martedì 20 novembre 2007

Il Vaticano su Liturgia e Arte Sacra

Inserisco i punti salienti di una intervista pubblicata dall'Osservatore Romano, rilasciata nei giorni scorsi dal segretario della Congregazione per il Culto Divino, l'arcivescovo Albert Malcom Ranjith, in ordine al dibattito sulla Liturgia, che ci riguarda così da vicino.

Come lei stesso ha ricordato, dalla Mediator Dei ai documenti conciliari la centralità di Cristo nella liturgia è sempre affermata con chiarezza e vigore: la cosiddetta Chiesa postconciliare ha saputo incarnare pienamente questa realtà?
Con questo tocchiamo un tasto doloroso. C'è infatti un problema pratico: il valore delle norme e delle indicazioni dei libri liturgici non è stato pienamente capito da tutti nella Chiesa. Faccio un esempio. Quello che accade sull'altare è ben spiegato nei testi liturgici, evidentemente, però, certe indicazioni non sono state prese del tutto sul serio: c'è infatti una certa tendenza a interpretare la riforma liturgica postconciliare utilizzando la "creatività" come regola. Questo non è permesso dalle norme. La liturgia in certi luoghi non sembra riflettere il suo cristocentrismo ma esprime invece uno spirito di immanentismo e di antropocentrismo. La verità è ben diversa: un vero antropocentrismo deve essere cristocentrico. Quello che succede sull'altare è un qualcosa che non operiamo noi: è Cristo che agisce e la centralità della figura di Cristo sottrae quell'atto al nostro governo. Noi siamo assorbiti e ci facciamo assorbire in quell'atto, tanto che alla fine della preghiera eucaristica pronunciamo la stupenda dossologia che recita: "Per Lui, in Lui e con Lui".
La tendenza "creativa" cui accennavo non è permessa dalle istruzioni dei libri liturgici. Purtroppo essa deriva da una cattiva interpretazione dei testi o forse da una scarsa conoscenza di essi e della liturgia stessa.
Dobbiamo renderci conto che la liturgia ha una peculiare caratteristica "conservativa" - ma non nell'accezione negativa che oggi alcuni danno alla parola. Nell'Antico Testamento emerge una grande fedeltà ai riti e lo stesso Gesù ha continuato a essere fedele al rituale dei padri. In seguito, la Chiesa ha proseguito su questa stessa linea. San Paolo afferma: "Io trasmetto a voi ciò che ho ricevuto" (1 Corinzi, 11, 23), e non "ciò che ho inventato". Questo è un aspetto centrale: noi siamo chiamati a essere fedeli a qualcosa che non ci appartiene ma che ci viene dato; dobbiamo essere fedeli alla serietà con cui si celebrano i sacramenti. Perché dovremmo riempire pagine e pagine di istruzioni se poi ciascuno si ritiene autorizzato a fare quello che vuole?

Dopo la pubblicazione del motu proprio Summorum Pontificum si è riacceso il confronto tra i cosiddetti tradizionalisti e innovatori. Ha senso una contrapposizione del genere?
Assolutamente no. Non c'era e non c'è una cesura tra un prima e un dopo, c'è invece una linea continuativa. Parlando del motu proprio ritorniamo piuttosto al discorso appena affrontato. Riguardo alla messa tridentina c'è stata una domanda crescente nel tempo, via via sempre più organizzata. Di contro, la fedeltà alle norme della celebrazione dei sacramenti continuava a calare. Più diminuivano tale fedeltà, il senso della bellezza e dello stupore nella liturgia, più aumentava la richiesta per la messa tridentina. E allora, di fatto, chi ha realmente chiesto la messa tridentina? Non solo quei gruppi, ma anche coloro che hanno avuto poco rispetto per le norme della celebrazione degna secondo il Novus ordo.
Per anni la liturgia ha subìto troppi abusi e tanti vescovi li hanno ignorati. Papa Giovanni Paolo II aveva fatto un accorato appello nell'Ecclesia Dei afflicta che altro non era se non un richiamo alla Chiesa ad essere più seria nella liturgia. La stessa cosa è avvenuta con l'istruzione Redemptionis sacramentum. Eppure in certi circoli di liturgisti e uffici di liturgia questo documento è stato criticato. Il problema quindi non era la richiesta della messa tridentina, quanto piuttosto un abuso illimitato della nobiltà e della dignità della celebrazione eucaristica.
Di fronte a ciò il Santo Padre non poteva tacere: come si nota nella lettera scritta ai vescovi sul motu proprio e anche nei suoi molteplici discorsi, egli sente un profondo senso di responsabilità pastorale. Questo documento perciò - oltre ad essere un tentativo di cercare l'unione con la Fraternità Sacerdotale san Pio X - è anche un segno, un forte richiamo del pastore universale a un senso di serietà.

È un richiamo anche a chi forma i sacerdoti?
Direi di sì. Del resto di fronte a certe concezioni arbitrarie e poco serie della liturgia c'è da chiedersi cosa s'insegna in alcuni seminari.
Non ci si può accostare alla liturgia con atteggiamento superficiale e poco scientifico. Questo vale per chi adotta un'interpretazione "creativa" della liturgia, ma anche per chi presume troppo facilmente di stabilire come era la liturgia alle origini della Chiesa. Occorre sempre un'attenta esegesi, non ci si può lanciare in ingenue interpretazioni.
Oltre tutto in alcuni circoli liturgici c'è una certa tendenza a sottovalutare quanto la Chiesa ha maturato nel secondo millennio della sua storia. Si parla di impoverimento del rito, ma questa è una conclusione troppo banale e semplicistica: noi crediamo invece che la tradizione della Chiesa si manifesti in uno sviluppo continuo. Non possiamo dire che una parte è migliore di un'altra: ciò che conta è l'azione dello Spirito in continua crescita, pur negli alti e bassi della storia. Noi dobbiamo essere fedeli alla continuità della tradizione.
La liturgia è centrale per la vita della Chiesa: lex orandi, lex credendi, ma anche lex vivendi. Per un rinnovamento vero della Chiesa - desiderato tanto dal Concilio - è necessario che non si limiti la liturgia a uno studio solo accademico, ma che questa diventi una priorità assoluta nelle Chiese locali. Perciò è importante che alla formazione liturgica secondo la mente della Chiesa sia data la giusta importanza a livello locale. In fin dei conti la vita sacerdotale è strettamente legata a quello che il sacerdote celebra e a come lo celebra. Se un sacerdote celebra bene l'Eucaristia è sfidato a essere coerente e a diventare parte del sacrificio di Cristo. La liturgia diventa così fondamentale per la formazione di sacerdoti santi. È questa una grande responsabilità dei vescovi che possono così fare tanto per un vero rinnovamento della Chiesa.

Un aspetto non secondario del dibattito sulla liturgia è senz'altro quello dell'arte sacra, a cominciare dall'importante capitolo della musica liturgica. Tra l'altro "L'Osservatore Romano" proprio nei giorni scorsi ha affrontato questi temi riportando delle considerazioni non certo rassicuranti di monsignor Valentín Miserachs Grau.
La Congregazione sta ancora studiando il documento per il nuovo antifonale, abbiamo anche consultato lo stesso Pontificio Istituto di Musica Sacra e speriamo di poter arrivare a una rapida conclusione.
Cantare significa pregare due volte e questo vale soprattutto per il canto gregoriano che è un tesoro inestimabile. Il Papa nella Sacramentum caritatis ha parlato chiaramente della necessità di insegnare nei seminari il canto gregoriano e la lingua latina: noi dobbiamo custodire e valorizzare tale immenso patrimonio della Chiesa cattolica e utilizzarlo per rendere lode al Signore. Bisogna sicuramente lavorare ancora su questo aspetto.
Vi sono poi nell'uso comune molti canti che non si rifanno alla tradizione del gregoriano: è importante assicurare che siano edificanti per la fede, che alimentino spiritualmente chi partecipa alla liturgia e che dispongano realmente il cuore dei fedeli all'ascolto della voce di Dio. I contenuti, poi, devono essere controllati dai vescovi per evitare, ad esempio, tendenze new age.
A questo riguardo anche nell'uso degli strumenti musicali bisogna esercitare un grande senso di discrezione: che tutto sia solo per l'edificazione della fede.

Nel campo dell'architettura sacra il dialogo con gli specialisti sembra più delineato; più difficoltoso sembra invece quello con gli artisti figurativi. Se alcuni grandi artisti contemporanei appaiono coinvolti nell'interpretazione dei temi sacri, ciò accade molto meno per la produzione pensata appositamente per i luoghi di culto. È solo un problema di committenze o il dialogo tanto sostenuto da Paolo VI necessita di nuovo impulso?
Il Concilio ha dedicato un intero capitolo all'arte sacra. Tra i principî affermati, essenziale è quello del legame tra arte e fede.
Il dialogo è fondamentale. Ogni artista è una persona tutta particolare, ha un suo stile di cui è molto orgoglioso. Bisogna saper entrare nel cuore dell'artista con la dimensione della fede. È difficile, ma la Chiesa deve trovare le vie per un dialogo più profondo.
Il 1° dicembre ci sarà - sul tema - una giornata di studio in Vaticano organizzata dalla Congregazione: noi contiamo che possa essere un'occasione per dare impulso a questo dialogo e alla promozione dell'arte sacra.
(©L'Osservatore Romano - 19-20 novembre 2007)

sabato 17 novembre 2007

Per amore del Papa! Ecco cosa seguiamo!


Dal Libro-Intervista Rapporto Sulla Fede - Vittorio Messori a colloquio con Joseph Ratzinger

"Punto irrinunciabile di partenza è, ancora e sempre, una prospettiva religiosa, al di fuori della quale ciò che è servizio apparirebbe intolleranza, ciò che è sollecitudine doverosa sembrerebbe dogmatismo. Se si entra dunque in una dimensione religiosa, si comprende come la fede sia il bene più alto e prezioso, proprio perché la verità è l'elemento fondamentale per la vita dell'uomo.

Dunque, la preoccupazione perché la fede non si corrompa dovrebbe essere considerata - almeno dai credenti - ancor più necessaria della preoccupazione per la salute del corpo. Il vangelo ammonisce di "non temere coloro che uccidono il corpo", ma di temere "piuttosto coloro che,assieme al corpo, possono uccidere anche l'anima" (Mt 10,28). E lo stesso vangelo che ricorda come l'uomo non viva di "solo pane", ma innanzitutto della "Parola di Dio" (Mt 4,4). Ma quella Parola, più indispensabile del cibo, va accolta nella sua autenticità e va preservata da ogni alterazione. È lo scetticismo di fronte alla possibilità per l'uomo di conoscere la verità con la conseguente perdita del concetto vero di Chiesa e l'appiattimento della speranza nella sola storia(dove ciò che soprattutto conta è il "corpo" il "pane", non più "l’anima", la "Parola di Dio) che ha fatto sì che appaia irrilevante, quando non anacronistico o addirittura dannoso, il servizio di una Congregazione come quella per la dottrina della fede".

(...)
"Circolano dei facili slogans. Secondo uno di questi, ciò che oggi conta sarebbe solo l'ortoprassi, cioè il "comportarsi bene", l’"amare il prossimo". Sarebbe invece secondaria, se non alienante, la preoccupazione per l'ortodossia e, cioè, il "credere in modo giusto", secondo il senso vero della Scrittura letta all'interno della Tradizione viva della Chiesa. Slogan facile perché superficiale: infatti i contenuti dell'ortoprassi, dell'amore per il prossimo, non cambiano forse radicalmente a seconda dei modi di intendere l'ortodossia? Per trarre un esempio attuale dal tema scottante del Terzo Mondo e dell'America Latina: qual è la giusta prassi per soccorrere i poveri in modo davvero cristiano e dunque efficace? La scelta di una retta azione non presuppone forse un retto pensiero,non rinvia forse alla ricerca di una ortodossia?"

mercoledì 14 novembre 2007

Il Papa, S. Girolamo e l'interpretazione della Scrittura


Dalla catechesi odierna del Papa che ripropone la figura di S. Girolamo:

"Per Girolamo un fondamentale criterio di metodo nell'interpretazione delle Scritture era la sintonia con il magistero della Chiesa. Non possiamo mai da soli leggere la Scrittura. Troviamo troppe porte chiuse e scivoliamo facilmente nell’errore. La Bibbia è stata scritta dal Popolo di Dio e per il Popolo di Dio, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. Solo in questa comunione col Popolo di Dio possiamo realmente entrare con il "noi" nel nucleo della verità che Dio stesso ci vuol dire. Per lui un'autentica interpretazione della Bibbia doveva essere sempre in armonica concordanza con la fede della Chiesa cattolica.

Non si tratta di un’esigenza imposta a questo Libro dall’esterno; il Libro è proprio la voce del Popolo di Dio pellegrinante e solo nella fede di questo Popolo siamo, per così dire, nella tonalità giusta per capire la Sacra Scrittura. Perciò Girolamo ammoniva: "Rimani fermamente attaccato alla dottrina tradizionale che ti è stata insegnata, affinché tu possa esortare secondo la sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono» (Ep. 52,7). In particolare, dato che Gesù Cristo ha fondato la sua Chiesa su Pietro, ogni cristiano – egli concludeva - deve essere in comunione «con la Cattedra di san Pietro. Io so che su questa pietra è edificata la Chiesa» (Ep. 15,2). Conseguentemente, senza mezzi termini, dichiarava: «Io sono con chiunque sia unito alla Cattedra di san Pietro» (Ep. 16)."

Che dire della "interpretazione fai da te" propria del Cammino neocatecumenale, più vicina al "sola Scriptura" di Lutero, proprio per il voluto rinnegamento di 2000 anni di storia della Chiesa, da Costantino al Vaticano II? Non solo i catechisti ma anche 'presbiteri' formati nei seminari neocatecumenali o divenuti tali sono soliti alzare con arroganza le spalle o dire apertamente che la cosa non li riguarda, se qualcuno fa notare dettami del Magistero da loro non applicati soprattutto nella celebrazione della Santa e Divina Liturgia...

lunedì 12 novembre 2007

Il Luogo Sacro: un senso profondo e irrinunciabile


Su sollecitazione di Steph, rispondendo ad una domanda di "anonimo nc", meditiamo sulla profonda valenza della Chiesa come "Luogo Sacro", quindi Luogo della Presenza Viva e Vera di Dio. Partiamo dall'Insegnamento della Chiesa Cattolica, nel Compendio del suo Catechismo, per poi approfondire (per quanto ci è dato) il discorso riferendoci anche al Diritto della Chiesa:

Dal Compendio del Catechismo:

"244. La Chiesa ha bisogno di luoghi per celebrare la liturgia?
1197-1198

Il culto «in spirito e verità» (Gv 4,24) della Nuova Alleanza non è legato ad alcun luogo esclusivo, perché Cristo è il vero tempio di Dio, per mezzo del quale anche i cristiani e la Chiesa intera diventano, sotto l'azione dello Spirito Santo, templi del Dio vivente. Tuttavia il Popolo di Dio, nella sua condizione terrena, ha bisogno di luoghi in cui la comunità possa riunirsi per celebrare la liturgia.

245. Che cosa sono gli edifici sacri?
1198-1999

Essi sono le case di Dio, simbolo della Chiesa che vive in quel luogo, nonché della dimora celeste. Sono luoghi di preghiera, nei quali la Chiesa celebra soprattutto l'Eucaristia e adora Cristo realmente presente nel tabernacolo.

246. Quali sono i luoghi privilegiati all'interno degli edifici sacri?
1182-1186

Essi sono: l'altare, il tabernacolo, la custodia del sacro crisma e degli altri oli sacri, la sede del Vescovo (cattedra) o del presbitero, l'ambone, il fonte battesimale, il confessionale."

Ecco, in grande sintesi, cos'è e cosa rappresenta l'Edificio Sacro. Segno e Catechesi profonda. Non voglio azzardare conclusioni, ma deduzioni logiche sì. Steph mi faceva notare che i "luoghi privilegiati", fulcro dell'Edificio Sacro, sono proprio quelli che determinano la spaccatura tra il Cammino e la Chiesa Cattolica.
Partiamo da qui.

lunedì 5 novembre 2007

Il Giovedì Santo: IL SACRIFICIO PERENNE!


Proseguendo con il discorso inerente la nostra Venerata Fede Cattolica, riflettiamo sull'insegnamento dell'Amato Giovanni Paolo II. Il Papa USATO dal Cammino ma MAI ascoltato. Un brano essenziale, a tacer d'altri, che esprime la fede della Chiesa mai mutata e immutabile. Poche frasi, che però sono un pilastro. Pilastro attaccato e LASCIATO attaccare...purtroppo..

"Giovanni Paolo II
Dominicae cenae


...Come maestri e custodi della verità salvifica dell'eucaristia, dobbiamo, cari e venerati fratelli nell'episcopato, custodire sempre e dappertutto questo significato e questa dimensione dell'incontro sacramentale e dell'intimità con Cristo. Proprio essi costituiscono infatti la sostanza stessa del culto eucaristico. Il senso di questa verità sopra esposta non diminuisce in alcun modo, anzi facilita il carattere eucaristico di spirituale avvicinamento e di unione tra gli uomini, che partecipano al sacrificio, il quale, poi, nella comunione diventa per essi il banchetto. Questo avvicinamento e questa unione il cui prototipo è l'unione degli apostoli intorno al Cristo durante l'ultima cena, esprimono e realizzano la Chiesa.

Ma questa non si realizza solo mediante il fatto dell'unione tra gli uomini, attraverso l'esperienza della fraternità, alla quale dà occasione il banchetto eucaristico. La Chiesa si realizza quando in quella fraterna unione e comunione celebriamo il sacrificio della croce di Cristo, quando annunziamo «la morte del Signore finché venga» (1Cor 11,26) e, in seguito, quando profondamente compenetrati dal mistero della nostra salvezza, ci accostiamo comunitariamente alla mensa del Signore, per nutrirci, in modo sacramentale, dei frutti del santo sacrificio propiziatorio. Nella comunione eucaristica riceviamo quindi Cristo, Cristo stesso; e la nostra unione con lui, che è dono e grazia per ognuno, fa sì che in lui siamo anche associati all'unità del suo corpo che è la Chiesa.

...
Il mistero eucaristico, disgiunto dalla propria natura sacrificale e sacramentale, cessa semplicemente di essere tale. Esso non ammette alcuna imitazione «profana» che diventerebbe assai facilmente (se non addirittura di regola) una profanazione. Bisogna ricordarlo sempre, e forse soprattutto nel nostro tempo, nel quale osserviamo una tendenza a cancellare la distinzione tra «sacrum» e «profanum», data la generale diffusa tendenza (almeno in certi luoghi) alla dissacrazione di ogni cosa.
...
L'eucaristia è soprattutto un sacrificio: sacrificio della redenzione e, al tempo stesso, sacrificio della nuova alleanza ...«Il sacrificio odierno - ha affermato, secoli fa, la Chiesa greca - è come quello che un giorno offrì l'unigenito incarnato Verbo, viene da lui (oggi come allora) offerto, essendo l'identico e unico sacrificio» (Synodi Costantinopolitanae «Adversus Sotericum» (mensibus Ianuario 1156 et Maio 1157): Angelo Mai «Spicilegium romanum», t. X, Romae 1844, p. 77: PG 140,190; cfr. Martin Jugie «Dict. Théol. Cath.», t. X, 1338; «Theologia dogmatica christianorum orientalium», Paris 1930, pp. 317-320). Perciò, e proprio col rendere presente quest'unico sacrificio della nostra salvezza, l'uomo e il mondo vengono restituiti a Dio per mezzo della novità pasquale della redenzione. Questa restituzione non può venire meno: è fondamento della «nuova ed eterna alleanza» di Dio con l'uomo e dell'uomo con Dio. Se venisse a mancare si dovrebbe mettere in causa sia l'eccellenza del sacrificio della redenzione, che pure fu perfetto e definitivo, sia il valore sacrificale della santa messa. Pertanto l'eucaristia, essendo vero sacrificio, opera questa restituzione a Dio.
..
Ne consegue che il celebrante è, come ministro di quel sacrificio, l'autentico sacerdote, operante - in virtù del potere specifico della sacra ordinazione - l'atto sacrificale che riporta gli esseri a Dio. Tutti coloro invece che partecipano all'eucaristia, senza sacrificare come lui, offrono con lui, in virtù del sacerdozio comune, i loro propri sacrifici spirituali, rappresentati dal pane e dal vino, sin dal momento della loro presentazione all'altare. Questo atto liturgico, infatti, solennizzato da quasi tutte le liturgie, «ha il suo valore e il suo significato spirituale» («Institutio Generalis Missalis Romani», 49; «Missale Romanum»; cfr. «Presbyterorum Ordinis», 5). Il pane e il vino diventano, in certo senso, simbolo di tutto ciò che l'assemblea eucaristica porta, da sé, in offerta a Dio, e offre in spirito."

Questi alcuni spunti interessanti.

Che dire delle problematiche visibili della modificazione della Liturgia e di conseguenza della fede Cattolica Romana? E che dire della tenacia nello zittire chi grida vedendo questi scandali?

mercoledì 31 ottobre 2007

La Chiesa è Cattolica: per Fede o per "numero"?


Proseguiamo il confronto basandoci su un interessante post dell'utente "anonimo nc", che focalizza il problema-base che provoca la sovversione interna alla Chiesa. Sovversione protestante.

"Liturgia, tanto per tornare al tema della pagina.

Mi domandavo ieri sera tornando a casa, perche' nel cuore e nella mente della gente c'e' questo bisogno di "platealità", cioe' rendere una Liturgia accattivante.

La risposta, credo, sta nel fatto che il materialismo ha comunque talmente permeato la nostra vita, che si e' perso completamente il senso del Mistero sacro. Non si va ad una Liturgia perche' e' un avvenimento che interessa i piani spirituali e che quindi ci proietta nell'Assemblea Celeste, ma cio che conta e' la forma; una forma che deve essere piacevole e puo' esserlo solo se il cerimoniale viene adattato ai nostri gusti.
Tanto per restare in tema blog è chiaro che le celebrazioni nell'ambito del CN incorporano molto di questo bisogno che l'uomo ha di adattare la Liturgia ai propri gusti, introducendo segni e modi di comportamento nuovi.
Non voglio con questo alimentare nuove polemiche, ma mi sembra che anche il dire "riscopriamo le origini" sia come congelare l'azione del Signore nella storia appunto alle origini.
Infatti o consideriamo che il Signore interviene nela storia sopratutto attraverso la Liturgia e che pertanto e' lo Spirito Santo a guidare i cambiamenti attraverso i secoli illuminando la Chiesa (intesa in questo caso necessariamente come Papa, Cardinali e Vescovi ed ai quali si deve obbedienza). Il resto e' inventiva personale, forse anche buona ma siamo nel campo della discrezionalità del singolo individuo."

sabato 27 ottobre 2007

Continuiamo a confrontarci

Continuiamo a confrontarci sulla constatazione della ribellione e dell'apostasia nella Chiesa, tornando a questo messaggio di un nostro lettore

L'articolo nella home page di papanews a cura di padre Gregorio dà risposta ad alcuni miei passati interventi, a proposito dell'induzione in errore dei Papi da parte dei loro stretti consiglieri. A causa di costoro, Giovanni XXIII aveva un cattivo concetto di padre Pio, così come Giovanni Paolo II ignorava le aberrazioni neocatecumenali.

Vi propongo una parte significativa dell'articolo, che riguarda il passaggio di consegne tra il vecchio e il nuovo cerimoniere del Papa, straordinariamente calzante e coerente con il discorso affrontato sul blog.
Considerato l'orientamento modernista di mons. Piero Marini e le sue predilezioni spettacolistiche, molto ben descritte nell'articolo, si capisce bene perchè Giovanni Paolo II possa aver avuto una percezione distorta del fenomeno neocatecumenale.

(...)Monsignor Guido Marini, il successore di Piero, non ha mai fatto mistero del proprio pensiero in questioni liturgiche. Egli è stato ordinato dal Cardinal Giuseppe Siri, uno degli ultimi Principi di Santa Romana Chiesa che, quando pontificava nel Duomo di San Lorenzo, usava abitualmente la cappamagna, le scarpe rosse con fibbie d’oro, il cappello cardinalizio; è uno dei tanti sacerdoti dell’Arcidiocesi di Genova che ama il latino, il gregoriano, la dignità dei riti; è stato Cerimoniere degli Arcivescovi Tarcisio Bertone e Angelo Bagnasco, anch’essi molto attenti al decoro nella liturgia. Viceversa, l’omonimo Piero è noto per la sua contrarietà a tutto ciò che ricorda anche lontanamente la tradizione rituale della Corte papale: alla solenne romanità egli preferiva mutuare dalle “culture” africane riti tribali, danze offertoriali davanti al Papa, liturgie inventate a tavolino in nome dell’inculturazione; e non si può dimenticare quel suo approccio coreografico secondo il quale la liturgia è spettacolo e come tale va ideata e adattata: un approccio in palese opposizione al rito antico, definito sprezzantemente come “vecchia liturgia”, frutto di “incrostazioni” e “sedimentazioni”. In pratica, l’esatto opposto del pensiero di Benedetto XVI.

Ciò conferma le riflessioni di quanti, incluso lo scrivente, ritengono più che mai in atto nella Chiesa un braccio di ferro tra tradizionalisti e modernisti, tra libertari e 'obbedienti', tra ortodossi ed eterodossi. Lo scontro sommerso nella Cei sull'applicazione del Motu Proprio sulla messa tridentina ne è l'ennesima riprova.

Come ben sottolineava Guglielmo nella pagina precedente, è una questione di punti di vista, di prospettive teologiche e 'ideologiche' contrastanti. Mentre vi è chi rimane ancorato alla concezione tradizionale della Chiesa, altri ritengono la Casa di Dio una sorta di società per azioni, dove al potere del presidente si oppone quello dell'amministratore delegato e del consiglio di amministrazione, il quale rivendica il diritto a dissentire ed adottare autarchicamente proprie determinazioni.

Diciamolo forte, allora: la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica NON è UNA SOCIETA' PER AZIONI, nè una ONLUS, nè tantomeno una maxi-setta, una superlobby, una superloggia o una confraternita esoterica. E', sempre e semplicemente, la comunità viva dei fedeli di Gesù Cristo, referente attuale della antica tradizione apostolica. Il resto è prodotto della miseria morale e della vanagloria dell'umanità, anche quando veste la tonaca o la porpora e si entusiasma per i rituali fantasiosi e sacrileghi delle sette eretiche come il Cammino.

giovedì 25 ottobre 2007

Sbaglia chi constata la ribellione e l'apostasia NELLA Chiesa?

Siamo arrivati al "si salvi chi può"?

Credo proprio di sì.

Certo non caschiamo dalle nuvole. Il processo di sedizione interna alla Chiesa è in atto da decenni.
Ma ad oggi si verificano atti autenticamente scismatici, platealmente tali, e nulla succede! Atti di sovversione alla Fede, all'Ortodossia Cattolica, alla Divina Liturgia, alla Morale Evangelica, al Sacramento dell'Ordine.

Leggevo qua e là una panoramica sulla situazione relativa al Motu Proprio del Santo Padre sul Rito Antico. E' qualcosa di rabbrividente. La Chiesa sembra una Associazione ONLUS dove i Soci (Vescovi) fanno ciò che vogliono a maggioranza o minoranza! Si trattano i temi della Fede in Cristo come se fossero sessioni accademiche!!!!! Come se fossero linee di pensiero! Merita di essere letto l'articolo di Tornielli sul suo blog. Partiamo da qui:

ALLA CEI, TRE GIORNI DI DISCUSSIONE
SULLA MESSA ANTICA


Da lunedì pomeriggio fino a mercoledì mattina i trenta vescovi del Consiglio permanente della Cei hanno discusso del Motu proprio. Tutti i retroscena del dibattito avvenuto a porte chiuse.
Ci sono stati vescovi che hanno criticato la decisione papale (tra questi gli arcivescovi Bruno Forte, di Chieti-Vasto, Paolo Romeo, di Palermo, e Carlo Ghidelli, di Lanciano-Ortona), chiedendo che la Cei pubblicasse un documento interpretativo per l’Italia. Bagnasco, Ruini, Scola e Caffarra sono intervenuti in difesa del Papa e della sua decisione.
Alla fine la proposta non è passata e dunque non ci saranno interpretazioni ufficiali (e restrittive) del Motu proprio.
Intanto a Milano permane il divieto di celebrare col rito antico. Ma qualcosa si muove: all’Università Cattolica l’assistente, monsignor Gianni Ambrosio, celebrerà ogni settimana una messa in rito romano antico per studenti e professori…

di ANDREA TORNIELLI

I VESCOVI LITIGANO SULLA MESSA IN LATINO
MA NON PASSA LA LINEA ANTI RATZINGER

di ANDREA TORNIELLI

È stato un dibattito acceso, per molti versi simile a quello avvenuto la scorsa primavera sull’opportunità di pubblicare la famosa Nota sui Dico, segno che si tratta di una questione scottante: da lunedì pomeriggio fino a mercoledì mattina il Consiglio permanente della Cei ha discusso animatamente del Motu proprio di Benedetto XVI sulla messa antica e della sua applicazione. Alcuni dei vescovi presenti alla riunione, infatti, hanno manifestato le loro critiche al documento chiedendo che la Cei preparasse una Nota interpretativa delle direttive papali per l’Italia. Ma l’iniziativa non è passata.
Il «Parlamentino» dei vescovi, al quale partecipano trenta presuli italiani, presieduto da Angelo Bagnasco, si è riunito lunedì pomeriggio. Dopo la prolusione del presidente, che conteneva un ampio paragrafo sul Motu proprio, ma anche apriva la discussione su altri argomenti, gli interventi si sono concentrati solo sulla messa tridentina. Il dibattito è avvenuto a porte chiuse, ma secondo le indiscrezioni raccolte dal Giornale alcuni dei prelati hanno manifestato la loro preoccupazione per l’applicazione del documento del Papa, entrato in vigore lo scorso 14 settembre, che liberalizza l’uso del messale antico. Tra questi Carlo Ghidelli, vescovo di Lanciano-Ortona, che ha preso la parola più volte. Insieme a lui e sulla stessa linea erano anche Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto; Benvenuto Italo Castellani, arcivescovo di Lucca; il nuovo arcivescovo (e futuro cardinale) di Palermo Paolo Romeo [amico del Cammino!]; Felice Di Molfetta, vescovo di Cerignola e presidente della Commissione episcopale per la liturgia. Quest’ultimo aveva appoggiato, nei mesi scorsi, la lettera inviata al Pontefice da un gruppo di liturgisti italiani per chiedergli di non procedere con la liberalizzazione dell’antico rito. Nei loro interventi hanno sottolineato come il Motu proprio di Benedetto XVI rischi di creare disagio perché l’ecclesiologia presente nel vecchio messale sarebbe «incompatibile» con quella scaturita dal Concilio Vaticano II[MA LO VEDETE CHE SONO QUESTI CHE DICONO CHE IL CONCILIO HA UNA "ECCLESIOLOGIA DIFFERENTE"???]. Proprio per questo, hanno chiesto che la Cei preparasse un documento interpretativo del testo papale. E si può ben supporre che sperassero in un’interpretazione restrittiva.
Dopo i contrari, però, si sono levati i commenti a favore. Il presidente Bagnasco e i cardinali Camillo Ruini, Carlo Caffarra e Angelo Scola sono intervenuti difendendo il Motu proprio «Summorum Pontificum» e il gesto di riconciliazione in favore dell’unità della Chiesa sotteso alla decisione di Benedetto XVI. Si è riproposto, all’interno del Consiglio permanente della Cei, qualcosa di simile a quanto avvenuto alla fine del marzo scorso, quando, alcuni dei vescovi presenti, dubbiosi sulla Nota riguardante i Dico, avevano cercato di ammorbidirne la portata «politica». Questa volta, invece, c’era la volontà di pubblicare un testo per un’interpretazione «italiana» delle parole del Papa. Allora come oggi sono stati decisivi gli interventi di alcuni porporati, primo fra tutti l’ex presidente della Cei Ruini.
Anche senza documento della Cei, il processo «interpretativo» del Motu proprio è in atto e le diocesi si comportano nel modo più vario[MA COME E' POSSIBILE????COME??]. Il vescovo di Albenga Mario Oliveri, due giorni fa ha pubblicato una lettera presentando positivamente il Motu proprio e richiamando alla necessaria cura per la celebrazione di qualsiasi messa. Ribadisce invece la sua posizione - vietando l’applicazione delle direttive papali al vecchio rito ambrosiano - la diocesi di Milano guidata dal cardinale Dionigi Tettamanzi. Il suo vicario, Luigi Manganini, ha ribadito nei giorni scorsi al clero la decisione, restringendo anche l’applicazione del Motu proprio nelle zone della diocesi dove vige il rito romano in quanto non ci sarebbero gruppi stabili di fedeli (nonostante da 23 anni sessanta persone assistano ogni domenica alla messa in ambrosiano antico alla chiesa del Gentilino e a Seregno vi sia una celebrazione domenicale dei lefebvriani). Ma anche sotto la Madonnina chi può si organizza: una messa antica (in rito romano) sarà celebrata settimanalmente da monsignor Gianni Ambrosio all’interno dell’Università Cattolica.
http://blog.ilgiornale.it/tornielli

E questa situazione dovrebbe farci stare tranquilli??? MA A CHE PUNTO SIAMO ARRIVATI?? A CHE PUNTO DI SOVVERSIONE SIAMO ARRIVATI?????
SIGNORE AIUTACI! LA TUA CASA SEMBRA UN OSTELLO!!!!!

martedì 23 ottobre 2007

Come è potuto accadere?

Vorrei riflettere con voi riprendendo un importantissimo messaggio dell'utente "Rs".

Messaggio molto interessante e soprattutto molto concreto e realistico.
Rs si chiedeva, come poteva verificarsi la presa di posizione correttiva e chiarificatrice della Chiesa in materia di Movimenti e in particolare del Cammino NeoCatecumenale, specialmente ora che si avvicina la risposta relativa agli Statuti. Tolta la possibilità di un Vaticano III, tenendo conto che il problema dei movimenti è diventato comunque tale da pensare alla possibilità di un Concilio, Rs credeva più fattibile la via dell'Enciclica. Ma la domanda laconica era: che effetti avrà?

Io una risposta penso di poterla dare. Gli stessi effetti delle Encicliche, dei Motu Proprio, delle Lettere Apostoliche, di Giovanni Paolo e Benedetto. Ovvero: NULLO!

Il Cammino ha più di una volta candidamente affermato che il Magistero Ecclesiale non lo riguarda e anche quando lo nomina esplicitamente correggendolo... non è correttivo!

Mi riallaccio al discorso che facevo con A.nc.

Al Cammino sono state date direttive e Norme ESPLICITE e UFFICIALI già dal lontano 1988. Già da quel momento si vincolava l'esistenza del Cammino a quelle norme e i Vescovi a vigilare su esso e sull enorme stesse nel caso di una accoglienza in una particolare diocesi. Questo è scritto nero su bianco.

Mi chiedo: come è potuto accadere che il Cammino, almeno da quelle date in poi, si sia inserito SENZA RIGUARDO A QUELLE NORME (prova ne è il mancato rispetto dello Statuto e la Lettera di Arinze, che non fa che RIBADIRLE dopo 30 anni!)? I Vescovi che hanno permesso l'inserimento in che posizione si trovano?
Come è stato possibile per il Cammino, vista anche la SACROSANCTUM CONCILIUM e per coloro che lo hanno permesso, modificare la Liturgia in modo autonomo e in aperta violazione delle norme addirittura del Vaticano II che pure sostengono ideologicamente?
Come è possibile che il Cammino anche adesso stia eseguendo come se niente fosse le Catechesi Iniziali per la formazione di nuove comunità, senza neanche aspettare la definitiva sentenza della CHiesa?
Come è possibile che prima dell'esperimento di 5 anni il Cammino, che non ha seguito le norme dettategli, abbia potuto presenziare nella Chiesa senza neanche una approvazione ufficiale? Tenendo conto che si tratta oltretutto di una associazione laicale?

Ultima domanda: possibile che tali violazioni al Diritto della Chiesa, ai fedeli, alle norme del Vaticano II, alle norme Episcopali, ai richiami dei Papi, agli Statuti, non provochino nulla??????

Spero che qualcuno possa rispondere a queste domande.

lunedì 22 ottobre 2007

Il giovane ricco (Marco 10, 17-22)

Continuiamo ad addentrarci nella contemplazione della Parola di Dio: cogliendo nella Scrittura il mistero della volontà di Dio circa la storia umana, lasciandoci immergere nella meditazione della vita di Gesù... troviamo come un tesoro prezioso la forma pura ed autentica della vita umana, quella che Dio stesso ha proposto come luminosa rivelazione di Se stesso. E allora nella vita di ogni giorno si accende una nuova luce di speranza e di concreta capacità di amare da tradurre nelle azioni e negli incontri
Dal Vangelo di Marco: Mc 10, 17-22
Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna? ”. Gesù gli disse: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre”
Egli allora gli disse: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza”. Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”. Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni.
Ringraziamo il Signore per il dono della sua parola e meditiamo su quel che dice Gesù: "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo"(v.18) La risposta di Gesù devia l'attenzione da se stesso verso Dio, poiché gli interessa fare la volontà del Padre, rivelare il Progetto del Padre. Ma qui è anche è evidente che Marco vuole evitare il culto della personalità, che può essere superato solo ribadendo il culto esclusivo per Dio. Il che lascia già presagire che quello che è in gioco è il rapporto della persona con Dio.

Fa pensare il fatto che Gesù esplicita inizialmente solo i comandamenti che indicano una vita accanto al prossimo! Non fa riferimento ai tre primi comandamenti che definiscono il rapporto con Dio! Ne dobbiamo dedurre che la nostra relazione con Dio passa attraverso quella vitale con il nostro prossimo, anche se questa a sua volta è alimentata e tenuta sana (relazionarsi non per possedere o strumentalizzare l'altro, ma per donarsi e ricevere anche, ma sempre nell'orizzonte della gratuità) e viva (cioè resa viva dall'amore che la muove e la permea, altrimenti è un guscio vuoto, un fatto sterile!) dalla relazione costante con Dio. Non ci si può ingannare comunque: la porta per arrivare a Dio è il prossimo. Non un'altra!

Ma poi Gesù dice: “Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”. La traduzione giusta secondo la mentalità ebraica (che, non dimentichiamolo è quella di Gesù) è UNO ti manca... Cosa, o meglio Chi è quell'UNO e come fargli spazio? A questo porta l'insegnamento di Gesù...

Mi fa pensare a tanti di noi che non sanno a cosa serve essere cattolici. Si sono trovati in una famiglia che li ha battezzati, magari frequentano anche la Parrocchia o un movimento, ma cos'è il loro essere cristiani? Un'abitudine, o un obbedire a delle regole, non un atteggiamento interiore orientato ad un bene non soltanto formale, aperto al prossimo e alla realtà che li circonda; ma bisogna fare un salto di qualità: passare dall'abitudine ad un'esistenza non più piatta, ma che ha spessore, si muove in un orizzonte di sentimenti desideri e azioni consapevoli e determinate e intrise di quell'Uno che occupa gli spazi lasciati liberi dalla "vendita", dal distacco quindi dalle "ricchezze": non un distacco sic et simpliciter; ma Gesù dice "dalle ai poveri". Penso che il discorso vada ricollegato allo shema "ama il tuo Dio con tutto il tuo cuore con tutta la tua anima con tutta la tua mente - e infine - con tutte le tue forze "(che comprendono possibilità economiche, capacità, doni ricevuti e anche coltivati nel corso della vita, la stessa cultura ad esempio), quindi si tratta sì delle ricchezze materiali, ma anche dei talenti che ognuno di noi ha ricevuto. E risuonano qui le parole di Gesù: "ama il tuo prossimo come te stesso" che non può essere visto se non attraverso il comandamento nuovo "amatevi l’un l’altro come Io ho amato voi".

Quindi, un'attitudine al dono, che è innanzituto dono di sé come ha fatto Gesù. C'è un altro richiamo bellissimo che viene dalla Scrittura. Nel Cantico dei Cantici, dice la sposa: "Anche il nostro talamo è fiorito." Qualche versetto dopo lo sposo dice "io sono il fiore del campo il giglio delle valli". San Bernardo interpreta nel senso che questo sia detto riguardo ai fiori di cui la sposa dice che è adorato il talamo; ma essi non mantengono a lungo il profumo e la bellezza per questo occorre curarlo spesso e mettere sempre nuovi fiori; così è per le opere buone (che sono i fiori profumati di cui nelle nostre profondità il Signore coglie il profumo), non basta operare il bene una volta o l'altra, ma va rinnovato continuamente e sempre di nuovo prodigato, diversamente il fiore dell'opera buona appassisce e marcisce e in breve tempo perde la bellezza e il vigore, se non viene ripetutamente seguito da nuovi atti di amore...

Continuiamo?

domenica 21 ottobre 2007

"Punto nave" della situazione...

Carissimi,

La nostra esperienza è ormai più che biennale: chi ha messo in piedi questo blog ricorderà che il nostro impegno é iniziato dalla costernazione scaturita dalle dichiarazioni di Gennarini in ordine alla lettera di Arinze e dall'aver espresso le nostre prime, timide considerazioni al riguardo sul blog palazzoapostolico.it sul quale, nel breve volgere di mesi si è creata una situazione simile a questa, alla fine non più sostenibile per un Vaticanista che aveva il suo giornale da portare avanti, non poteva aprire una pagina al giorno per continuare a gestire la nostra discussione e non aveva né tempo né ovviamente motivazioni per scremarla di tutte le ingiurie e i disturbi che conosciamo bene...

E allora eccoci qua. Il percorso è continuato, abbiamo espresso e approfondito ancor meglio le ragioni della nostra esperienza, ma soprattutto abbiamo smascherato ulteriori e davvero inquietanti realtà del cammino.... ed è nato il sito...
Ancora mi stupisco di questa esperienza, che per me personalmente e penso anche per voi, è stata un percorso di conoscenza e di ulteriore radicamento nella Fede, dovendone in continuazione dare ragione in tutte le salse, e benedico il Signore che ci ha portati fin qui...

A questo punto direi che questa pagina ha già raggiunto il suo scopo e anche il blog per la verità, perché ormai le conclusioni possiamo trarle: i nostri interlocutori hanno uno stile e dei toni che trasudano arroganza senso di superiorità e anche tendenza all'autoritarismo più becero: cose che del resto abbiamo più volte evidenziato nelle nostre testimonianze. Inoltre, alla fine contenuti zero, solo espedienti dialettici per sviare il discorso o sostenere l'insostenibile... In fondo questo blog è diventato lo specchio di quello che succede nella parrocchia; invasione e imposizione di stile e contenuti, in una parola: neocatecumenizzazione... con effetto paralisi dell'attività propria...

Devo constatare che il nostro semplice impegno morale di dare un'informazione corretta - che fino all'esistenza del nostro visitatissimo sito era molto carente e di poca incisività - si sta trasformando, in virtù del comportamento dei nostri interlocutori, in una vera e propria militanza...
Ora io non sono molto disposto a continuare in questi termini, perché oltretutto è un discorso sterile (e anche demenziale, consentitemelo, sotto certi aspetti) e che non porta da nessuna parte e rischia di stornare l'attenzione e l'interesse - raggiungendo lo scopo dei disturbatori - di quei pochi o tanti che riescono a raggiungerci e a conoscere le cose come stanno...

Potrei anche dire che il blog, avendo raggiunto i suoi scopi potrebbe chiudere, ma faccio alcune considerazioni:
1. è proprio quello che vogliono, perché è evidente che dà MOLTO fastidio, più di quanto potessimo immaginare
2. mancherebbe l'attenzione desta che ci eravamo riproposti come "sentinelle" nelle more di un'approvazione che prima o poi dovrà assumere connotati che non sappiamo ancora...
3. verrebbero a mancare anche le notizie e le riflessioni che alimentano gli aggiornamenti del sito che, finché la Chiesa non si pronuncia - e probabilmente anche dopo sia pure con le dovute modifiche - ha e avrà la sua ragion d'essere...

Come vedete, ho fatto il 'punto nave' della situazione. Credo che aprirò una nuova pagina con questo articolo e vi proporrò, se sarete d'accordo, di mantenere in piedi il blog, ma di cambiare rotta e comportamento.
Potremmo moderare il blog, ma questo non permetterebbe la fluidità e la snellezza che ci siamo proposti e che consente a chiunque anche con poca dimestichezza con internet di intervenire senza intoppi.

Resta la soluzione di continuare il nostro incontro-confronto e scambio notizie e riflessioni anche su quanto continua ad accadere, escludendo e quindi eliminando, se verranno, gli interventi neocat, avendo riscontrato tutto quanto ho detto sopra... Diranno che è vigliaccheria o incapacità di dialogo (più di una volta ci siamo visti ritorcere contro le cose che contestavamo a loro); ma possiamo anche fregarcene, perché ci sono le prove evidenti della nostra disponibilità e anche dei contenuti della nostra dialettica.

La nuova rotta, che un po' è riprendere quella iniziale, sarà quella di informare e continuare a tener desta l'attenzione, al posto delle sentinelle addormentate e dei cani muti. L'apologia e la contestazione non rientrano in tutto ciò; quindi, non ci resta che continuare per la nostra strada (almeno vediamo come si configurerà il nuovo corso) con una elementare riflessione: non esiste un Forum o un blog neocatecumenale - ammesso che ne sia rimasto qualcuno, forse uno o due - che non sia rigorosamente blindato: richiedono registrazione e la prova documentata della comunità di appartenenza, a che punto si è del cammino, la parrocchia o il catecumbenium, il nome del catechista... capite bene che stando così le cose non possono accusare noi di ostruzionismo... ma è solo salvaguardia della nostra salute mentale e del nostro impegno su questo blog che non può diventare esclusivo o, come dicevo una 'militanza' che oltretutto non ha senso.

Questo proprio perché non abbiamo né interessi né poteri da difendere e per continuare a mostrare la verità è sufficiente riprendere la rotta evitando gli scogli, non per imperizia di naviganti, ma perché sono tali che rischiano solo di farci naufragare... e noi dobbiamo solo raggiungere le due colonne (ricordate il sogno di Don Bosco?)

A lui e a P. Zoffoli chiediamo di proteggerci nel nostro impegno che affidiamo come sempre al Signore Gesù e alla Sua e nostra Madre.

venerdì 19 ottobre 2007

Quale testimonianza danno i neocatecumenali?

Quoto dal Radiogiornale vaticano odierno:

'E’ indispensabile “dare alla testimonianza cristiana contenuti concreti e praticabili”, esaminando come essa “possa attuarsi e svilupparsi in ciascuno di quei grandi ambiti nei quali si articola l'esperienza umana”. E’ la sfida che Benedetto XVI ha lanciato alla Chiesa italiana - esattamente un anno fa - nel discorso al Convegno ecclesiale di Verona, incentrato sul tema “Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo”.'

Quale testimonianza danno i neocatecumenali nei " grandi ambiti in cui si articola l'esperienza umana"? Loro che non danno testimonianza nemmeno in chiesa?
Dalla mia esperienza e dalle testimonianze raccolte (numerosissime) la testimonianza dei neocatecumenali, al di là di un'ambigua, misteriosa e altisonante dichiarazione di appartenenza al "Cammino" è pressochè nulla in tutti gli ambiti in cui si articola l'esperienza umana (salve le rarissime eccezioni che confermano la regola).

Negli ospedali, nelle scuole, sui posti di lavoro il neocatecumenale tipo è assolutamente carente di testimonianza sia come agire individuale sia, soprattutto, in termini di evangelizzazione al di là del solito ambiguo invito alle catechesi iniziali("Venite e vedrete") o degli slogan stereotipi propri del Cammino.

I segni per Kiko sono le adunate oceaniche (o presunte tali), le "alzate" incontrollate e incontrollabili nei loro esiti finali, il presenzialismo in tutte le occasioni in cui appare il Papa e a cui accorrono i media.

Un altro segno assolutamente assente è la mancata pubblicazione dei bilanci annuali della fondazione "Famiglia di Nazareth" (divenuta - sia detto per inciso - improvvisamente ricca: si parla di 120 milioni di euro annui)... ma questo è un male, una mancanza di "segno" comune ad altri movimenti ecclesiali o presunti tali.
Francesco

giovedì 18 ottobre 2007

Parliamone: "La Samaritana" (Giov 4, 1-25)


Gv 4,1: “Quando Gesù seppe che i farisei avevano sentito che egli faceva più discepoli e battezzava più di Giovanni, 2 per quanto non fosse Gesù stesso che battezzava, ma i suoi discepoli, 3 lasciò la Giudea e ritornò verso la Galilea. 4 Egli doveva passare per la Samaria. 5 Ora, arriva ad una città della Samaria chiamata Sichar, vicino al podere che Giacobbe aveva dato al figlio suo Giuseppe. 6 C' era là il pozzo di Giacobbe. Gesù, affaticato com' era dal viaggio, si era seduto sul pozzo; era circa l' ora sesta. 7 Viene una donna della Samaria ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere».
8 I discepoli infatti se n' erano andati in città a comperare da mangiare. 9 Gli dice la donna samaritana: «Come mai tu che sei giudeo chiedi da bere a me che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10 Le rispose Gesù: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere", tu gli avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 11 Gli dice la donna: «Signore, non hai neppure un secchio e il pozzo è profondo. Da dove prendi dunque l' acqua viva? 12 Forse tu sei più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui e i suoi figli e il suo bestiame?». 13 Le rispose Gesù: «Colui che beve di quest' acqua, avrà ancora sete. 14 Colui invece che beve dell' acqua che gli darò io, non avrà mai più sete; ma l' acqua che gli darò diverrà in lui una sorgente di acqua che zampilla verso la vita eterna». 15 «Signore, -- gli dice la donna -- dammi quest' acqua, affinché io non abbia più sete e non debba più venire qui ad attingere». 16 Le dice: «Va' , chiama tuo marito e ritorna qui». 17 «Non ho marito», gli rispose la donna. 18 perché hai avuto cinque mariti e ora quello che hai non è tuo marito. Quanto a questo hai detto il vero». 19 «Signore, -- dice la donna -- vedo che tu sei un profeta. 20 I nostri padri adorarono su questo monte e voi dite che è a Gerusalemme il luogo dove si deve adorare». 21 Le dice Gesù: «Credimi, donna, che viene un' ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22 Voi adorate ciò che non conoscete; noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23 Ma viene un' ora, ed è adesso, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità; infatti il Padre cerca tali persone che l' adorino. 24 Dio è Spirito, e coloro che lo adorano, in Spirito e verità devono adorarlo». 25 Gli dice la donna: «So che deve venire un Messia (che significa "Cristo"). Quando quegli verrà, ci annuncerà ogni cosa». 26 Le dice Gesù: «Lo sono io, che ti parlo».
__________________
Una delle più belle pagine del vangelo di Giovanni e del Nuovo Testamento in genere, il dialogo tra Gesù e la donna samaritana, può essere compresa e goduta soltanto se la si situa nel contesto storico e religioso che l’ha ispirata. La novità evangelica è offerta attraverso il veicolo culturale giudaico del 1 sec. d.C.

Lo sfondo geografico dell’episodio è la Samaria, tra la Giudea e la Galilea, e più particolarmente la città di Sicar, presso il cosiddetto “pozzo di Giacobbe” (vv. 5-6). Gesù deve necessariamente attraversare quel territorio, perché si sta recando in Galilea, la sua terra, dopo aver sentito notizie poco rassicuranti (vv. 1-3). Stanco del viaggio, Gesù ha bisogno di bere e ne chiede a una donna samaritana che viene ad attingere all’antico pozzo del patriarca Giacobbe.

La prima anomalia nell’incontro è comprensibile proprio nel quadro dell’ormai secolare dissidio che esisteva tra la popolazione giudaica e quella di Samaria. Quest’ultima addirittura custodiva una sua Torà (= il pentateuco) distinta da quella diffusa tra i Giudei. Il dissidio era insanabile e carico di disprezzo reciproco. E tuttavia Gesù rivolge la parola alla samaritana, provocando in lei un comprensibile stupore (vv. 7-9). Via via che il dialogo si snoda, Gesù porta la donna dal piano della contingenza storica e fisica a quella del mistero rappresentato dalla persona di Cristo.

Il realismo con il quale l’episodio è narrato dall’evangelista e la chiave d’interpretazione del mistero della persona di Gesù, offerta proprio grazie a tale realismo storico ed esistenziale, sono una perfetta illustrazione del significato del prologo giovanneo (Gv 1).
«La Parola di Dio si è fatta carne ed è venuta ad abitare tra noi».

Quella Parola, adombrata nella Torà celeste discesa sulla terra (vedi Sir 24,22) o nella Sapienza divina, presente col creatore fin dai primordi (cf. Prov 8), è il Figlio di Dio entrato nel tempo degli uomini sotto forma di uomo. Egli è l’uomo che chiedendo, in quanto tale, acqua per dissetarsi, è capace di offrire a sua volta un’acqua che non si esaurirà mai e che creerà vita eterna (Gv 4,10-14).

Questo tipo di discorso non doveva essere incomprensibile ai contemporanei di Gesù. Al contrario. Solo gli ebrei di quell’epoca potevano a tutta prima capire questo linguaggio. La difficoltà stava nell’applicazione alla persona di Cristo e alla sua funzione salvifica nel mondo e nella storia.

È un fatto comunque che coloro che hanno creduto tutto ciò, erano un gruppo di ebrei che hanno costituito un movimento, uno tra i tanti di quel periodo. Una interpretazione laica direbbe che il gruppo ha avuto la fortuna di sopravvivere insieme all’altro, quello farisaico, sorgente del futuro ebraismo, mentre la maggior parte dei movimenti sono scomparsi dalla storia. La fede però fa un altro discorso, suggerito proprio dall’episodio evangelico in questione.

Il carattere ebraico del cristianesimo originario si è fatto recipiente della verità cristiana. Solo attraverso tale carattere ci è dato, allora, come ha fatto l’evangelista Giovanni, di attraversare il ponte verso il riconoscimento della verità di Cristo. Le risposte che Gesù costruisce per la samaritana come una serie di scalini verso la sua autorivelazione (v. 26), si basano tutte su concezioni bibliche o giudaiche (Gesù riconosciuto come profeta, l’attesa del Messia, il luogo legittimo per l’adorazione di Dio: Garizim o Gerusalemme), sulla base delle quali la donna risponde a sua volta e chiede, salendo con il suo pedagogo verso l’alto.

Studio delle Scritture, gradualità e dialogo sono gli ingredienti necessari per percorrere la strada verso la verità. Tutti e tre questi elementi sono richiesti dallo stato di fatto di cui abbiamo già detto più sopra e negli articoli precedenti.

Le Scritture ebraiche sono il codice comune di Gesù e della samaritana, e, proprio per questo, anche il nostro; la gradualità e il dialogo sono il rispetto della qualità umana del cammino. La prima verità da rispettare in questo caso è la persona umana, così com’è, con le sue capacità, la sua cultura, le sue istanze e i suoi spazi d’ombra. Gesù è il modello di comportamento. Perfino la situazione matrimoniale “irregolare” della samaritana non diviene oggetto di condanna da parte di Gesù, bensì occasione di salire ancora di un gradino verso la salvezza di se stessa, attraverso la conoscenza della verità che è il Cristo (vv. 16-24.25-26).

martedì 16 ottobre 2007

Effetti del Cammino NC nella Chiesa

Affermazione frequente nella Chiesa:
"Dai però si sacrificano : dove li troviamo i missionari, famiglie intere che partono per posti difficilissimi, diaconi, sacerdoti ??? l'unica colpa è nella liturgia."

Risposta:
perché, di missionari cattolici non ce ne sono più? Sono finiti?
Dici niente! Dietro la liturgia c'è una teologia... lex orandi lex credendi...

Altra precisazione importante e necessaria:
Mai pensato che quei cosiddetti 'itineranti' non diffondono la chiesa cattolica ma per "implantatio ecclesiae" intendono la clonazione di comunità neocatecumenali con i loro metodi, prassi, simboli, ecc. completamente blindate rispetto al resto della Chiesa salvo a servirsene come un cavallo di troia per espandersi dicendosi cattolici, ma praticando e insegnando cose diverse?

Mai pensato a quanto queste cose diverse abbiano influenzato e stiano influenzando le derive moderniste più accese che contribuiscono a diluire sempre di più l'identità cattolica o quanto meno attingano alla stessa fonte, con l'aggravante dei sincretismi e delle alterazioni introdotte dall'iniziatore?

Questo non significa che la chiesa non debba riformarsi ma, poiché lex orandi è lex credendi e la liturgia è davvero fonte e culmine della fede, non solo per i suoi risvolti metafisici che possono sfuggire ai più, ma anche per agli aspetti catechetici che pure ha, non bisogna affidare le riforme a liturgisti improvvisati o addirittura protestanti o protestantizzati...

venerdì 12 ottobre 2007

La Messa neocatecumenale è valida?

Dopo la notizia importante di ieri, apriamo questa nuova pagina con le osservazioni di RS:

La questione sollevata da don Conti, peraltro già affrontata su questo blog sul tema del ruolo del sacerdote nel Cammino, è particolarmente seria, poichè occorre stabilire preliminarmente se un sacerdote neocatecumenale celebra secondo l'intenzione della Chiesa.

Stando a quanto sappiamo ciò non avviene, per il fatto che detto sacerdote celebra secondo le intenzioni e teorizzazioni dei fondatori del Cammino, i quali come ben sappiamo, si sono inventati una liturgia originale, difforme e alternativa a quella della Chiesa.

Alla prima domanda si deve dunque dare risposta negativa.

Vi sono però aspetti correlati.
Se il Cammino è difforme in tantissimi aspetti dai dogmi e dal magistero della Chiesa, il Cammino non è in perfetta comunione con la Chiesa.

Qualcuno se la sente di affermare in tutta coscienza e davanti a Dio che il Cammino è in perfetta comunione con la Chiesa, alla luce di tutto quanto in esso si predica e si attua?

Ora, il Can. 908 del diritto canonico stabilisce che è vietato ai sacerdoti cattolici concelebrare l'Eucaristia con i sacerdoti o i ministri delle Chiese o delle comunità ecclesiali che non hanno la piena comunione con la Chiesa cattolica.

Ma qui il reato assume la specie dei graviora delicta in quanto sono gli stessi sacerdoti cattolici ad essere celebranti in un'associazione laicale in discomunione teoretica e pratica dalla Chiesa. Ma, se un sacerdote è consapevole di tutto questo, cioè di far parte di un'associazione in discomunione teoretica e pratica dalla Chiesa, può celebrare validamente il sacramento eucaristico?

Ancora la logica ci dice di no: per la consapevole celebrazione del rito in un contesto teologicamente difforme, in cui tra l'altro viene violato il principio della confessione sacramentale. I canoni 916 e 1379 ci richiamano chiaramente ad una coscienza peccaminosa e alla simulazione di sacramento in un tale contesto.

E' vero che dal punto di vista soggettivo, del credente, ove vi sia la retta intenzione di partecipare al mistero eucaristico, si attiva il principio del "supplet Ecclesia".

Ma ci troviamo di fronte al paradosso di un sacramento oggettivamente invalido che rimarrebbe validato limitatamente (in quanto carente della legittimità della fonte somministrante) per la sola virtù della retta intenzione del beneficiario.

martedì 9 ottobre 2007

la "Nuova estetica" kikiana

La nostra discussione (la pagina precedente è ormai stracarica di post) può continuare arricchita anche dei seguenti elementi:

La concezione che ha e trasmette Kiko Arguello riguardo all'estetica e alla simbologia del tempio è del tutto personale, ma la cosa che più colpisce è che tutte le chiese in cui è presente in massa il suo movimento (anche se così non ama definirsi) l'estetica del tempio è uniforme, non è lasciato spazio ad altri artisti o ad altre raffigurazioni del sacro che non siano:
- Icone (di Kiko);
- tappeti che rappresentano la regalità e l'appartenza elemento che contribuisce a creare 'appartenenza' e contemporaneamente 'distinzione': (noi - gli altri);
- identica disposizione degli arredi (anch'essi disegnati e realizzati secondo le indicazioni di Arguello) ossessivamente riprodotta in ogni Comunità.
Il tutto secondo una sedicente personale interpretazione del Concilio Vaticano II e con l'aggiunta di simboli ebraici che, oltretutto, tolti dal contesto, acquistano significati diversi dati dallo stesso iniziatore del cammino...
Secondo Kiko il tempio deve rappresentare un corpo umano.
Subito dopo il presbiterio in cui è seduto il presidente che è la "testa" della comunità (notare della comunità, non dell'intera parrocchia), vi è l'ambone, grande al centro, così che quando uno va al leggio per fare una monizione o proclamare una lettura dà le spalle al presidente.
L'ambone si trova al centro, poco prima dell'altare-mensa, col leggio che rappresenterebbe la bocca che, come si sa, è al centro della testa.
Di solito l'ambone è molto ampio ed è collocato al centro, tra il presbiterio e la mensa, perché per il CNC la liturgia della parola è molto più importante della stessa eucarestia; e di fatto si vede come la Santa Eucarestia è trattata nelle comunità (ministri straordinari che effettuano la fractio panis, briciole e frammenti che nessuno vede e di cui nessuno si cura, ragazzini che si scambiano il corpo di Cristo di mano in mano, ecc.)
Dopo l'ambone, anziché l'altare, si ha l'enorme mensa (stomaco), chiamato appunto semplicemente mensa, questo perché per il CNC l'aspetto più importante non è tanto il sacrificio di Cristo, ma il banchetto escatologico.
Subito dopo la mensa-altare vi è il fonte battesimale, al centro del tempio. La ragione è che il fonte battesimale è l'utero da cui sono generati i cristiani, per cui anche l'utero, come la bocca, sta al centro.
L'assemblea, infine, è seduta tutta intorno alla mensa (stomaco) e rappresenta, nella visione kikiana, le membra del corpo che si nutrono del banchetto escatologico che si svolge attorno alla mensa.
La perfetta identità tra tempio ierosolimitano e chiesa, è talmente evidente che ogni commento è superfluo. È solo per ottusa superbia da parte dei "dotti" liturgisti, che si è pervertita una tradizione risalente a Salomone, ma nei suoi archetipi addirittura a Mosè. 3500 anni di tradizione buttati via, perchè qualche emerito signor nessuno preferisce un tavolino con sopra fiori sparsi, candelabri ebraici (ma non la Croce)!!!

Seby

sabato 6 ottobre 2007

Una fonte ancora non nota: Bonhoeffer

Proseguiamo la nostra discussione, partendo dallo stralcio di questa testimonianza che ci è stata trasmessa in questi giorni. Esprimiamo tutto il rispetto come uomo e come credente per Bonhoeffer, indicato esplicitamente come una delle fonti ispiratrici del Cammino NC, ma dobbiamo rafforzare la consapevolezza di come questa realtà presenti aspetti non conformi alla nostra fede cattolica.

"... Nel frattempo trovai gli scritti del teologo protestante Dietrich Bonhoeffer (“Vita comune” e “Sequela” – quest’ultimo rigorosamente riservato ai soli catechisti) ed il Catechismo Olandese, su cui Kiko affermò di essersi formato a suo tempo (questo lo asserì in una convivenza che fece a Porto S. Giorgio con gli itineranti, nel 1998, a cui era presente anche la mia fidanzata, disse: “Mi sono preparato sul Catechismo Olandese perché... perché... beh, perché sì...”).
Trovai nei libri di Bonhoeffer la sorgente ispiratrice di tutta la concezione strutturale delle Comunità Neocatecumenali :
- dalla frequenza delle celebrazioni settimanali;
- alla concezione protestante della confessione secondo cui è la Comunità (in senso lato “è il fratello”) che rimette i peccati, cosa che loro attuano subdolamente attraverso il fenomeno degli scrutini in cui fanno raccontare tutta la propria vita, peccati compresi, davanti a tutta la comunità;
- dalla concezione protestante dell’Eucaristia intesa non come Sacrificio (Non sia mai! Il sacrificio è un atto pagano!...), ma solo come cena commemorativa del passaggio da Morte a Vita, piena di allegria e canti e balli;
- al modo di concepire i rapporti tra fratelli improntati alla totale mancanza di carità e rispetto, perché siamo finalmente liberi di essere noi stessi, senza ipocrisie bigotte, finalmente liberi di essere i peccatori che siamo... finalmente liberi di vivere la “Comunità dei peccatori” (Bonhoeffer);
- dalla struttura della Convivenza Mensile;
- alla prassi delle risonanze, delle monizioni e delle “ambientali” alla Parola, frutto del concetto protestante per cui ognuno può interpretare liberamente le Scritture;
- l’assoluta mancanza di silenzio durante la S. Comunione, per impedire volutamente il Ringraziamento personale, che è considerato un devozionismo sentimentale, ecc. ecc. ecc.
Lessi poi nel Catechismo Olandese moltissimi dei principi contenuti nelle Catechesi del Cammino, che ero riuscito a procurarmi, e cominciai a collegare tante cose...
Inoltre notavo un certo spirito vagamente ebraicizzante, che dà l’impressione di tornare all’Israele prima di Cristo...."

In questo brano troviamo puntuale conferma di molti dei rilievi che abbiamo ripetutamente discussi e ne chiediamo conto ai nostri interlocutori NC

giovedì 4 ottobre 2007

Quale evangelizzazione e quale Chiesa, in missione?


Dal sito della Onlus Centro di Cooperazione Missionaria Frati Cappuccini :


"In autunno ogni anno ha luogo la “convivenza nazionale” delle comunità neocatecumenali presenti in Turchia (4 comunità presso la chiesa di S. Antonio in Istanbul e 3 comunità presso la chiesa di Antiochia) a cui si aggiungono anche i neocatecumeni bulgari con una trentina di persone.
Tra il 6 e il 10 ottobre ci siamo ritrovati in un albergo sul Mar Nero a un centinaio di kilometri da Istanbul. Da Antiochia siamo andati in 43, più 5 bambini, con un pullman noleggiato per circa trenta ore di viaggio tra andata e ritorno. Il Centro Missionario di S. Martino ci ha dato una mano con 1000 €. In totale eravamo oltre 150 persone con i rispettivi parroci e i quattro giorni sono stati diretti dai catechisti itineranti di queste nazioni (un sacerdote, una coppia e un cantore). Sono stati momenti di catechesi, riflessione, preghiera, silenzio intensi, alliettati da serate di fraternità con musica, canti e danze. Queste giornate di convivenza si sono concluse domenica con una lunga liturgia eucaristica quanto mai partecipata e vivace. Così, anche quest'anno abbiamo sperimentato la bellezza della chiesa del Concilio Vaticano che chiama - attraverso questo cammino - a una sempre più consapevolezza del dono del battesimo e del significato di essere cristiani oggi, qui in Turchia, a continuo contatto con il mondo islamico. E' da anni che partecipo a questi incontri e al pensiero che sono iniziati con solo 8 persone da Antiochia e ora siamo arrivati a più di 40, si constata con evidenza che l'annunzio del Vangelo continua la sua opera ancora oggi dopo 2000 anni! Basta avere il corraggio e la pazienza di annunziarlo... "

Quello che dà questa testimonianza è un Frate cappuccino, la cui mail corrisponde a quella della Chiesa Cattolica di Antiochia!

Questa è una delle prove che il Cammino Neocatecumenale ormai ha pesantemente inquinato gli Ordini religiosi... Sarà il caso di preoccuparsene o possiamo continuare a dormire sonni tranquilli?

mercoledì 3 ottobre 2007

E che dire di questa?

Lettera al Cammino Neocatecumenale in Terra Santa
Fratelli e Sorelle del Cammino Neocatecumenale

1. La pace e l'amore di Nostro Signore Gesù Cristo siano sempre con voi.

Noi, Ordinari Cattolici di Terra Santa, vi rivolgiamo questa lettera all'inizio della Quaresima, nel quadro del Piano Pastorale comune per quest'anno, che ha come tema la catechesi e l'educazione religiosa nella parrocchia.

Fratelli e sorelle del Cammino, siete benvenuti nelle nostre Diocesi. Ringraziamo Dio per la grazia che il Signore vi ha data e per il carisma che il Santo Spirito ha effuso nella Chiesa tramite il vostro ministero della formazione post-battesimale. Siamo riconoscenti per la vostra presenza in alcune delle nostre parrocchie, per la predicazione della Parola di Dio, per l'aiuto offerto ai nostri fedeli nell'approfondimento della loro fede e nel radicarsi nella loro propria chiesa locale, in "una sintesi di predicazione kerygmatica, cambiamento di vita e liturgia" (Statuti, Art 8)

In seguito alla Lettera che il Papa Benedetto XVI vi ha indirizzato il 12.1.2006, e a quella della Congregazione del Culto Divino del 1.12.2005, vi domandiamo di prendere posto nel cuore della parrocchia nella quale annunciate la Parola di Dio, evitando di fare un gruppo a parte. Vorremmo che poteste dire con S. Paolo: " Mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero" (I Cor 9, 19).
II principio al quale dobbiamo tutti insieme restare fedeli e informare la nostra azione pastorale dovrebbe essere ”una parrocchia e una Eucaristia”. II vostro primo dovere perciò, se volete aiutare i fedeli a crescere nella fede, è di radicarli nelle parrocchie e nelle proprie tradizioni liturgiche nelle quali sono cresciuti da generazioni.


In Oriente, noi teniamo molto alla nostra liturgia e alle nostre tradizioni. E' la liturgia che ha molto contributo a conservare la fede cristiana nei nostri paesi lungo la storia. Il rito è come una carta d'identità e non solo un modo tra altri di pregare. Vi preghiamo di aver la carità di capire e rispettare l'attaccamento dei nostri fedeli alle proprie liturgie.

2. L'Eucaristia è il sacramento di unità nella parrocchia e non di frazionamento. Chiediamo pertanto che le celebrazioni Eucaristiche, in tutti i riti orientali, nonché nel rito latino, siano sempre presiedute dal parroco, o, nel caso del rito latino, in pieno accordo con lui. Celebrate l'Eucaristia con la parrocchia e secondo il modo della Chiesa locale. "Là dove c'è il vescovo, lì c'è la chiesa", ha scritto S. Ignazio di Antiochia. Insegnate ai fedeli l'amore per le loro tradizioni liturgiche e mettete il vostro carisma al servizio dell'unità

3. Vi chiediamo inoltre di mettervi seriamente allo studio della lingua e della cultura della gente, in segno di rispetto per loro e quale strumento di comprensione della loro anima e della loro storia, nel contesto della Terra Santa: pluralismo religioso, culturale e nazionale. Inoltre, nei nostri Paesi, Palestina, Israele, Giordania, tutti sono alla ricerca della pace e della giustizia, una ricerca che fa parte integrante della nostra vita di cristiani. Ogni predicazione dovrebbe guidare i nostri fedeli negli atteggiamenti concreti da assumere nel diversi contesti della vita e nella stessa situazione di conflitto che continua in Palestina: atteggiamento di perdono e di amore per il nemico, da un lato, e dall'altro, esigenza dei propri diritti: specialmente la dignità, la libertà e la giustizia.

Vi chiediamo di predicare un Vangelo incarnato nella vita, un Vangelo che illumini tutti gli aspetti della vita e radichi i fedeli in Gesù Cristo Risorto e in tutto il loro ambiente umano, culturale e ecclesiale.

Domandiamo a Dio di colmare i vostri cuori della sua forza e del suo amore, e di darvi la grazia affinché possiate colmare i cuori dei fedeli del suo amore e della sua forza.

Gerusalemme, 25 Febbraio 2007

† Michel Sabbah, Patriarca Latino di Gerusalemme
† Elias Shakour, Arcivescovo Greco Melchita Cattolico di Acri, Haifa, Nazaret e di tutta la Galilea
† George El-Murr, Arcivescovo Greco Melchita Cattolico di Filadelfia, Petra e della Giordania
† Paul Sayyah, Arcivescovo Maronita di Haifa e della Terra Santa
ed Esarca Patriarcale Maronita di Gerusalemme, dei Territori Palestinesi e della Giordania
† Fouad Twal, Vescovo Coadiutore Latino, Gerusalemme
† Kamal Bathish, Vescovo Ausiliare Latino, Gerusalemme
† Selim Sayegh, Vicario Patriarcale Latino per la Giordania
† Giacinto-Boulos Marcuzzo, Vicario Patriarcale Latino per Israele
† Pierre Melki, Esarca Patriarcale Siro-Cattolico di Gerusalemme, di Terra Santa e della Giordania
† George Bakar, Esarca Patriarcale Greco Melchita Cattolico di Gerusalemme.
Rafael Minassian, Esarca Patriarcale Armeno Cattolico di Gerusalemme, di Terra Santa e di Giordania

lunedì 1 ottobre 2007

Nessun indulto per il Cammino. Ecco le prove! Parte III

Un'alra lettera. Meno nota, passata quasi sotto silenzio da tutti. Soprattutto dai grandi araldi del Cardinale che l'ha scritta.

Dopo averci fatto leggere in modo ossessivo le poche righe scritte dal nostro Sacro Pastore Cardinale Ruini al compianto Don Zoffoli, righe che non condannano nulla dell'operato del citato Padre ma chiedono solo che egli attenda, ora leggiamo queste:


PROT. N.831/06

Roma, 24 maggio 2006

Ai Parroci e
ai Responsabili del Cammino Neocatecumenale
della Diocesi di Roma

Carissimi,

accogliendo le richieste e sollecitazioni che ho ricevuto da non pochi di voi, vi scrivo a proposito dell’attuazione nella Diocesi di Roma di quanto disposto nella lettera che il Cardinale Francis Arinze, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ha indirizzato in data 1° dicembre 2005 ai Responsabili del Cammino Neocatecumenale, lettera di cui allego copia.
Desidero anzitutto ricordare quello che ha sottolineato il Santo Padre, nel suo discorso del 12 gennaio 2006 alle Comunità del Cammino Neocatecumenale, cioè che le norme impartite a Suo nome dalla predetta Congregazione hanno lo scopo di aiutare il Cammino “a rendere ancora più incisiva la propria azione evangelizzatrice in comunione con tutto il Popolo di Dio”. Perciò il Santo Padre si è dichiarato certo che tali norme saranno attentamente osservate.
In particolare nella Diocesi di Roma, della quale il Santo Padre è il Vescovo, le norme stesse, come in genere tutte quelle emanate dalla Santa Sede, devono essere osservate in maniera esemplare, secondo quella esemplarità a cui è chiamata, di fronte alle Chiese sorelle, la Diocesi del Papa. Ciò vale in rapporto sia ai contenuti delle norme sia ai tempi entro i quali devono essere applicate.
Non ritengo pertanto di aggiungere alcuna ulteriore determinazione particolare, oltre a quelle contenute nella lettera del Cardinale Arinze ai Responsabili del Cammino Neocatecumenale. Chiedo piuttosto che, sia da parte dei Sacerdoti impegnati nella pastorale nella Diocesi di Roma sia da parte dei Responsabili romani del Cammino, si voglia ottemperare alla lettera stessa pienamente e di buon grado.
Nel contempo desidero esprimere la gratitudine della Diocesi e mia personale per il grande servizio pastorale e missionario che le Comunità Neocatecumenali e i Sacerdoti formati nel Seminario Redemptoris Mater svolgono a Roma e in tante parti del mondo.
Con affetto e con la benedizione del Signore


Camillo Card. Ruini
Vicario Generale di Sua Santità
per la Diocesi di Roma