Mosè diventa … Faraone”
PRIMA LA COMUNITA'... POI I FIGLI
“Dopo la Messa vespertina viene a trovarmi in sagrestia una ex-parrocchiana che non vedevo da tempo. Ci siamo fermati a parlare... Apparentemente era sorridente e serena, ma a poco a poco ha cominciato a manifestare un profondo disagio interiore.
Era piena di sensi di colpa verso Dio, perché convinta che Lo deve accontentare e servire andando a tutti gli incontri della sua Comunità neocatecumenale, in cui si trova da circa 18 anni. Accontentare e servire rinunciando a se stessa, alla famiglia, al tempo libero e persino alla sua legittima libertà di pensare.
Mi confida, tra l'altro, che una domenica ha sentito il permesso interiore di approfittare dei pochi giorni di ferie e di andare al mare con i suoi figli, rinunziando ad una convivenza con la sua comunità.
Non l'avesse mai fatto!
Ad un incontro successivo fu accusata pubblicamente dai suoi catechisti laici di idolatrare la famiglia e di non sapere mettere Dio al primo posto!
L'abbattimento morale ed i sensi di colpa la prostrarono fino alle lacrime. Ed una espressione di amarezza accompagnava a distanza di tempo il suo racconto.
Quando le dico che c'è più crescita spirituale nel godere un momento di relax e di comunione con i figli, piuttosto che andare ad un incontro comunitario controvoglia, mi guarda frastornata ed esclama con una espressione di impotenza:
“Lo so, ma non riesco più ad essere libera senza sentirmi in colpa!”
Non sto parlando di una classica bigotta da sagrestia, ma di una donna intelligente, colta, dedita al suo lavoro in campo sanitario.
Mi sono sentito profondamente triste.
Possibile che dopo tanti anni di cammino nessuno le abbia annunziato veramente il Vangelo?
Che nessuno le abbia rivelato il vero volto di Dio e che i suoi catechisti del Cammino, invece, le abbiano rinforzato il fantasma di certi tiranni terreni, ai quali immolare perfino gli affetti?” (Don M. Marini).
QUANDO MOSÈ DIVENTA FARAONE
Impossibile trovare nel Cammino neocatecumenale persone davvero libere, spiritualmente svezzate e che, magari dopo un tempo ragionevole di formazione, continuano a crescere in direzione dell’autonomia e della maturità umana.
Nessuno sospetta che Kiko, sedicente nuovo Mosè, si sia trasformato in Faraone.
Nessuno all’interno di questo movimento si accorge che nelle comunità il conformismo uccide l’unicità, le regole la spontaneità, gli obblighi la libertà, la sottomissione cieca ai catechisti l’obbedienza allo Spirito.
LA DIPENDENZA EMOTIVA
Il fenomeno della dipendenza emotiva è particolarmente drammatico in tutte le esperienze religiose in cui il capo fondatore, ponendosi come alternativa con la Chiesa ufficiale, si presenta come guida unica e assoluta.
Costui quasi sempre è una persona che sente il bisogno di essere leader, di dominare; per questo anche Kiko è diventato possessivo nei confronti del movimento da lui fondato, che considera una sua “creatura”, e pretendendo cieca obbedienza, di fatto si è trasformato da liberatore a faraone.
Ed allora all’interno del Cammino neocatecumenale i segni del malessere diventano presto evidenti: senso di costrizione, rabbia latente pronta ad esplodere, sensi di colpa e di oppressione fisica; ci si sente “costretti”, chiusi imprigionati.
Ma nessuno osa manifestare sentimenti del genere: ci si sentirebbe colpevoli, diversi, fuori dalla volontà di Dio!
Pertanto lasciare un gruppo così strutturato, specie dopo anni di appartenenza, non è facile.
OPPRESSIONE IN NOME DI DIO
Non è facile, perché il catechista-faraone che ti opprime e che si è impossessato della tua vita è anche il padre che ti nutre, si prende cura di te, non ti lascia solo, ti guida con precetti e norme.
Ti dice quando vendere i beni, come e quando pregare! Egli prende la tua vita nelle sue mani e ti libera dal peso di gestirla da te; e tu lo segui ciecamente, perché ti ha convinto che grande peccato è ragionare, somma virtù “rinunziare a pensare”!
È vero che ti opprime con le sue assurde richieste, per cui ti ha costretto a trascurare i figli,
la famiglia, il lavoro; ma ti ha anche convinto che tutto quello che ti chiede è “volontà di Dio”.
Come dirgli di no?
Come tirarsi indietro?
E poi, dove andare?
Dopo anni di isolamento, chi tentasse di uscire dall’utero di protezione del Cammino neocatecumenale, che si considera la “vera chiesa”, si sentirebbe straniero persino nella propria comunità parrocchiale di appartenenza.
Così molti si rassegnano al peso delle catene che portano, tanto da considerarle normali o “volontà di Dio”!
MA DIO CI LIBERA DA QUESTE CATENE
“Se vuoi essere mio discepolo prendi la tua croce!”
E la croce potrebbe essere questa: lasciare il catechista-faraone che ti tiene legato in nome di Dio!
Ma per farlo occorre la potenza della Grazia ed il coraggio di riappropriarsi della propria vita.
Occorre un vero ministro di Dio che annunci la verità; che Dio è Padre e non padrone; che Egli è il nostro liberatore e che sta dalla nostra parte; che ha rispetto di noi e non dice “devi” ma “se vuoi”; che se sentiamo il desiderio di andare al mare con i figli, non ci obbliga a lasciarli a casa per seguire la comunità.
Perché è proprio la Comunità a trasformarsi in idolo quando, per servirla, costringe a sacrificare persino gli affetti familiari; che anzi possiamo rendere vera lode all’Altissimo gustando il sapore degli affetti, la bellezza del mare e il calore del sole.
Nel Cantico di San Damiano si trovano queste parole:
“Ognuno di noi porta con sé un sogno: Dio ci aiuta a costruirlo!”
Quale liberazione scoprire che Dio non mette catene alla nostra mente; che Egli è Colui che ci riscatta dalla prigione in cui altri ci conducono (anche se in buona fede e per amore a noi); Egli è Colui che desidera i nostri desideri, sogna i nostri sogno, muove le nostre energie, esalta ed orienta la nostra libertà!
Dal Capitolo: “Confessione pubblica dei peccati”
SACRALITÀ DELLA COSCIENZA VIOLATA DA KIKO
Nel corso degli scrutini tutti i componenti di una Comunità vengono messi a turno al centro dell’assemblea, di fronte ai catechisti, che, in veste di giudici ed esaminatori, li sottopongono ad un interrogatorio che può durare anche due ore.
Si tratta di un interrogatorio condotto con stile paterno, profetico e a volte anche minaccioso.
Si arriva, in pratica, alla confessione pubblica dei propri peccati, anche i più intimi e scabrosi, sotto l’interrogatorio di catechisti laici.
La confessione dei peccati, mettendo pubblicamente a nudo la propria vita, è condizione indispensabile per essere ammessi alle tappe successive del Cammino.
Questa confessione dei propri peccati è vissuta da molti malvolentieri e solo per ubbidienza ai catechisti, da altri magari con convinzione e pentimento fino alle lacrime, ma deleteria sull’equilibrio psico-fisico del soggetto e nei suoi effetti su un uditorio non preparato.
Kiko sostiene di ispirarsi alla “Redditio” fatta dai catecumeni della Chiesa primitiva; ma nessun documento attesta tale pratica.
Premesso che il Catecumenato della Chiesa primitiva durava circa 3 anni e non 30-40 come il neocatecumenato di Kiko, a nessun catecumeno veniva richiesto di confessare pubblicamente i propri peccati.
Solo coloro che si erano macchiati di peccati di pubblico dominio, e quindi conosciuti da tutti, come l’omicidio, l’adulterio o l’apostasia, veniva chiesto un atto pubblico di pentimento prima di poter ricevere il battesimo.
Ma oggi neppure al capo mafioso pluriomicida pentito la Chiesa osa chiedere una dichiarazione pubblica di pentimento: la sfera intima della persona è sacra.
Ma tale sacralità sembra ignorata da Kiko e dai suoi catechisti.
UNO SPETTACOLO PENOSO
Il sacerdote, ridotto spesso al ruolo di semplice “comparsa”, serve a dare l’illusione che ciò che essi fanno sia voluto e permesso dalla Chiesa.
Nel corso della “Redditio”, la confessione pubblica dei propri peccati - anche di quelli lontani nel tempo, ormai confessati, perdonati e dimenticati da Dio – avviene in chiesa, alla presenza di tutti i componenti delle altre comunità e dei parrocchiani. Viene anche gente da altre parrocchie, richiamata dalla curiosità.
Kiko è convinto che questo gesto così eclatante ed inconsueto, volto cioè a testimoniare le “vittorie di Gesù Cristo” sui propri peccati, sia un segno di fede e di libertà così forte, da poter richiamare altri nel Cammino.
Ma il risultato è completamente opposto: tutti coloro che assistono a questo “penoso spettacolo” fuggono lontano da una simile esperienza!
I catechisti dicono che si è davanti alla Croce e che bisogna raccontare tutto della propria vita, per testimoniare le “vittorie di Gesù Cristo”.
E così si sente di tutto:
chi confessa peccati di masturbazione davanti ai figli e tutta l’assemblea di catecumeni e curiosi;
chi rivela di aver avuto amanti;
chi confessa di aver abortito;
chi racconta di aver avuto rapporti omosessuali;
chi tira fuori rancori ed odi, magari sepolti ormai da anni, verso i propri genitori o persone assenti…
Molti affrontano questa prova con timore e grande sofferenza.
Ma come tirarsi indietro?
Significherebbe uscire dal Cammino!
E dove andare, visto che in tanti anni di isolamento tutti i ponti con le altre realtà parrocchiali e diocesane sono stati abbattuti?
UNA PRATICA CONDANNATA DALLA CHIESA, MA DIFESA DA KIKO
La Chiesa ha sempre condannato la confessione pubblica dei peccati.
A tale proposito interessante ed attuale è la posizione del Papa Leone I, alla notizia di tale pratica in alcune comunità della Calabria:
“Dispongo che venga rimossa in tutti i modi quella temerarietà che è anche contro la regola apostolica, di cui recentemente ho appreso, che viene commessa da alcuni circa la confessione pubblica che viene richiesta dai fedeli.
Dispongo che non si proclami pubblicamente nessun privato peccato, essendo sufficiente che la colpa della coscienza venga manifestata ai soli sacerdoti con confessione segreta.
Sebbene infatti, sembra essere lodevole una pienezza di fede, che per timore di Dio non abbia soggezione ad arrossire presso gli uomini, tuttavia dispongo che sia rimossa una consuetudine tanto inaccettabile, affinchè molti non vengano allontanati dalla fede e dal beneficio della confessione, per il timore di dover pubblicamente confessare i propri peccati!” (Dalla lettera “Magna indignatione” di Leone I ai vescovi di Calabria).
Dal Capitolo “Unici e irripetibili”
AZZERAMENTO SPIRITUALE
Chi entra nel Cammino, anche se cattolico praticante e con una ricca e sincera vita spirituale alle spalle, viene inesorabilmente subito “azzerato” a livello spirituale e riportato “in Egitto”, cioè al punto iniziale della vita spirituale, in quanto solo nel Cammino, a detta di Kiko e dei suoi catechisti, c’è vera conversione e si trova la vera chiesa.
Nella fase iniziale di evangelizzazione neocatecumenale c’è una catechesi specifica, intitolata “Esodo”.
Con questa catechesi si presentano ai futuri membri della nascente comunità le varie tappe della storia della salvezza: Egitto, Passaggio del Mar Rosso, Deserto, Sinai, Terra Promessa.
Alla fine delle catechesi si interrogano le persone, ponendo loro queste domande:
“Tu, fratello mio, dove ti trovi in questa storia della salvezza? Sei in Egitto? Sei nel Deserto? Dove ti trovi?”
OPERA DI DEMOLIZIONE
Opportunamente stimolati e pressati, tutti devono dare delle risposte, per essere successivamente “illuminati” dal catechista.
Se qualcuno sostiene, ad esempio, di trovarsi nel “Deserto”, comincia da parte del catechista, a volte con un sorrisini di sarcastica ironia, l’opera di demolizione con domande del tipo:
“Se dici di essere arrivato nel Deserto, quando sei stato in Egitto? Quali erano i peccati che ti rendevano schiavo? Me li puoi elencare? Chi è stato il tuo Mosè che ti ha portato fuori dall’Egitto? Me lo puoi indicare con nome e cognome? E quando hai passato il Mar Rosso?”
Insomma alla fine tutti devono riconoscere:
- di non aver mai fatto un vero cammino spirituale prima di allora;
- di non aver mai lasciato l’Egitto;
- di non aver mai avuto un Mosè nella loro vita;
- che i catechisti del Cammino saranno finalmente i loro Mosè.
Anche il parroco, se accetta il Cammino, deve riconoscere di trovarsi ancora in Egitto e che inizierà anche per lui un esodo sotto la guida dei catechisti laici; è come se mai fosse stato in seminario, come se non avesse fatto nessun cammino spirituale prima di allora.
“TU SEI UNA… CACCA”
A tale proposito un significativo episodio.
Una èquipe di catechisti itineranti viene ricevuta da un parroco (per prudenza non riferiamo né la diocesi né la parrocchia) il quale aveva chiesto il Cammino nella sua parrocchia.
Il capo-èquipe ad un certo punto chiarisce che anche il parroco dovrà fare il cammino come tutti gli altri, perchè anche lui è un peccatore e ha bisogno di convertirsi.
Quel sacerdote fa presente che avrebbe potuto seguire una eventuale comunità, ma che non si sarebbe potuto impegnare a fare il Cammino!
La discussione si fa progressivamente più animata; i catechisti insistono e alla fine quel povero parroco dichiara: “…io il mio cammino di conversione l’ho iniziato con gli anni di seminario… non penso che debba ricominciare ora partendo da zero”.
A questo punto quel capo-èquipe, per dimostrare a quel parroco che non aveva lo spirito di Gesù Cristo, che non era capace di resistere al male e quindi non era convertito, gli dice: “Tu sei una merda!”
Incredulo ed allibito, quel parroco invitò quei catechisti ad andare via.
Mentre uscivano dalla sacrestia, uno di loro esclamò: “Hai visto che non sei convertito? Che non sai resistere al male? Che non hai lo spirito di Gesù Cristo? Almeno ti abbiamo fatto luce!”.
Il comportamento di tali catechisti, lungi dall’essere condannato, veniva citato all’interno del Cammino come esempio da imitare, in quanto “il catechista è un profeta con la missione di fare luce e convincere gli altri di peccato”.
Dal Capitolo: “Interpretazione oltranzista della parola sull’apertura alla vita e violenze psicologiche sulle coppie per indurle a fare figli per il cammino”
PATERNITÀ IRRESPONSABILE
È cosa risputa che, nel Cammino, Kiko ed i suoi catechisti spingano le coppie, attraverso un lento processo di condizionamento spirituale che sfocia di fatto nel fanatismo, ad un’apertura alla vita “irresponsabile”, dando anche in questo campo un’interpretazione oltranzista e fideistica della Parola.
Così esibiscono come coppie dalla “fede adulta” tutte quelle che si sono distinte e si distinguono per l’alto numero dei figli: sei, otto, dodici e oltre!
Ma i risvolti negativi sono spesso drammaticamente e prudentemente mantenuti segreti: bambini che vivono senza la presenza dei genitori (sempre impegnati nel Cammino) e nella più totale precarietà igienica e affettiva, spesso con crescenti disturbi psichici, tali da costringere spesso i genitori ad affidarli alle cure di specialisti.
Spesso succede anche che all’interno di queste coppie qualcuno attraversi momenti di gravi crisi depressive; non occorre molta fantasia per intuire i problemi di varia natura in una famiglia di otto o dieci figli con un solo stipendio!
Crisi depressive che sfociano in alcuni casi di squilibri mentali e comportamentali veri e propri, che incidono negativamente sull’unità della coppia e sulla vita della famiglia nel suo complesso.
Non sono mancati e non mancano nel cammino casi di suicidio o di tentato suicidio a causa di tali problemi.
Ma anche di fronte a fatti del genere, che non sempre si riesce a tenere nascosti, i catechisti, lungi dal mettere in discussione la loro predicazione oltranzista sull’apertura alla vita, trovano la classica risposta intrisa di fideismo: “Il Signore sta permettendo questo…! È con questa storia che ti vuole salvare”.
LA TESTIMONIANZA DI UNA COPPIA
“Siamo una coppia di ex appartenenti al cammino neocatecumenale, del quale abbiamo fatto parte per molti anni: prima come singoli, poi come coppia sposata, infine come genitori.
Come tutti ben sappiamo, il cammino incoraggia le coppie all’apertura alla vita, intesa come disponibilità costante alla procreazione, senza porre alcun limite al numero dei figli da accogliere.
Accade poi che in ogni comunità ci siano famiglie più o meno numerose accanto ad altre in cui i figli sono uno o due al massimo. Ci sono infine delle coppie che, non potendo avere figli naturali, vengono indirizzate verso l’adozione.
Durante gli scrutini, in particolar modo nel secondo passaggio, i catechisti indagano a fondo, interrogando i coniugi in merito alla questione, ed è soprattutto la seconda tipologia di coppia ad essere presa di mira: chi non ha molti figli, infatti, è fortemente sospettato di porre dei limiti alla propria fertilità, per vivere la vita secondo disegni propri anziché secondo il progetto di Dio.
Durante la nostra permanenza nel cammino abbiamo incontrato molte di queste coppie, ed abbiamo potuto constatare che quasi sempre la decisione di limitare i figli a uno o due era dettata da motivazioni serie, quali ad esempio la necessità di occuparsi di familiari malati o disabili o la paura (per le donne) di perdere l’impiego.
Queste motivazioni venivano contestate dai catechisti, utilizzando le solite formule fideistiche: “lasciate che sia il Signore ad occuparsi dei vostri cari” oppure “lasciate il lavoro e vedrete l’intervento della Provvidenza nella vostra famiglia”.
A questo punto alcuni si ribellano e lasciano il cammino, scandalizzati da un’intromissione così pesante nell’intimità della loro coppia; altri temporeggiano ma con disagio, dando credito all’accusa loro rivolta di non essere ancora arrivati a una vera conversione.
Infine c’è chi accetta di aderire completamente ai dettami dei catechisti, imboccando una strada che per qualcuno corrisponde a quanto realmente desidera e si sente pronto ad affrontare, ma per molti altri è vissuto come un’imposizione o quantomeno come un compito gravoso.
Abbiamo visto con i nostri occhi coppie in reale difficoltà, sia economica che psicologica; donne che annunciavano in lacrime una nuova gravidanza quando ancora non si erano riprese dalla precedente; mariti preoccupati perché il peso della famiglia numerosa gravava interamente sulle loro spalle.
Ma abbiamo raccolto anche confidenze di figli che si sentivano trascurati da genitori spesso impegnati la sera con i continui incontri richiesti dal cammino, ragazzi che dovevano accudire i fratelli piccoli quando i genitori uscivano per le convivenze della comunità di uno o tre giorni e che non disponevano in casa di uno spazio tranquillo in cui poter studiare in pace.
Per tanto tempo abbiamo ascoltato le catechesi sull’argomento cercando di avere un atteggiamento umile e disponibile, ma i dubbi erano tanti.
Siamo purtroppo arrivati ad una conclusione ben triste: all’interno delle comunità neocatecumenali le coppie che mettono al mondo più figli di quanto ragionevolmente consentirebbe la loro condizione non solo economica, ma anche fisica e psicologica, si legano indissolubilmente al Cammino.
Questo perché, non avendo spesso il padre la possibilità di mantenere dignitosamente la famiglia (tenendo conto che la mamma non può certo lavorare), si trova costretto a chiedere denaro al responsabile della comunità, che raccoglie mensilmente la “decima” ed eroga le somme a chi ne fa richiesta secondo criteri non molto chiari.
Siamo entrambi convinti del fatto che i figli sono un dono di Dio e non un diritto dei genitori. Nel giorno del nostro matrimonio abbiamo con piena consapevolezza risposto alla domanda che ci è stata posta. “Siete disposti ad accogliere responsabilmente e con amore i figli che Dio vorrà donarvi e ad educarli secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa?”
Secondo noi il punto sta proprio nel termine “responsabilmente”: siamo responsabili davanti a Dio dei figli che ci vengono affidati e siamo tenuti a crescerli ed educarli con amore e attenzione.
Ogni coppia ha una situazione diversa e non si può imporre indistintamente un identico comportamento. Questo non significa porre in essere dei comportamenti contro la morale cristiana, ma nemmeno ricercare il figlio a tutti i costi, come avviene spesso nelle comunità giovani dove si assiste a una specie di gara nella quale le famiglie più numerose sono da emulare.
A nostro avviso solo una mente malata può spingere le coppie ad avere quanti più figli possibile, salvo poi accusarle di idolatria quando esitano ad affidarli a mani estranee per dedicarsi ai doveri del cammino.
Un simile modello familiare mortifica entrambi i genitori e può avere gravi conseguenze sullo sviluppo psicologico dei figli stessi.
Grazie per la fiducia e l’attenzione!” (A. e C., ex neocatecumeni di una comunità della Calabria)
(Estratti dal libro "Quando Mosè diventa Faraone " di A.Lombardi - Edizioni Segno)